donne chiesa mondo - n. 25 - luglio 2014

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO luglio 2014 numero 25 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Il respiro della preghiera Le comunità del deserto oggi di C ATHERINE DE H UECK D OHERTY C hi entra in pustinia per la prima volta, proverà per un giorno o due, in una certa misura, il rumo- re interiore. La prima volta che una donna del nostro gruppo vi è andata, mi disse al ritorno: «Cara mia, che terribile esperienza! Sapete cosa mi è succes- so?». Le dissi: «Sì, penso di saperlo. Ma dite- melo lo stesso». Lei mi disse: «Tutti i miei pensieri mi ronzavano dentro come mosche. Pensavo che avevo i miei jeans da rappezzare, che c’era da ripulire il giardino dalle erbacce. Pensavo a tutto tranne che a Dio». Le dissi: «Oh! È perfettamente naturale». Ci vuol tem- po all’uomo di oggi per piegare le ali dell’in- telligenza e aprire le porte del cuore. Per quelli di voi che entreranno in pustinia per un giorno o due, questo è l’essenziale: pie- gare le ali dell’intelligenza. In questa civiltà occidentale tutto passa dalla testa. Siete trop- po intellettuali, troppo pieni di ogni specie di sapere. La pustinia vi mette, per prima cosa e soprattutto, in contatto con la solitudine. In secondo luogo vi mette in contatto con Dio. Anche se non provate assolutamente nulla, re- sta il fatto che siete venuto per incontrare Dio, per un appuntamento assolutamente per- sonale. Avete detto al Signore: «Signore, vo- glio prendere nella mia vita occupata queste 24, queste 36 o queste 48 ore per venire a te, perché sono molto stanco. Il mondo non è co- me tu vorresti che fosse, e neanch’io. Voglio venire a riposare sul tuo petto come san Gio- vanni il Prediletto. E per questo che sono ve- nuto qui». O potete anche dire: «Signore, io non credo in te. Non credo nemmeno alla tua esistenza. Penso che tu sia morto. Ma mi han- no detto che forse sei vivo in questa buffa ca- pannetta in mezzo ai boschi. Voglio venire a vedere. Posso?». Si può venire a fare un ritiro di questo ge- nere per mille ragioni, ma l’essenziale è ripie- gare quell’intelletto che ha fabbricato tante torri di Babele e che continua a farne, e aprire quel cuore che solo è capace di ricevere la pa- rola di Dio. San Paolo dice: «Pregate senza sosta». La preghiera è la fonte e la parte più intima delle che il volto dell’essere amato si offra ai vostri occhi quando guidate, quando battete a mac- china, quando fate un’assicurazione, e così di seguito. In un modo o nell’altro, siamo in gra- do di delineare contemporaneamente queste due realtà, il volto dell’essere amato e quello che stiamo facendo. Amici miei, la preghiera è così. Se v’inna- morate, è impossibile separare la vita e il re- di M ARTA D ELL ’A STA I l “deserto”, la ricerca della lontananza assoluta dagli uo- mini e della vicinanza conti- nua con Dio, è entrato a far parte della spiritualità russa sin dal mo- mento in cui, nel X secolo, un paese giovane e poco civilizzato come la Rus’ di Kiev abbracciò il Vangelo, e assieme a esso ricevette da Bisanzio una cultura spirituale e teologica ricca e profonda: solo trentatré anni dopo il battesimo del popolo, il prete Ilarion cercò il deserto fuori dalle mura della città, in una grotta sulle pendici della collina che digradava verso il Dniepr. Di lì sarebbe nato il grande Monastero delle Grotte di Kiev, ancora oggi centro spirituale dell’ortodossia. Dopo Ilarion la vita monastica ha costituito uno dei centri di gra- vità della storia russa, testimoniata dalle molte vite di santi e dagli splendidi monasteri che ancora ri- mangono (erano 1025 prima della rivoluzione), ma al suo interno la vita eremitica, soprattutto quella femminile, è rimasta sempre volu- tamente nascosta, come un cuore profondo che mantiene in vita il corpo ma che non vuole rivelarsi. Spesso, infatti, non ci rimane nep- pure testimonianza della sua esi- stenza. Del resto il desiderio dell’eremita era proprio quello di nascondersi totalmente al mondo per essere noto soltanto a Dio. E così è stato. Solo in qualche caso è arrivato sino a noi il nome di una santa eremita, come Dosifeja, che nel XVIII secolo ha vissuto sotto spoglie maschili, e come “padre” spirituale ha benedetto, fra molti altri, anche il giovane monaco Serafino, che poi sarebbe diventato il grande santo di Sarov. Ma la vita di preghiera e l’of- ferta totale di sé di queste ignote eremite, pur senza lasciare grandi testimonianze storiche, hanno edi- ficato nel profondo la vita della Chiesa, consolidando la sua forza spirituale e assicurandone la con- tinuità nel momento della grande prova, la rivoluzione del 1917. In quel frangente il ruolo di queste donne è stato talmente essenziale che un vescovo ortodosso russo ha potuto dire che la salvezza del- la Chiesa russa non si deve al klo- buk (cioè all’alto copricapo dei monaci) ma al semplice fazzoletto con cui le donne fedeli usavano coprire il capo. Quando la rivolu- zione d’ottobre ha spazzato via le forme ecclesiastiche istituzionali, ha sconvolto gli ordinamenti, chiuso i monasteri, disperso i cre- denti, è tornato il momento delle eremite, che già erano pronte a vi- vere ovunque, nascoste, senza ap- poggiarsi a una struttura ma di- sposte al rischio della povertà as- soluta, pronte a dissimularsi nel nuovo, tremendo deserto della so- cietà sovietica atea, che espelleva con violenza qualsiasi forma reli- giosa. Tra i dossier dei fucilati del ter- rore staliniano, negli anni Trenta del Novecento, si trovano spesso delle donne dall’aspetto semplice, registrate solitamente come “se- mianalfabete” e “casalinghe”, “ca- meriere”, “donne delle pulizie”: solo oggi, dopo lunghe e puntuali ricostruzioni storiche, possiamo ri- conoscerle come monache che continuavano a vivere la loro vo- cazione disperse nel mondo. Raccontava padre Aleksandr Men’, grande e luminoso evange- lizzatore ucciso nel 1990, forse ul- timo martire del regime morente, che il suo battesimo e la sua cre- scita spirituale erano avvenuti all’ombra del monastero di san Sergio di Radonež, nella cittadina allora ribattezzata Zagorsk in ono- re di un leader bolscevico, dove vivevano nascosti alcuni sacerdoti e monaci. Ma quando, durante la guerra, la morte per malattia o l’arresto avevano portato via lette- ralmente tutti i monaci e sacerdo- ti, l’unico punto di riferimento era rimasta madre Marija, una mona- ca clandestina. «Sono stato spesso ospite di madre Marija, che ha la- sciato un segno indelebile sul mio destino e sulla mia vita spirituale. Donna di grande ascesi e di pre- ghiera, non aveva però la bigotte- ria, il tradizionalismo e la ristret- tezza mentale che si trovano spes- so in chi veste l’abito. Era sempre piena di gioia pasquale, totalmen- te affidata alla volontà di Dio, im- mersa nel mondo dello spirito, mi ricordava un po’ san Serafino, un po’ san Francesco d’Assisi. Madre Marija aveva la dote dell’apertura: alle persone, ai loro problemi, alle loro ricerche, era aperta al mondo». Dalle sue mani padre Men’ ha ricevuto la missione di predicare Cristo all’uomo sovietico, all’uo- mo d’oggi, che incatenato al mon- do orizzontale non sente quasi più la nostalgia di un Altro. di M ARIO S ENSI I n una villa signorile, Villa Fabri a Trevi, posta su un terreno in declivio con affaccio sulla valle spoletana, ric- camente decorata ad affresco agli inizi del Seicento, nella cosiddetta sala de- gli Eremiti è raffigurata una vera e propria Tebaide (deserto egiziano), che comprende, accanto agli eremiti, anche quattro eremite in gloria: Maria Maddalena, la penitente, Maria Egiziaca, Sofronia Tarentina e Dympna. Nei riquadri sottostanti si ha la narrazione delle loro storie e l’elogio delle loro virtù, in un buon latino classico. «Maddalena, sorella a Marta santa, / sfar- zo, gioie e lussuria tien lontani. / Deserti i luoghi, gli angeli compagni, / tende l’orec- chio a sovrumano canto. // Sofronia a un tronco incide vita e nome, / fiaccata spira in un deserto luogo. / Inanimato il corpo, son gli uccelli / a coprir di premura e foglie ed erbe. // Dympna si nega al padre incestuoso, / con Gerberno ripara in siti impervi. / A Gerberno la morte porta il servo, / alla vergi- ne il padre tronca il capo. // Maria Egizia di sole scura e orrenda / Azozimo la scopre in luogo occulto. / L’anima va, di Cristo preso il corpo, / la fossa del leone è letto e tom- ba». Come per gli eremiti, negli spicchi sono rappresentate le allegorie di povertà, castità e obbedienza. Le allegorie sono sintesi delle virtù esercitate in forma eroica dalle quattro sante. Sofronia di Taranto, venerata come anacoreta e martire, è l’unica italiana. Vissuta nel IV secolo in Puglia, raggiunta la maggio- re età, decise di fuggire da casa e di seguire l’esempio di santa Pelagia, vivendo cioè da anacoreta e da penitente. Per questo raggiun- se le Isole Cheradi, allora dette Pelagie, dove era stata eretta una chiesa in onore di Pela- gia, dove si costruì una capanna di rami e di tronchi. Trascorreva la giornata meditando sulle cose divine, conversando con gli angeli, digiunando e scrivendo le sue memorie sui tronchi degli alberi. In questo atteggiamento è appunto raffigurata a Trevi e a San Pietro Mandurino a Manduria. Quando morì gli uccelli ne avrebbero ricoperto il corpo con fiori e fronde. Alcuni pescatori, sbarcati sull’isola e attirati dal profumo dei fiori che la ricoprivano, scoprirono il corpo esanime di Sofronia che trasferirono a Taranto, dove le diedero una degna sepoltura, ricorrendo la relativa festa il 10 maggio. Sofronia non era sola: una presenza di ere- mite è testimoniata fin dai primi secoli del cristianesimo. Gli eremiti fecero la loro prima apparizione nel III secolo, nel deserto della Tebaide, dopo essersi diffusi in Palestina e quindi in tutto l’Oriente, e a partire dal v se- colo sono operanti infatti anche in Occiden- te, dove però il “deserto” dei nostri asceti fu- rono le foreste, i boschi o le caverne naturali. Il movimento monastico femminile in Italia cominciò a diffondersi, pur con delle eccezio- ni, a partire dal VI secolo, dando vita a rag- gruppamenti ascetici, come ricorda Gregorio Magno proprio per Spoleto, dove Gregoria ricevette l’abito monastico dal famoso mona- co Isacco il Siro, un eremita orientale che si era attestato sul monte Luco. Ma fino al bas- so medioevo le testimonianze sicure di eremi- te vissute nei boschi o in grotte naturali sono pochissime; né va dimenticato che per con- durre una siffatta vita, in pieno medioevo, al- cune donne si dovettero travestire da uomini. Nell’agiografia del deserto, vicino ad Ales- sandria d’Egitto dalla metà del V secolo all’inizio del secolo seguente, vivevano per lo meno sei vergini “travestite”. Anastasia, Apollonia, Anastasia, Eufrosine, Ilaria e Teo- dora. Più tardi vivono nelle stese condizioni Matruna, Eugenia, Pelagia e Marina. Si trat- ta di un’onda lunga, che giunge fino al seco- lo XIII , tanto il Martyrologium Franciscanum cita quattro o cinque donne vissute di nasco- sto tra i frati, come frati. Non è casuale quindi che la memoria delle eremite sia raffigurata proprio in questo luo- go: il territorio di Trevi è stato interessato dal movimento eremitico femminile sin dal tardo antico come testimonia un’epigrafe rinvenuta a Matigge di Trevi che ricorda infatti la casta puella Cassia Lucia († 337). Questa ridente cittadina, arroccata su uno sperone dei con- trafforti dell’Appennino, umbro-marchigiano, è posta quasi al centro della Valle Spoletana, uno dei tanti luoghi dello spirito dove il fe- nomeno dell’eremitismo al maschile e al fem- minile è iniziato sin dal tardo antico, soprat- tutto per il fascino di Monteluco, il monte sovrastante la città. Gli eremiti che, su questo monte, per secoli, avevano testimoniato una forma di vita che vedeva attuata parallela- mente l’impostazione solitaria orientale con quella cenobitica occidentale, fondata sull’ ora et labora , intorno al Mille si aggregarono alla riforma cluniacense. Così in molti dei loro eremi abbandonati subentrarono, agli inizi del secolo XIII , donne che avevano aderito al movimento penitenziale, diffuso in tutta Eu- ropa. A Spoleto — crocevia di esperienze reli- giose — questo movimento fu particolarmente vivace e diede origine a una serie di comuni- tà “bizzocali” che, agli inizi, occuparono le pendici del Monteluco. Sullo scorcio del se- colo XIII le fondazioni eremitiche femminili che si erano insediate sul Monteluco e nel pomerio della città, erano salite a una quin- dicina e la maggior parte avevano mantenuto la propria identità eremitica. E questi luoghi di preghiera, posti tutti entro il raggio di mezzo miglio dalla città, avevano finito, per una strana coincidenza, per occupare quasi tutte le colline che per gli spoletini costitui- scono l’affaccio sui quattro punti cardinali: si era così formata una singolare cintura protet- tiva spirituale con funzioni apotropaiche, il corrispettivo della cinta urbica medievale che proprio in quegli anni veniva portata a ter- mine. Nel contempo il movimento penitenziale femminile prosperava anche nelle città vicine: a Montefalco erano sorte cinque fondazioni a carattere bizzocale; due a Bevagna; due a Spello; una a Trevi. Se sono mancate figure di spicco — come una Franca (eremita del se- colo XI nelle Marche), una Chelidonia (ere- mita nella Valle dell’Alto Aniene), o una Sperandia (penitente, asceta e pellegrina ve- nerata a Cingoli), tanto per rimanere nella Italia centrale — tuttavia il loro stile di vita rimane pur sempre impressionante. Strumen- ti di santificazione, comuni nei vari bizzocag- gi, furono: meditazione sulla passione di Cri- sto, penitenza, disciplina e sostentamento af- fidato quasi esclusivamente all’elemosina che alcune religiose personalmente questuavano di porta in porta. Anche quando alcune co- munità, di obbedienza vescovile, furono sot- toposte a una regola sia agostiniana, sia be- nedettina questa fu mera clausola di regolari- tà e non comportò subordinazione alcuna al corrispettivo ordine maschile. Dopo un breve periodo di stasi, verso la fine secolo XIII ci fu una ripresa del movi- mento penitenziale femminile. Non sfugga poi il fatto che nei reclusori di queste eremite della città, come negli eremi recuperati, dopo un periodo di abbandono, dai mendicanti vanno ricercate le radici delle “osservanze” — in particolare di quella francescana — che fe- cero la loro apparizione tra il tardo Trecento e l’inizio del Quattrocento. Il fenomeno della reclusione urbana fu og- getto anche dell’attenzione dell’autorità civi- le, come si evince dalla legislazione comunale che a favore del movimento dei reclusi dispo- se elemosine obbligatorie sia da parte del Comune, come da parte dei testatori, cosic- ché questa forma di vita religiosa per le rico- nosciute funzioni sociali e apotropaiche fu a lungo protetta. In seguito però la presenza di donne in questa area, che già aveva avuto una limita- zione da parte dell'autorità ecclesiastica, fu inibita dall’autorità civile. Le eremite, sia ur- bane che montane, vennero così rinchiuse nei conventi. Gli eremi del Monteluco erano sta- ti appena abbandonati quando un nuovo ge- nere di solitari tornò a popolare il monte: erano intellettuali confluiti da tutta l’Europa. Né mancavano visitatori desiderosi di ritem- prarsi nello spirito, come Michelangelo Buo- narroti, che ne scriveva in questi termini al Vasari, il 18 settembre 1556: «Ho avuto piace- re nelle montagne di Spoleto a visitare quei romiti, di modo che io sono ritornato meno che mezzo a Roma, perché veramente non si trova pace se non nei boschi». La congregazione di Monteluco fu sop- pressa nel 1795 e non più ripresa, ma il movi- mento eremitico, lungi dall’essersi esaurito, è tornato a far parlare di sé dopo il concilio, tanto che è stato oggetto di trattazione alla IX assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi dedicata alla vita consacrata (1994). Si riconosce agli eremiti il diritto di una loro specificità nella Chiesa, con la pre- cisazione che la vocazione degli anacoreti o eremiti di Oriente è differente da quella se- guita in occidente: «Nelle Chiese orientali la vocazione eremitica è considerata all’interno dei monasteri ed è regolata da speciali norme e dalla dipendenza dal superiore o dal vesco- vo se si prevede di vivere fuori del monaste- ro», ancorché si ammettano delle eccezioni. Nella Chiesa latina, invece, «l’eremita è rico- nosciuto come dedicato a Dio nella vita con- sacrata se, con voto o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evange- lici nelle mani del vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva la propria norma di vita». Dal relativo Instrumentum laboris si appren- de poi che, dopo il Vaticano II , c’è stato un rifiorire di questa vocazione, stante «l’esisten- za di molti eremiti, chierici e laici e di eremi- te che vivono nella solitudine, o presso mo- nasteri, o in un eremo, oppure abitano in mezzo alla gente». Sono queste, appunto, le moderne forme di vita eremitica praticate un po’ ovunque. La testimonianza Femmes au désert Volendo conoscere meglio «l’esperienza di vita cristiana vissuta fino al suo più alto grado d’intensità», una suora francese è andata a dialogare in punta di piedi — in silenzio, verrebbe da dire — con una cinquantina di eremite sparse tra Europa, America del nord e Asia. Il risultato è il volume Femmes au désert (Saint-Paul) che suor Marie Le Roy Ladurie pubblicò nel 1971. Nella raccolta avvincente ed estremamente varia di testimonianze, le eremite — che vollero tutte rimanere nascoste anche nell’identità — raccontano i diversi momenti della loro vocazione: la chiamata, la formazione, l’eremo, il pane quotidiano, la manna nascosta, la preghiera, il combattimento. Le testimonianze, da cui risulta chiaramente la matrice femminile della vocazione, sono accomunate dalla radicale reazione all’assenza di Dio in un mondo sottomesso a efficienza e rendimento. Le Roy Ladurie va alla ricerca delle cause che spieghino il nuovo interesse degli anni Sessanta verso la vita eremitica da parte delle donne, e tra queste ampio risalto dà all’emancipazione femminile: «Per la sua evoluzione sociale, la sua esperienza professionale, la sua maturità affettiva una donna può avere oggi le qualità richieste da una vita solitaria». Una solitudine liberamente scelta, cioè, del tutto diversa da quella «solitudine imposta dalle circostanze» che invece le donne hanno vissuto per secoli. ( @GiuliGaleotti ) Il film Le meraviglie È il delicatissimo confine, nella vita di una ragazza, tra infanzia ed età adulta, quando c’è chi ti vede bambina e chi invece già donna, mentre tu, nel mezzo, non sai ancora chi ti senti. Un confine questo che Alice Rohrwacher, nel suo film Le meraviglie (2014), inserisce in un’altra frontiera, quella tra mondo contadino e luci della città. Il padre apicultore urla in mutande contro i rumori oltre ringhiera, e Gelsomina — rapita dallo sbrilluccichio come avviene soprattutto alle adolescenti attente e disciplinate — a quel mondo porge invece la mano. E lo fa violando il volere paterno, dopo aver tratto da lui (e dalle arnie) la forza per farlo (il che, in una parola, significa essere adolescenti). Il finale, meraviglioso, lascia immaginare la donna che Gelso (interpretata da Maria Alexandra Lungu, profilo imperturbabile e occhi guizzanti) diventerà. Diversa da un mondo adulto così deludente (nelle tante varianti proposte dalla vicenda), più forte nella città anche perché così vicina alla terra. ( @GiuliGaleotti ) P REMIO AD A NNE -M ARIE P ELLETIER Per la prima volta il Premio Ratzinger, destinato agli studiosi di teologia, è stato assegnato a una donna, la francese Anne-Marie Pelletier, esperta di ermeneutica ed esegesi biblica. Nata nel 1946, Pelletier — che nei suoi lavori ha indagato anche la posizione della donna nel cristianesimo e nella Chiesa — ha insegnato linguistica generale e letteratura comparata all’università di Parigi X , teologia del matrimonio all’Institut catholique di Parigi, e, dal 1993, sacra Scrittura ed ermeneutica biblica allo Studio della Facoltà Notre Dame del seminario di Parigi. Fino allo scorso anno è stata anche docente di Bibbia all’Istituto europeo di scienze delle religioni, inquadrato nell’École pratique des hautes études di Parigi. Tra le sue opere, Lectures du Cantique des Cantiques. De l’énigme du sens aux figures du lecteur (1988), Lectures bibliques. Aux sources de la culture occidentale (1995), Le christianisme et les femmes. Vingt siècles d’histoire (2001), D’âge en âge les Ecritures. La Bible et l’herméneutique contemporaine (2006), Le signe de la femme (2006), Le livre d’Isaïe, l'histoire au prisme de la prophétie (2008). La premiazione di Anne-Marie Pelletier, e degli altri vincitori del premio Ratzinger 2014, avverrà il prossimo 22 novembre. C ONTRO LO STUPRO COME ARMA DI GUERRA Sono stati l’attrice statunitense Angelina Jolie e il ministro britannico degli Esteri William Hague ad aprire, in giugno a Londra, il primo vertice internazionale voluto allo scopo di fermare le violenze sessuali sulle donne durante i conflitti e l’uso dello stupro come arma di guerra. Il summit rientra nella campagna che il Governo inglese porta avanti ormai da tempo, e che lo stesso ministro Hague raccontò su «donne chiesa mondo» del settembre 2013. Per la prima volta dunque, i rappresentanti di più di cento Paesi — tra cui il segretario di Stato americano John Kerry — e oltre novecento esperti militari e giuridici, membri di organizzazioni non governative e associazioni umanitarie, nonché esponenti religiosi hanno affrontato il drammatico fenomeno. I quattro giorni sono stati l’occasione ufficiale nel corso della quale Hague e Jolie hanno domandato che il documento con il piano per mettere fine all’impunità degli stupri di guerra sia apertamente appoggiato dai Governi di tutto il mondo. Anche Papa Francesco ha espresso la sua solidarietà all’iniziativa, attraverso un tweet inviato ai follower nella mattina di apertura dei lavori: «Preghiamo per tutte le vittime di violenza sessuale in situazioni di conflitto — ha scritto il Pontefice — e per coloro che combattono tale crimine». I NFIBULATE DURANTE LE VACANZE ESTIVE È stato uno shock per la Svezia quando i servizi sanitari di Norrköping, cittadina di ottantamila abitanti, hanno scoperto che circa sessanta bambine e ragazze tra i quattro e i quattordici anni che frequentano la scuola pubblica, hanno subito la mutilazione dei genitali. Anticipando molti Paesi, gli svedesi hanno messo fuori legge la pratica già nell’ormai lontano 1982, con pene dai quattro ai dieci anni, e anche per questo pensavano che il fenomeno all’interno dei loro confini fosse ormai debellato. Si è scoperto invece che fin dall’entrata in vigore della norma, l’aberrante pratica — considerata un rito di passaggio — viene effettuata durante i periodi estivi, quando i migranti, con famiglie e figlie al seguito, tornano nel Paese d’origine. Secondo i dati più recenti, oltre centoquaranta milioni di donne nel mondo hanno subito la violenza dell’infibulazione, con più di trenta milioni tra bambine e ragazze attualmente a rischio. Il 14 aprile scorso, in Gran Bretagna, si è aperto il primo processo contro un medico colpevole di aver effettuato la “pratica” su una quattordicenne. E per la prima volta, proprio il Consiglio musulmano della Gran Bretagna ha condannato le mutilazioni genitali femminili come «non islamiche»: schierandosi contro la pratica, è stato sottolineato che essa «non è più legata alla dottrina dell’Islam». L’organizzazione islamica, riferisce il quotidiano «The Guardian», invierà opuscoli informativi a tutte le cinquecento moschee che fanno parte della sua rete, sottolineando i rischi connessi alle mutilazioni e ricordando che chi le pratica rischia in Gran Bretagna fino a quattordici anni di carcere. B IMBI CHE EMIGRANO SOLI E SUOR V ALDETT Dal 2011 a oggi il numero di minori che rischiano da soli la vita attraversando il Centro America per arrivare negli Stati Uniti è raddoppiato di anno in anno. Se allora non superavano i settemila, ci si attende che saranno oltre sessantamila nel 2014. Riconoscendo questa ennesima crisi umanitaria, il Pentagono ha annunciato che ospiterà milleottocento bimbi arrivati da soli negli Stati Uniti dall’America Centrale perché i centri adibiti rischiano di esplodere. Intanto le autorità di Nogales (Arizona) hanno spostato più di un migliaio di ragazzi dalle celle degli uffici doganali ai locali della polizia di frontiera. Dopo aver visitato le strutture, circondate di filo spinato, allestite a Nogales, il console onorario dell’Honduras Tony Banegas — che ha voluto incontrare ognuno dei 236 bimbi honduregni presenti — ha raccontato: «Vivono in una cantina, dormono in contenitori di plastica con una coperta termica come quelle di carta-alluminio, usano servizi igienici portatili». La Chiesa fa presente alle autorità che si tratta di minori in fuga, non di criminali. A nome della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ad esempio, monsignor Mark Joseph Seitz, vescovo di El Paso, va ricordando ai politici che i minori partono per sfuggire dalla violenza: «Questi ragazzi, ma ci sono anche bambini di cinque anni, non lasciano le loro comunità per nuove avventure, ma fuggono dalle guerre. Una guerra che i loro governi stanno perdendo quando non riescono a proteggere il loro popolo». Dal canto suo suor Valdett Willeman, delle missionarie scalabriniane e attuale direttrice del Centro d’assistenza per i migranti ritornati, riporta numeri inquietanti: solo nel mese di maggio sono stati più di cento i bambini rimpatriati per via aerea, senza contare coloro che rientrano via terra; e se solo in questo primo periodo del 2014 si contano oltre tremila bambini rimpatriati, negli ultimi anni il loro numero è arrivato a superare i quindicimila. D ONNE PER LE DONNE IN M AROCCO Negli ultimi decenni in Marocco sono stati fatti passi avanti molto importanti nel campo della salute di donne e bambini. Tuttavia le cifre della mortalità materno- infantile continuano a essere elevate, in particolare se si tiene conto che il 93 per cento dei decessi è evitabile e il 73 per cento si verifica nelle strutture sanitarie. Inoltre, nel Paese si registrano i tassi di incidenza e mortalità più alti della regione per quanto riguarda il cancro al collo dell’utero, la seconda tipologia di tumori più frequente nelle donne. Migliorare l’assistenza al parto e al post parto è quindi una priorità per cercare di limitare il fenomeno. A questo fine, circa un paio di anni fa, è stato promosso un programma per la formazione del personale sanitario. Finora sono stati formati 369 professionisti, tra i quali oltre il 70 per cento donne, su tematiche specifiche delle attività assistenziali, come le cure d’emergenza ostetrica e neonatale, il controllo del cancro cervicale e la rianimazione neonatale. U N ALBERO DI FRUTTI Un piccolo albero ricchissimo di frutti portato all’altare: così Fede e Luce — il movimento internazionale che riunisce persone con disabilità mentale, le loro famiglie e amici — ha salutato, nel corso dei funerali, la fondatrice della sezione italiana, Mariangela Bertolini, scomparsa a Roma il 29 maggio. Nata a Treviso nel 1933, mamma di tre figli, tra cui Chicca (nata con gravi problemi), e giornalista (ha fondato e diretto per anni il bimestrale «Ombre e Luci»), dopo aver conosciuto Jean Vanier a Lourdes Mariangela organizzò il pellegrinaggio che Fede e Luce (nato in Francia nel 1971) fece a Roma in occasione dell’anno santo del 1975. Da lì è partito tutto: è stato solo grazie all’impegno e alla tenacia di Mariangela Bertolini, donna dolcissima e fortissima insieme, infatti, che il movimento è sorto e si è diffuso in Italia — dalla Valle d’Aosta alla Sicilia — per rispondere alla grande solitudine delle famiglie. Nei frutti di quell’albero c’erano tutti i ragazzi, gli amici, i padri, le madri, le sorelle e i fratelli che in questi trent’anni di vita comunitaria hanno arricchito le vite di tantissimi. Il saggio In castro poenitentiae Pur uscito molti anni fa In castro poenitentiae. Santità e società femminile nell’Italia medievale di Anna Benvenuti (Herder, 1990) rimane, insieme ad altri saggi scritti dalla medievista italiana, il punto di riferimento principale per chi voglia informarsi sulla vita delle eremite cittadine che popolavano i borghi abitati nel Medioevo. A partire dal XIII secolo si assistette infatti al fiorire di un nuovo tipo di recluse urbane, viventi sia sole che con poche compagne nel cuore della città o nei sobborghi, murate in cellette o lungo le mura stesse delle città. I fedeli offrivano loro sostentamento, il vescovo e il clero i sacramenti e la cura spirituale. La loro presenza divenne una caratteristica peculiare delle città italiane medievali, e questa tipologia, frequente nelle raccolte agiografiche, testimonia una spontaneità creativa della religiosità femminile che non fu più eguagliata nei secoli successivi. Le recluse davano consigli spirituali a chi si avvicinava loro e, negli auspici della città, allontanavano i pericoli con le loro preghiere dalle cellette spesso di confine fra l’abitato e i campi. ( @LuceScaraffia ) Siete troppo intellettuali troppo pieni di ogni specie di sapere La pustinia vi mette in contatto prima con la solitudine e poi con Dio La presenza delle eremite nella storia della Chiesa ortodossa russa Salvata da un semplice fazzoletto Cuore profondo che mantiene in vita il corpo ma che non vuole rivelarsi Dei boschi e delle città Alle origini di una vocazione rifiorita dopo il concilio Vaticano II Su un terreno che si affaccia sulla valle di Spoleto sorge Villa Fabri Decorata con affreschi del Seicento ritrae quattro eremite in gloria L’autrice Queste parole sono state scritte per coloro che chiedevano di sperimentare il silenzio nella pustinia — una capanna nei boschi canadesi — costruita da Catherine de Hueck Doherty su modello di una pratica spirituale da lei conosciuta nella sua infanzia russa. Catherine era nata nel 1896 in una ricca famiglia russo-polacca — per questo era cattolica — e poi costretta dalla rivoluzione a fuggire con il marito, un aristocratico russo, in Canada e negli Stati Uniti. Ha conosciuto l’esilio e la povertà, poi di nuovo la ricchezza e la vita mondana, da cui si ritirò per vivere accanto ai poveri di Toronto. In seguito, fondò ad Harlem una Casa dell’amicizia, e qui alcune persone vennero a condividere la sua vita. Amica di Dorothy Day, si impegnò a creare luoghi di silenzio per la preghiera e la meditazione, che chiamerà Madonna House. Progetto a cui si dedica fino alla morte, nel 1985. Nei suoi numerosi scritti rivela l’importanza e la necessità del silenzio nella vita contemporanea. nostre vite. «Quando pregate, ritiratevi nella vostra camera, chiudete la porta e pregate il Padre vostro nel segreto». Queste parole di nostro Signore significano che dovete entrare in voi stessi e stabilirvi un santuario; il luogo segreto è il cuore umano. La vita di preghiera — la sua intensità, la sua profondità, il suo rit- mo — è la misura della nostra salute spirituale e ci rivela a noi stessi. «Levatosi molto prima del giorno, uscì per andare in un luogo deser- to, e là pregava». Con gli asceti il deserto è interiorizzato, e significa la concentrazione di uno spirito raccolto. A questo livello, in cui l’uomo sa come restare in silenzio, si trova la vera preghiera. E qui che egli riceve una visita misteriosa. Anche questa è una cosa che la pustinia v’insegnerà se vi lasciate fare. Vi insegnerà la preghiera, forse una preghiera differente da quella cui eravate abituato. Si dice spesso di non avere il tempo di pre- gare. Dov’è il luogo della preghiera? La pre- ghiera è nell’intimo. Io sono una chiesa. Sono il tempio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Essi vengono a me. Il Signore ha detto che il Padre suo e lui sarebbero venuti a far dimora in me. Non ho bisogno di andare da nessuna parte. Questo d’altronde non vuol di- re che non si deve render gloria a Dio in chie- sa, là dove tutti gli altri vengono a pregare, ma questo significa che bisogna pregare co- stantemente. Non ci dovrebbe essere interru- zione nella nostra preghiera. Esiste una pusti- nia del cuore. Perché il mio cuore dovrebbe essere lontano da Dio mentre vi parlo? Quan- do siete innamorati di qualcuno, si direbbe spiro dalla preghiera. La preghiera è semplice- mente unione con Dio. La preghiera non ha bisogno di parole. Quando due persone sono innamorate, si guardano l’un l’altra, si guarda- no negli occhi, oppure la donna resta sempli- cemente rannicchiata nelle braccia del marito. Non parlano né l’uno né l’altra. Quando l’amore raggiunge il suo punto culminante, non trova più da esprimersi. Raggiunge quell’immenso regno del silenzio in cui palpi- ta e assume proporzioni ignote a coloro che non vi sono entrati. Così è per la vita di pre- ghiera con Dio. Voi entrate in Dio e Dio en- tra in voi, e l’unione è costante. Il giorno del mio battesimo, i miei piedini fecero il primo passo verso quell’unione con Dio per la quale sono venuta al mondo. Posso passare tutta la vita senza mai ricordarmene. Sarà una vita arida. Sarà una vita infelice. Ma qualunque cosa mi accada, se mi ricordo che esisto per essere unita a Dio, e che sono unita a Dio in ogni istante, tutto quello che ho da fare è pensarci. In effetti, non ho neanche da pensarci. Il suo volto è sempre davanti a me.

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