donne chiesa mondo - n. 24 - giugno 2014

L donne chiesa mondo giugno 2014 Cristiana Dobner, carmelita- na scalza, filosofa e teologa, è autrice di diverse opere, tra cui L’Eccesso. Carlo Maria Martini e l’amore per Gerusa- lemme (2014), Che cosa sono queste pietre? Ascoltare la pre- senza silente (2013), Resterà solo il grande amore. Il sentire di Edith Stein nella furia del nazismo (2013), Il volto. Prin- cipio di interiorità: Edith Stein e Etty Hillesum (2012), Se af- ferro la mano che mi sfiora… Edith Stein: il linguaggio di Dio nel cuore della persona (2011) , Luce carmelitana. Dal- la santa radice (2005) . Ha vinto l’International Martini Award 2014. La donna pensa da se stessa di C RISTIANA D OBNER A DONNA E LA GALLINA fino alla casa della vicina era il detto corrente nel secolo XVI in Spagna quando visse Teresa de Ahumada y Cepeda. Non pare proprio che questa giovane donna si sia assoggettata alla mentalità comune. Indubbiamente ha dovuto combattere con piena consapevolezza tanto da scrivere «è sufficiente essere donna perché mi cadano le ali». Con vigore ed energia però ha creato uno spazio ecclesiale e teologico per la donna del suo tempo e per i tempi a venire. Spazio realmente teologico per la donna monaca che, pur vivendo una dimensione eremitica e contemplativa, è aperta alla storia dell’umanità e della Chiesa. Tanto da essere diventata un’icona testimoniale per molte femministe e da indurre una pensatrice laica, Julia Kristeva, a guardare a lei per pensare a una rifondazione dell’umanesimo proprio con lei. Teresa donna quindi è sorgente inesauribile per le donne d’oggi e non cisterna intonacata o pezzo da museo, tant’è vero che una persona come Edith Stein, donna e pensatrice audace, che precorse di molto i suoi tempi sia nelle scelte personali sia nelle ferme scelte ecclesiali, ne fu letteralmente folgorata: entrambe cercavano la Verità, vera asse della loro esistenza, «Teresa d’Avila è una pensatrice che dice e insegna a dire la verità» (Luisa Muraro), Edith Stein la formulò filosoficamente e teologicamente e la testimoniò non sfuggendo il martirio di Auschwitz. Nell’intreccio della loro viva esperienza teologica e teologale, cioè del vissuto di fede, speranza e carità, è possibile scorgere e delineare una teologia della donna che entri e faccia propria una dimensione attiva e incisiva nella vita della Chiesa e prosegua sulla linea indicata dalla Stein: «Forse, nel corso dei secoli, ci siamo assuefatti troppo a un nostro atteggiamento passivo nella Chiesa, concedendo qualche singolare persona (Teresa di Gesù, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, ecc..), come eccezione che conferma la regola. Il XX secolo pretende di più!». Che cosa dobbiamo pretendere oggi in pieno secolo XXI ? Come Teresa di Gesù, Edith Stein e il pianeta donna si coordinano e si illuminano? All’interno soprattutto della grande trasformazione culturale che stiamo vivendo, che si può definire epistemologica perché relativa all’organizzazione degli schemi concettuali e alla loro attiva trasmissione, che rappresenta una vera rivoluzione culturale. La donna rifiuta un’antica tradizione che divideva l’umanità in due parti totalmente differenti, attribuendo alla donna solo l’esperire e lasciando al maschio il riflettere. La donna ormai pensa da se stessa, vuole pensare e sentire in modo femminile e non solo lasciarsi pensare e dettare il sentire da una mentalità maschile o maschilista. La donna cioè ha superato la cosiddetta “ipoteca androcentrica”. La donna esige e formula quindi una salvezza pasquale che non sia più de-femminilizzata. Teresa di Gesù, letta da Edith Stein, l’unica donna a passare il dottorato nel 1916 in Germania e ricca per una vita a zigzag, crea la mappa di risposta teologica. Teresa è una monaca claustrale eppure è una donna pubblica, inserita in una società patriarcale, nell’accezione femminista del termine, ma non sepolta sotto una non–risposta. Infatti oggi, usando un linguaggio creato dal movimento filosofico femminista Diotima (che ha scelto come donne esemplari cui guardare proprio Teresa di Gesù e Edith Stein) diremmo che la carmelitana ha agito in modo da «mettere al mondo il mondo», cioè — riferendosi alla donna che genera — dando vita nel concreto a idee e pensieri propri nella riscoperta della sfera pratica, dei gesti incisivi sulle persone e sulla società che pongono rapporti nuovi. Trama creata da una «donnetta», come si autodefiniva Teresa con ironia per sfuggire alle grinfie dell’Inquisizione. Il lessico nuovo del movimento femminista ben si addice a Teresa, che vi imprime però una direzione imprescindibile, inserita in Gesù Cristo verso Dio Padre, perché Teresa è interrogata da una domanda di fede e non solo da un orizzonte meramente simbolico e umano. Questo nuovo lessico esplicita l’inesausto desiderio femminile di legarsi alla realtà. Il partire da sé con la pratica dell’orazione, dell’amicizia con Dio, allora proibita alle donne perché considerate deboli nel pensiero; il fare che incide sulla realtà e significa la vita sperimentata nel nuovo, piccolo e povero monastero di San Giuseppe, che si dilata però a dismisura su tutta l’umanità e tutta la Chiesa; il circolo ermeneutico sessuato, come oggi definiamo la relazione fra la donna scrittrice e la donna lettrice, in cui con la scrittura si entra nella vita di un’altra donna, proprio come prepotentemente accadde quattro secoli dopo con la giovane fenomenologa Edith Stein, alla lettura della Vita di Teresa di Gesù; la mediazione intesa non come categoria astratta ma come luogo di mediazione, sia orizzontale con le altre donne, sia verticale con Dio stesso che ha fatto irruzione in lei, nel tessuto della Teresa orante e capace di comunicazione; l’autorità femminile creata significativamente attraverso una presenza sociale femminile. La propria debolezza consapevole non solo nel confronto con i maschi ma anche in quello con Dio. Teresa attraverso le invenzioni simboliche della sua scrittura conduce «ad aprire la strada della libertà attraverso gli impedimenti, usando questi ultimi come vere e proprie leve per saltare oltre» (Muraro). Con un’autentica intelligenza d’amore che supera ogni logica e spezza ogni limite in un atto profondamente creativo che ricade nei secoli su donne e uomini. Luisa Muraro legge nell’avventura amorosa un rigore non inferiore «a quello della logica e anzi lo supera, essendoci di mezzo sempre anche il desiderio, che è ingannatore formidabile ma, al tempo stesso, alleato irrinunciabile di ogni avventura superiore alle forze umane, perché tiene aperti i confini e rompe i limiti». Come avvenne per tutto quanto scrisse e testimoniò sulla donna, la donna Edith Stein, rileva queste caratteristiche peculiari dell’animo femminile e le ritrova nella capacità di afferrare i fenomeni, nella sensibilità alla loro varietà, ricchezza e specificità, nella tensione alla salvezza. L’avventura femminile si spalanca così al presente, al divenire in un atto ecclesiale reso possibile, quale atto di fede che genera e insieme garantisce la presenza della donna nella società e nella Chiesa in piena visibilità. Muraro si colloca sulla scia di Teresa di Gesù affermando che la sua «grandezza risiede in una capacità di legare, la sua potenza è la potenza di un legamento. Di che cosa con che cosa? In lei io vedo l’enormità del desiderio femminile di legarsi liberamente alla realtà di questo mondo». La donna, vista da Teresa di Gesù e Edith Stein, poggia sul grande fondamento biblico della creazione e si ritrova arricchita di una qualifica che la rende sensibile e particolarmente ricettiva all’agire di Dio nell’anima. L’essere ricevuto in dono e come dono si riversa su ogni ambito di vita e lo apre simultaneamente a Dio e alla storia. La modernità interpella con tensioni emergenti, cui è doveroso dare risposta reale, con la testimonianza di alcune donne che fanno scuola, come Julia Kristeva, tanto attratta dalla donna Teresa da scrivere: «È la vostra umanità che mi appassiona… quanto è geniale in Teresa è che la scrittura non conduce solo all’approfondimento di sé ma a un cambiamento del mondo». Oggi ricorrono alcuni termini che si possono confrontare con l’esperienza di Edith Stein, cui nessuno potrà negare o mettere in dubbio la qualifica sia di ragionante sia di senziente: per esempio maternage , inteso come accento principale ed enfatico della custodia della casa quale privilegio femminile. La risposta steiniana invece si colloca sul piano della maternità, accolta all’interno dell’etica civile, considerata quale dimensione moderna, in cui compiti e ruoli vengono «intesi come destino naturale», ma compresenti alla professionalità, alla relazionalità, alla visibilità sociale, intrisi di annuncio evangelico. Perché è l’apertura alla Parola di Dio che consente l’incarnazione nella storia del proprio popolo e si riversa in servizio di fede e di sapienza vitale. Si staglia allora la via dell’esperienza o della “teologia dei santi” che, pur appartenendo all’universo mentale della donna, può diventare pensiero filosofico e sapienziale, se coniugato con la ricerca della verità. Il rimando è a quel momento trasmesso dal libro della Genesi : Adam viene colto dal tardemah , dal sonno, mentre Jhwh crea la donna in una teofania che rimane nota a lei sola. Si fonda e si apre quindi un dialogo silente e misterioso: non è l’uomo che delinea e definisce la donna ma Jhwh stesso, mentre la donna accoglie e accetta e si pone nella storia. Se ne deducono alcune posture che la donna vive completamente nella sua vita interiore, nella sua prassi quotidiana, nella sua particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima e la consegna a Cristo che si radica nel biblico di Genesi 2, 18: «L’aiuto che sta di fronte». La donna infatti riceve gli stessi doni dell’uomo e quindi si postula il riconoscimento delle doti e dei doni e il loro esercizio nella costruzione della persona prima e della società intera poi. In piena simmetria e indipendenza, pur in correlazione viva. La donna può penetrare con empatia e comprensione nel territorio di realtà che, in sé, le sono distanti e di cui mai si occuperebbe, se un interesse personale non la mettesse in rapporto. Dono strettamente connesso con la disposizione a essere madre. La capacità corporea sessuata — perché dire donna è dire corpo — può esprimere forze nascoste o imprevedibili, sempre pronte a intervenire quando ne sia colta l’urgenza. Una plasticità che, adattandosi, non si nega ma si rende sempre più trasparente, grazie alla sua capacità di totalità e determinazione, con un desiderio che vuole trovare la sua concretizzazione vitale e non rimanere un vago aspirare. Il servizio del Signore richiede quella totalità e quella determinazione che la donna ritrova dentro di sé come sue peculiarità. Grazie alla purità assoluta con cui pone l’amore di Cristo non solo nel convincimento teorico ma nel sentire del cuore e nella prassi dell’amore, la donna dimostra quanto significhi essere liberi da ogni creatura, da un falso legame con se stesso e con gli altri: questo è il senso spirituale più intimo di purità. In concreto si fronteggiano obbedienza e servizio che rendono l’anima libera. Obbedienza che la giovane ricercatrice Edith aveva rifiutato con energia e aveva interpretato come assoggettamento, come perdita, mentre nella sua parabola di maturazione si palesa come guadagno, come traguardo raggiunto. La stessa partecipazione alla vita professionale si dimostra un atteggiamento sapienziale e ricco di dedizione assoluta che non pone se stessa al centro dell’attenzione ma al margine, pur essendo, in realtà, il perno di tutto. Senza dimostrazioni o esternazioni, semplicemente nell’agire più corretto e vigilante. La donna e l’uomo o l’uomo e la donna? Per Edith Stein l’interrogativo è illusorio, quando non meschino o mal posto. Vi è un’interezza nell’ humanum che parla dell’origine e chiede, attraversando la storia, di esservi riportata con tutti gli eventi che l’hanno caratterizzata, con un solo balzo: «Nel ritorno a un rapporto di figli verso Dio». Nel grande mosaico della storia della salvezza, ecco l’uomo e la donna, insieme, che ne sono i grandi ma non unici protagonisti. L’intelligenza umana si ritrova agapica, fondata e fondante, ricevuta dal Creatore e sostenuta dal dono continuo e inesausto dello Spirito, per diventare sempre più simili al Figlio attraverso Mirjam, la Theotokos, la portatrice di Dio, donna che appartiene al genio femminile in misura colma e perfetta di quanto oggi diciamo “mettere al mondo il mondo”. Mirjam intesa come icona, immagine densa di presenza, «tutta santa eppure totalmente umana, donna nella ricchezza della sua femminilità». Colei che offre una sorta di sintassi di vita per tutte le persone e che Edith Stein considerava come Urzelle, cellula primordiale. l’autrice Pasquale Cati, «Il Concilio di Trento» (1588, particolare) Testa di Teresa in terracotta attribuita a Gian Lorenzo Bernini (1650 circa) In basso a destra, Edith Stein

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