donne chiesa mondo - n. 24 - giugno 2014

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO giugno 2014 numero 24 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Il mio amato è mio e io sono sua Il libro in cui Dio parla il linguaggio degli innamorati di G IANFRANCO R AVASI «N on c’è nulla di più bel- lo del Cantico dei canti- ci »: queste parole sono pronunziate da uno dei personaggi de L’uomo senza qualità , il capolavoro di Robert Musil, lo scrittore austriaco morto nel 1942, grande te- stimone della crisi europea del Novecento. Es- se esprimono l’ammirazione incondizionata che ha goduto questo libretto biblico di sole 1250 parole ebraiche. Un poemetto che ha me- ritato appunto il titolo di Shir hasshirim , Can- tico dei cantici , un modo semitico per esprime- re il superlativo: il “cantico” per eccellenza, il “canto sublime” dell’amore e della vita. Il massimo teologo protestante del Nove- cento, Karl Barth, non aveva esitato a definire questo scritto «la magna charta dell’umanità». Eppure questa «charta» del nostro essere uo- mini capaci di amare, di godere ma anche di soffrire, non è sempre stata letta in modo uni- forme perché le sue sfaccettature sono molte- plici e variegate come quelle di una pietra pre- ziosa. Sembra aver ragione un antico rabbino, Saadia ben Joseph (882-942), il quale compa- rava il Cantico a una serratura di cui si è persa la chiave: per aprirla si devono moltiplicare i tentativi. La chiave indispensabile per schiudere que- sto scrigno è, però, come spesso accade, la più immediata. Per comprendere il senso fonda- mentale di questo libro in cui Dio parla il lin- guaggio degli innamorati, è necessario usare la chiave delle sue parole poetiche, cioè di quello che un tempo si era soliti definire il senso let- terale. Infatti l’opera raccoglie il gioioso dialo- go di due persone che si amano, che si chia- mano per 31 volte dodî , “amato mio”, un vez- zeggiativo molto simile a quei nomignoli che gli innamorati si coniano segretamente per in- terpellarsi. Nel Cantico la donna e l’uomo trovano tutta la freschezza e l’intensità di una relazione che essi stessi vivono e sperimentano attraverso l’eterno miracolo dell’amore. È una relazione intima e personale, costruita sui pronomi per- sonali e sui possessivi di prima e seconda per- sona: «mio/tuo», «io/tu». La sigla spirituale e “musicale” del Cantico è in quella folgorante esclamazione della donna: dodî lî wa’anî lô , «il mio amato è mio e io sono sua» (2, 16). Escla- mazione reiterata e variata in 6, 3: ’anî ledodî wedodî lî , «io sono del mio amato e il mio amato è mio». È la formula della pura reci- procità, della mutua appartenenza, della dona- zione vicendevole e senza riserve. Questa perfetta intimità passa attraverso tre gradi. Conosce la bipolarità sessuale che è vi- sta come “immagine” di Dio e realtà «molto buona/bella», secondo la Genesi (1, 27 e 31), cioè rappresentazione viva del Creatore attra- verso la capacità generativa e di amore della coppia. Ma la sessualità da sola è meramente fisica. L’uomo può salire a un grado superiore intuendo nel sesso l’eros, cioè il fascino della bellezza, l’estetica del corpo, l’armonia della creatura, la tenerezza dei sentimenti. Con l’eros, però, i due esseri restano ancora un po’ “oggetto”, esterni l’uno all’altro. È solo con la terza tappa, quella dell’amore, che scatta la comunione umana piena che illumina e trasfigura sessualità ed eros. E sono soltanto la donna e l’uomo fra tutti gli esseri viventi che possono percorrere tutte queste tappe giungendo alla perfezione dell’intimità, del dialogo, della donazione d’amore totale. Il primo piano di lettura che dobbiamo adottare per percorrere questo incantevole All’interno dell’amore umano — e non pre- scindendo da esso, come si è fatto invece nella cosiddetta lettura “allegorica” che ha ridotto il Cantico a una larva spiritualeggiante — dobbia- mo cogliere un segno ulteriore, quello dell’amore trascendente di Dio per la sua creatura. È il secondo livello interpretativo at- traverso il quale il Cantico è diventato anche il testo della mistica cristiana: citiamo solo i Pensieri sull’amore di Dio di santa Teresa d’Avi- la e quel capolavoro letterario e mistico che è il Cantico spirituale di san Giovanni della Cro- ce, che si alimentano al Cantico dei cantici . La rappresentazione plastica più famosa di questo intreccio spirituale potrebbe essere l’ Estasi di santa Teresa del Bernini nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria: un an- gelo lancia la freccia dell’amore divino verso la santa che è immersa in un’estasi fisica e in- teriore di altissima intensità, spirituale e sen- suale. La vergine amante si abbandona a Dio attraverso un amore incandescente che perva- de tutto l’essere, anche fisico. È, questo, tra l’altro un filo tematico che corre nella stessa Bibbia: oltre ai già citati ca- pitoli 1-3 del profeta Osea, si leggano il capi- tolo 16 del profeta Ezechiele, certe tenerissime pagine di Isaia (54, 1-8 e 61, 10-62, 5), e anche l’appello che Paolo ha indirizzato agli Efesini: «I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la pro- pria moglie ama se stesso. Nessuno mai ha preso in odio la propria carne; al contrario la «Cosa vorrà dire secondo voi non commettere atti impuri?». «Forse vuol dire non uccidere uno, dentro?» (bambina di terza elementare a catechismo, Borgotrebbia). di L UCETTA S CARAFFIA C i sono stata, nella parrocchia di Borgotrebbia, alla periferia di Piacenza, invitata in uno dei gio- vedì sera in cui il parroco, don Pietro Cesena, raccoglie intorno a sé circa settanta ragazze e ragazzi, dai 16 ai 30 anni, provenienti dai quartieri più poveri della città. Il tema che viene affrontato da al- cuni anni è l’amore fra uomo e donna. I ra- gazzi, quasi tutti privi di una vera famiglia, mi hanno posto una serie di domande strin- genti: volevano capire qualcosa di più della temperie culturale che aveva portato i loro genitori, con tanta leggerezza, a disfarsi del legame familiare, incuranti del destino di so- litudine a cui condannavano il figlio. Voleva- no capire il senso di quell’utopia di felicità attraverso il sesso — cioè quella che siamo abituati a chiamare “rivoluzione sessuale” — che aveva distrutto le loro famiglie. Perché, e questo mi divenne subito chiaro, se la fine del legame con i genitori è difficile da vivere per i figli in ogni condizione, certo lo è molto di più nelle famiglie povere, dove non ci sono babysitter a rendere meno evi- dente e drammatica l’assenza dei genitori. I ragazzi che avevo di fronte avevano vissuto in case inospitali, dove non c’era quasi mai un pasto pronto ad attenderli dopo scuola, dove nessuno si occupava di loro per lunghe ore. Non era questione di genitori incapaci di educare, qui i genitori non c’erano proprio e i ragazzi portavano tracce di questa assen- za, di questa vita aspra e difficile, in ogni pa- rola, in ogni sguardo. Successivamente al nostro incontro, don Pietro ha proseguito nel lavoro, e ha chiesto loro di scrivere una risposta a queste doman- de: «Il tuo approccio alla sessualità è confor- me alla volontà di Dio o piuttosto secondo il tuo egoismo? Quali sono, secondo te, le cau- se, i fatti e le ferite che ti portano a vivere in questo modo?». Le risposte sono toccanti, e testimoniano tutte, nel complesso, che la ses- sualità, spesso precoce e indiscriminata, vis- suta da questi ragazzi nasce dalla ricerca di un contatto umano, di qualcuno che li accetti e li ami. È la ricerca di un surrogato dell’amore familiare che non hanno avuto, e si rivela ogni volta un’aspra delusione che non fa che esacerbare la loro solitudine. Le ragazze articolano di più il loro disagio, sono in grado di esporre con più profondità le motivazioni che le portano a questa vita, i ra- gazzi raccontano le pressioni del mondo esterno, tutte finalizzate a concentrare la loro attenzione sul sesso, la facilità del ricorso alla pornografia via internet. Ma alla fine si com- prende che la disperazione e la solitudine so- no uguali per entrambi i sessi. Scrive una ragazza: «Nessuno mi ha mai insegnato qual è la volontà del Signore per quanto riguarda la sessualità. Io però sono sempre cresciuta con la mia idea: avrei perso la verginità con chi in quel momento sentivo fosse quello giusto, che in quel momento avrebbe fatto l’amore e non il sesso. Poi, la persona più importante della mia vita, mia mamma, se n’è andata di casa. Ha preferito la sua felicità all’amore dei suoi figli. Io da quel momento non mi sono più sentita ama- ta da nessuno e ho pensato che nessuno sa- rebbe più riuscito ad amarmi. Proprio per questo motivo ho agito in modo egoista e ho soddisfatto un mio piacere. Sono andata a letto con un mio amico, tra noi non c’era un rapporto d’amore, nessun sentimento eccetto una semplice amicizia. E l’ho fatto. Perché? (…) Ho pensato di buttarmi via perché a nessuno importava di me e solo così provavo a ricevere un po’ di amore da quel ragazzo. Sono stata male dopo quella volta, ero a pez- zi. Ma l’ho rifatto ancora e ancora. In quei momenti non ragioni, non pensi a come po- tresti stare dopo, non pensi che sia inutile. Ma lo fai. Lo fai perché hai davanti un esem- pio di madre che ha buttato via la sua vita… E io allora cosa dovrei pensare? Che un gior- no riuscirò ad amare? Che un giorno non soffrirò per amore? Che un giorno arriverò a un punto che sarò disposta a morire per l’al- tro? Ora in me c’è solo tanta paura, paura di amare. Proprio per questo motivo sbaglio e mi comporto da egoista». Altrettanto lucida nella sua angoscia un’al- tra ragazza, che confessa come «in un attimo il mio bisogno di affetto è diventato una di- pendenza». E continua «mi è sempre stato detto che sono un errore, oltre a un errore mi sento un orrore, mi faccio schifo, non posso pensare a tutte le mani che mi hanno tocca- ta. Non ho importanza per nessuno. (…) So per certo che un padre non l’ho mai avuto, e mia madre era più che altro una convivente sbadata, che non si rendeva conto che nel cassetto non avevo sogni, ma una montagna di mutandine di pizzo». E ancora una ragazza, nel confessare la sua debolezza, scrive «le cause purtroppo le co- nosco benissimo, perché sono quelle con cui devo fare i conti ogni giorno, ovvero la mia insicurezza, il mio senso di solitudine che mi porta a pensare che possa essere colmato so- lo dall’altro sesso, il mio grande desiderio di essere amata». La separazione dei genitori continua a es- sere evocata come una ferita insanabile: «Ma l’aver visto fallire il matrimonio dei miei ge- nitori ha distrutto tutte le mie speranze, i miei sogni; la domanda che mi perseguita è: “Se sarò genitore farò ai miei figli il male che è stato fatto a me?”». Un’altra ragazza racconta come è entrata, per caso, «nel vortice della pornografia. Le chiamo pure io porcherie perché mi fanno vergognare e perché dopo che spengo tutto, mi disgustano, eppure ci sono momenti in cui cado ripetutamente. Quando studiavo era l’ozio a condizionarmi, oggi è il senso di fal- limento della mia vita affettiva che mi spinge con una forza maggiore rispetto a quella che in fondo vorrei che il Signore usasse per far- mi smettere». «Mi sono sempre detta: Lo fanno tutti, perché non dovrei?» scrive un’altra, ma «og- gi, dopo che mi sono riavvicinata alla Chiesa, dopo che ho ascoltato molto la Parola... beh... ora so di essere importante, so che il mio corpo è importante». La frequentazione degli incontri parroc- chiali — dove si sono sentiti accolti e amati — ha segnato per tutti un cambiamento. «E se proprio non posso dire di averlo afferrato — scrive un ragazzo — almeno ho intuito che una speranza c’è anche per me e questo per- ché l’ho vista in molti di voi che siete qui stasera, nella dignità con cui portate sulle spalle zaini pesantissimi, nella forza che ave- te di reagire che, se vi conosco almeno un po’, so che non vi appartiene... Non è di qui, ma di un altro mondo». Il romanzo Io sono Charlotte Simmons È bella e intelligente la matricola Charlotte, giunta con una borsa di studio dalle montagne del North Carolina per studiare alla Dupont University, l’Olimpo della cultura universitaria statunitense. Ma basta un attimo, e la facciata dorata si sgretola: dietro, la lotta all’ultimo sangue per il predominio accademico, razziale, sociale e sessuale. Non sarebbe potuto essere più brutale lo scontro con un mondo che le fa dapprincipio scavalcare sdegnosamente tutti i valori con cui è cresciuta. Sulla sua pelle, Charlotte realizzerà che questa mentalità luccicante e priva di valori, che fa del sesso la moneta centrale dello scambio, in realtà non porta da nessuna parte. E così, la studentessa si accorgerà che la sua grandezza sta proprio nell’essere diversa: «Io sono Charlotte Simmons». È incredibile questo romanzo che lo scrittore statunitense Tom Wolfe (classe 1931) ha firmato nel 2005: è il fallimento dell’utopia della liberazione sessuale. Ma è anche la via da percorrere per uscirne. (@GiuliGaleotti) Il film Gloria A cinquantotto anni, per sfuggire alla solitudine, Gloria si ostina a cercare ancora l’amore, il piacere, il sesso. È divorziata, ha due figli adulti, la sua ricerca della felicità sarebbe naturale se non si scontrasse con un mondo che la respinge, che la fa sentire fuori tempo e fuori luogo. Anche la sua passione per il ballo e l’amore per un uomo non riescono a donarle ciò che Gloria, alternando speranza e disperazione, insiste a cercare. Si possono vivere per tutta la vita le gioie della giovinezza? Si può aspirare anche quando questa non c’è più alle gioie che si sono avute negli anni precedenti? L’inquietudine è il sentimento dominante in questo film (2013) del regista cileno Sebastian Lelio interpretato da una splendida Paulina García. Gloria pensa di sì, non ha dubbi e, se questi affiorano, li caccia via insieme ai ricordi e alle esperienze negative. Vuole di nuovo quei doni, cerca la felicità in strade già conosciute. Vuole continuare a godere, a gioire, a brillare. Non rinuncia alla vita e all'amore ma, a un certo punto comprende che dovrà trovare altre strade e una nuova se stessa. Ci riuscirà? (@ritannaarmeni) Il saggio Donne, sesso e Chiesa Aborto, sesso, contraccezione, matrimonio, infertilità: scorrendo l’indice del volume curato dalla statunitense Erika Bachiochi, Donne, sesso e Chiesa (San Paolo 2011) si ha l’impressione di essere invitati a compiere un viaggio tra i capisaldi dell’impopolarità. Tra i bastioni anacronistici che l’istituzione cattolica si ostina a difendere, avendo in mente un mondo che non esiste più. Eppure, le otto voci femminili statunitensi che si susseguono dimostrano l’esatto contrario: nel promuovere il valore intrinseco della vita, la dignità dell’unione sessuale, l’indissolubilità del matrimonio e la differenza tra maschi e femmine, la Chiesa — come scrive Bachiochi — «protegge i più poveri tra i poveri». Il volume offre spunti interessanti, la discussione è aperta, ma sicuramente è indubbio che se il mondo si ostina a non capire, la responsabilità sta anche nel modo in cui chi parla sceglie di esprimersi. I contributi di queste teologhe, dottoresse, filosofe, economiste e giuriste — alcune laiche, altre religiose — sono una mano tesa verso il dialogo con chi vive loro accanto, senza comprenderle. (@GiuliGaleotti) Il Cantico dei cantici mette in scena l’amore tenero, primaverile Quello della coppia giovane e bella ma anche quello della coppia anziana ancora innamorata Il massimo teologo protestante del Novecento Karl Barth ha definito questo libretto biblico di sole milleduecentocinquanta parole la magna charta dell’umanità Salvatore Dalì, «Il Cantico dei cantici» (1971) Così ho iniziato a buttarmi via Inchiesta tra adolescenti che cercano nel sesso un antidoto al vuoto È la ricerca di un surrogato dell’amore familiare mai conosciuto Ogni volta però è un’aspra delusione capace solo di esacerbare la solitudine Don Giovanni e le prostitute minorenni per le strade di Roma Omissione di soccorso movimento sociale lo conosco- no bene. I nomi riempiono elenchi sufficientemente lunghi da far scattare l’allarme. «Per affrontare una emer- genza simile occorre una pa- storale adeguata. Servono energie e risorse. Al momento non credo che la risposta che noi forniamo sia in grado di opporsi alla vastità del feno- meno». I volontari che affian- cano don Carpentieri, prima di essere utilizzati in campo, ven- gono preparati adeguatamente. L’impatto con la realtà può es- sere psicologicamente duro. La misericordia è la lente attraver- so la quale devono entrare in contatto con le vittime. Servo- no occhi nuovi ma anche un cuore in grado di allargarsi per abbracciare le ferite, per tra- smettere il messaggio che la vi- ta in assenza di misericordia è terribile. «Il Papa insiste molto sulle periferie. La nostra presenza va rimodulata». Don Carpentieri pone al centro della sua rifles- sione il sistema complessivo Per affrontare un’emergenza simile occorre una pastorale adeguata La nostra risposta non è in grado di opporsi alla vastità del fenomeno L E RELIGIOSE DANNO UN CALCIO ALLA TRATTA Alla vigilia dei mondiali di calcio che si apriranno a giorni in Brasile, Talitha Kum, la rete internazionale di religiose contro il traffico di esseri umani, ha lanciato la campagna «Gioca per la vita, denuncia la tratta». Grazie anche alla collaborazione con Um grito pela vida, realtà locale che fa riferimento alla Conferenza dei religiosi brasiliani, l’iniziativa segue campagne simili realizzate con successo in occasione dei mondiali in Germania e in Sud Africa. Lo scopo — ha spiegato la missionaria comboniana Gabriella Bottani durante la conferenza stampa di presentazione che si è tenuta in Vaticano il 20 maggio — è quello di «smuovere l’indifferenza contro le diverse forme di tratta finalizzate allo sfruttamento sessuale anche minorile, al lavoro in condizioni di schiavitù e al traffico di organi. La tratta è del resto una delle forme più brutali di distruzione della dignità umana, di cancellazione dei sogni, delle speranze e della vita stessa di migliaia di persone». In questa edizione 2014, il luogo in cui si svolgono i campionati di calcio assume una valenza particolare: «Nello scenario internazionale, la complessità socioeconomica e geografica del Brasile lo caratterizza come un Paese in cui coesistono tutte le fasi del percorso delle vittime e del loro sfruttamento. Il Brasile è pertanto Paese di origine, transito e destinazione della tratta». Le vittime sono soprattutto donne giovani, povere e poco istruite. «Il messaggio della campagna è una proposta concreta, positiva, di vita. Durante la preparazione della coppa del mondo abbiamo osservato che le minacce e le opportunità giocano nello stesso campo: da un lato le possibilità di un maggior guadagno e speranza di migliorare le condizioni di vita, dall'altro un aumento delle situazioni di degrado sociale e minacce alla vita e ai diritti fondamentali». S UOR O FFALE E I BIMBI MISSIONARI IN E TIOPIA Imbracciati i loro quaderni, nei quali erano rappresentate le scene più salienti della prima Bibbia per bambini in lingua Oromo, sono partiti da Kofale, regione Arsi dell’Etiopia, i primi piccoli missionari pronti a evangelizzare i loro coetanei di Gode, un villaggio distante quindici chilometri di strade sterrate. Sono stati padre Bernardo Coccia, missionario cappuccino, e le suore Francescane Missionarie di Cristo ad aiutare i piccoli apostoli a muovere i loro primi passi con il Vangelo tra le mani per consegnarlo ai loro coetanei di Gode, alcuni dei quali ancora analfabeti. «Un’occasione per insegnare a leggere ai piccoli di Gode attraverso disegni da colorare e vignette animate, una esperienza nella quale i bambini di Kofale si sono sentiti protagonisti nell’annuncio della Parola del Signore» ha spiegato suor Offale, diretta responsabile di tutta l’animazione. «I nostri bimbi si sono impegnati per oltre un anno a prepararsi a questo loro “invio missionario”, hanno lavorato insieme a me e a padre Bernardo per la riuscita dell’evento. In questa terra prevalentemente musulmana, e soprattutto in questi poveri villaggi dove tutto è davvero complicato, dall’istruzione all’alimentazione, alla quotidiana sopravvivenza, non manca certo la solidarietà. E questo evento ne è stata la dimostrazione più emozionante, grazie alla quale un gruppo di piccoli “apostoli” ha manifestato la presenza del Signore e una fede smisurata nel Suo amore coinvolgendo altri piccoli». U N GIARDINO DI ROSE PER R ITA Roma ha doppiamente festeggiato santa Rita, la “santa delle rose”, lo scorso 22 maggio. Ventidue allievi dell’Accademia di Belle Arti della capitale italiana hanno infatti offerto una “rosa d’arte” per la santa degli impossibili in un’installazione collettiva pensata appositamente per la Sala Santa Rita, splendido monumento barocco attribuito a Carlo Fontana. In mostra opere realizzate con differenti tecniche artistiche, disseminate sul pavimento a simulare un giardino di rose per la santa di Cascia. L E MAMME CANGURO DEL S ENEGAL Nella sala color crema dell’ospedale pediatrico Albert- Royer di Darak, tre madri riposano pelle a pelle con i loro bimbi nati prematuri, che dormono adagiati sul loro petto. Sulla maglietta delle donne sono stati praticati dei fori, da cui fanno capolino — come da deliziosi marsupi — le testine dei neonati. Sono le mamme canguro raccontate, sul quotidiano francese «Le Monde», da Rémi Barroux. Questo metodo, messo a punto per la prima in Colombia nel 1983 da due pediatri, Rey e Martinez, costituisce un'alternativa alle incubatrici. Soluzione, seria, fondata e a costo zero, è la meravigliosa dimostrazione di come la natura sia ancora un’alternativa potente alla tecnica imperante. Certo, alle mamme canguro è richiesto uno sforzo di pazienza e immobilità. Ma i risultati — assicurano i medici — sono incontrovertibili. Nel marsupio i bimbi crescono e si rafforzano a vista d'occhio. di F RANCA G IANSOLDATI P otente, evocativa, impe- riosa. L’icona del buon samaritano si materializ- za davanti agli occhi di don Giovanni Carpentieri ogni vol- ta che, assieme a un gruppo di volontari, sulla sua utilitaria, imbocca il sentiero dei dimen- ticati. Viale Togliatti, periferia di Roma. Di giorno arteria pulsante, di notte squallido stradone dove, sotto i lampio- ni, sostano sul marciapiede troppe giovani. Vite a perdere in attesa di clienti. Specchio di un inferno esistenziale dai con- torni sfilacciati e ampi. Un fenomeno non più omo- geneo come poteva esserlo fino massimo donne trentenni. «In fondo che male c’è, si giustifi- cano tante ragazzine». Don Giovanni non ama entrare nel dettaglio di ciò che il gruppo dei samaritani trova ogni mer- coledì sera, settimana dopo settimana, mese dopo mese, con il cuore che a volte sembra scoppiare dal dolore per non riuscire a fare di più, nella di- sperata ricerca di stabilire un contatto umano sufficiente- mente forte da spezzare le catene della schiavitù psicolo- gica. A volte non si tratta nemme- no di schiavitù obbligata, del racket, del giro delinquenziale che costringe le immigrate a vendersi con la forza. Certo, ci sono anche quelle, e sono nu- merose, soprattutto rumene e nigeriane, ma accanto a loro, lentamente, a Roma è cresciuto un altro fenomeno, parallelo, silenzioso, subdolo: la prostitu- zione si è fatta ancora più am- bigua, si è insinuata persino nelle scuole, tra le minorenni, già alle medie. «È l’intero si- stema che dovrebbe interrogar- si su quello che sta accadendo sotto gli occhi di tutti». Que- sto coraggioso parroco usa toni severi. Da quindici anni ha scelto di operare nelle periferie dei lontani, andando a trovare i ra- gazzi alla deriva, proprio come Papa Francesco ha indicato nel suo programma pastorale. «C’è tanto bisogno di attivare una Chiesa da campo, un ospedale dell’anima capace di accoglie- re, aiutare, ascoltare chi è in ginocchio, sanguinante. C’è tanto bisogno di cristiani dal cuore generoso in grado di uscire dai propri confini per toccare i mondi lontani. La pa- storale che porto avanti, a pro- posito del disagio giovanile, ha bisogno di forze nuove, di vo- lontari». L’appello di don Gio- vanni viene esteso a quegli isti- tuti religiosi che nella capitale posseggono strutture un tempo piene di novizi ma oggi par- zialmente vuote, disponibili ad alloggiare le ragazze straniere in cerca di una vita diversa. «Purtroppo a Roma la pro- stituzione è un tema terribile, dato che il concetto per come lo abbiamo conosciuto è muta- to. Ci sono ragazzine di 12 an- ni che fanno sesso per una ri- carica telefonica, altre che lo fanno per potersi permettere un oggetto firmato, altre che lo fanno perché altre lo fanno, in- somma, per emulazione. Come se in tanti giovani si fosse or- mai perso il limite di quello che è giusto da quello che è sbagliato. Senza alcuna rifles- sione sul valore del proprio corpo e della propria identità». Sulla strada, la sera, i volon- tari incontrano anche prostitu- della capitale. Che include l’in- trinseca debolezza delle fami- glie, la fatica delle scuole a for- nire modelli positivi ai ragazzi, il declino dell’autorità come concetto portante, l’etica com- portamentale orientata all’op- portunismo, al materialismo, al relativismo. Il fenomeno della prostituzione minorile emerso in tutta la sua drammaticità a seguito dell’inchiesta della ma- gistratura sul caso dei Parioli è la punta di un iceberg. «Il problema è che non riflettiamo sul perché il sistema tende a essere indulgente con i clienti. Spesso sono padri di fami- glia». Già, spesso si tratta di genitori di ragazzine della stes- sa età delle minorenni prostitu- te. «A 15 anni un’adolescente non è formata nella coscienza, è un ramoscello che potrebbe anche spezzarsi. Anche se por- ta i tacchi alti e fuma le siga- rette. E così nessuno vuole sentire parlare di pedofilia, perché per legge questo reato scatta sotto i 14 anni». Scuote la testa don Giovan- ni. E ha ragione, perché basta parlare con psichiatri infantili e pedagogisti per capire che tra 13 anni e 16 anni non cambia molto, in termini di danni psi- cologici. I traumi resteranno per tutta la vita. «Il fatto che non si sono ancora percepiti l’entità, la gravità, l’orrore di questo fenomeno, né il disagio conseguente, fa capire che si vive sul pianeta Marte. Eppure basterebbe andare in giro e os- servare con occhi attenti. Il di- sagio giovanile, la perdita di valori, la deriva di tanti, troppi giovani è palpabile». Restare a guardare, non in- dignarsi, non pretendere una inversione di rotta equivale a una omissione di soccorso. Il buon samaritano non si com- porterebbe mai così. te rumene molto spi- gliate che, senza trop- pi giri di parole, con- fessano di essere lì perché è più facile guadagnare, incuranti delle conseguenze. Se- gno dei tempi. Polizia e carabinieri, magistra- ti e terapeuti, sociolo- gi ed educatori questo spartito poetico è, dunque, quello nuziale, naturalmente con tutti i colori e i simboli dell’oriente. Nel 1873 il console di Prussia a Damasco, Johann Gottfried Wetzstein, aveva tentato di confrontare le cerimonie nuziali dei beduini e dei contadini siriani con quelle che sono citate nel Cantico : feste di sette giorni, incoronazione dello sposo e della sposa col ti- tolo di re e di regina (nel Cantico l’amato è talora identificato col re Salomone); il tavolo nuziale detto “trono”, la danza dei “due campi” (vedi 7, 1), inni descrittivi della bellez- za fisica della sposa e della potenza dello sposo. Nel Cantico è in scena, quindi, l’amore tene- ro, “primaverile”, presente non solo nella cop- pia bella di due giovani innamorati ma, po- tremmo dire, anche nell’immutata tenerezza di una coppia anziana ancora innamorata. Un primato è assegnato soprattutto alla femminili- tà perché nel Cantico la donna è più protago- nista dell’uomo, nonostante il sedimentato maschilismo dell’oriente da cui l’opera provie- ne. Significativa per il nostro tema è l’attenzio- ne riservata al volto dei due innamorati. Cer- to, tutto il corpo — inteso come segno di co- municazione — è coinvolto nel poema: ci sono le braccia, la mano e le dita, il cuore, il seno, il ventre, i fianchi, l’ombelico, le gambe, i pie- di, le carezze, la pelle scura. Ma centrale è il volto, descritto in tutti i suoi tratti: dal capo al collo, dalle guance agli occhi, dalla bocca alle labbra, dal palato ai denti, dai capelli fino ai riccioli. È il volto il segno più vivo e auten- tico del dialogo, dell’incontro, della comunio- ne di vita, pensiero e sentimento. Il Cantico è, poi, un inno continuo alla gioia di vivere: quando il cielo è spento dalle nuvole — scriveva Paul Claudel — la superficie di un lago è piatta e metallica; quando brilla il sole essa si trasforma in uno specchio mira- bile delle tinte del cielo e della terra. Così, in- fatti, è della vita dell’uomo quando si accende l’amore: il panorama è sempre lo stesso, il la- voro è sempre monotono e alienante, le città anonime e fredde, i giorni identici l’un l’altro; eppure l’amore tutto trasfigura e allora si ama e si vede tutto con occhi diversi perché l’uo- mo sa che alla sera incontrerà la sua donna. L’amore umano, però, conosce anche la cri- si, l’assenza, la paura, il silenzio, la solitudine. Ci sono nel Cantico due scene notturne (3, 1-5 e 5, 2 - 6, 3) piene di tensione in cui l’uomo e la sua donna sono lontani e si cercano dispe- ratamente senza ritrovarsi. L’apice del poema biblico è in 8, 6 ove si mette in tensione dia- lettica amore e morte: «Potente come la morte Tutto il corpo inteso come segno di comunicazione è coinvolto nel poema Ma grande attenzione è riservata al volto Capo, guance, occhi, bocca, collo, labbra, capelli segni per eccellenza di comunione di vita e di pensiero è amore, / inesorabile come gli inferi la pas- sione: / le sue scintille sono scintille ardenti, / una fiamma del Signore» (curiosamente è l’unico verso del Cantico in cui risuoni il nome divino Jah/Jhwh). In quel duello estremo il poeta sacro è certo che l’amore debba pre- valere, come Dio è vincitore della morte e del male. Il Cantico è, quindi, prima di tutto la cele- brazione dell’amore umano e del matrimonio. Tuttavia, in questo amore il poeta biblico in- travede quasi un seme dell’amore eterno e per- fetto con cui Dio ama la sua creatura. Non di- mentichiamo, infatti, che già il profeta Osea nell’ VIII secolo prima dell’era cristiana, aveva usato la sua drammatica esperienza matrimo- niale e familiare trasformandola in una para- bola dell’amore di Dio per il suo popolo Israele ( Osea , 1-3). Questa trasmutazione te- matico-simbolica appare implicitamente anche nel Cantico . valore di segno teologico è proprio il Cantico . Dio, infatti, come insegna la prima lettera di san Giovanni, «è amore». Un antico testo giu- daico commentava così il viaggio di Israele nel deserto del Sinai: «Il Signore venne dal Sinai per accogliere Israele come un fidanzato va incontro alla sua fidanzata, come uno spo- so abbraccia la sua sposa». Il Cantico , quindi, deve accompagnare gli innamorati nelle tappe oscure e serene, nel ri- so e nelle lacrime di quella stupenda vicenda che è il loro amore. Ma il Cantico è nella sua meta terminale la figura suprema dell’amore tra Dio e la sua creatura, per cui esso diventa un testo capitale soprattutto per tutti i credenti. Perciò, aveva ragione il grande scrittore cristia- no del III secolo Origene di Alessandria quan- do scriveva: «Beato chi comprende e canta i cantici delle Sacre Scritture! Ma ben più beato chi canta e comprende il Cantico dei cantici !». nutre e la cura, come fa Cri- sto con la Chiesa, perché siamo membra del suo cor- po. Per questo l’uomo lasce- rà suo padre e sua madre e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è gran- de: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (5, 28-32). Ma nella Bibbia il testo che maggiormente fa ri- splendere la meraviglia dell’amore umano e il suo a qualche anno fa, anche se il filo conduttore rimane sempre l’essere alla deriva. Tacco dodi- ci, extension, rossetto rosso fuoco, donne bambine che po- trebbero trarre in inganno, ma il documento d’identità non offre scampo. Vite segnate, sul- le quali pesano già traumi in- sopportabili, forse recuperabili attraverso lo sguardo dolce del buon samaritano. Ecco cosa vede ogni volta che don Gio- vanni si mette in moto, anima- to dalla fede e dal bisogno di non restare inerte davanti a tanto scempio. Roma nella sua sfaccettata vitalità include, purtroppo, non poche zone oscure, popo- late da vittime giovanissime, al Leslie Allen, «Best friends forever» (2012)

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