donne chiesa mondo - n. 17 - novembre 2013

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne L’eucaristia di Papa Francesco a Santa Marta Gabriela e le ostie dal carcere di L UCETTA S CARAFFIA L e ostie costituiscono la materia più preziosa che si usa nel rito liturgico perché diventano — nella consacrazione — il corpo di Cristo. Proprio per questo è sempre stata tradizio- ne che venissero preparate dalle mani più pure, quelle delle ver- gini dedicate a Dio, le suore di clausura. E con procedimenti an- tichi, non certo in modo industriale. Proprio per questo non es- sere semplice materia, ma materia che si appresta a trasformarsi nella transustanziazione, possono esercitare un’influenza positiva su chi le prepara. È proprio quello che devono avere pensato le suore benedetti- ne di San Isidro, sobborgo di Buenos Aires, posto nelle vicinan- ze di un penitenziario, che hanno deciso di condividere l’onore della preparazione delle ostie con le de- tenute. Nel realizzare la preparazione — che comprende un ciclo completo a partire dalla macina del gra- no per arrivare all’ostia finita — si è distinta una detenu- ta, reclusa nella Uni- dad 47 del peniten- ziario di Buenos Ai- res, che da un anno prepara ostie di otti- ma qualità. L’idea di coinvolgere le dete- nute nella prepara- zione delle ostie è stata accolta e ap- poggiata dal cappel- lano della prigione, Jorge García Cueva, e dal presbitero Juan Ignacio Pandolfini, i quali hanno notato come, da quando è stata indirizzata alla preparazione delle ostie, la detenuta Gaby C. è «riuscita a dare un senso alla sua vita di reclusio- ne» tanto da non cadere più nelle sue fasi di depressione. La produzione di questo laboratorio serve a rifornire varie par- rocchie e collegi della diocesi, e la domanda cresce in momenti dell’anno speciali, come la Settimana santa, il Corpus Domini e il Natale. Ma non solo: da qualche mese queste ostie — proprio le migliori, quelle preparate dalla detenuta Gaby C. — sono arri- vate al Papa, che dal 10 luglio celebra con queste la sua messa quotidiana nella cappella di Santa Marta. Pochi giorni dopo aver ricevuto il regalo delle ostie, Francesco ha scritto una lettera alla detenuta: «Cara Gabriela, monsignor Ojea mi ha portato la sua lettera. La ringrazio per la fiducia… e per le ostie. Da domani celebrerò la messa con esse e le assicuro che questo mi emoziona. Il suo racconto mi ha fatto pensare, e questo mi porta a pregare per lei… ma mi dà gioia e sicurezza che lei preghi per me. La terrò vicina. Grazie ancora di avermi scritto e di avermi mandato le foto: le terrò davanti a me sulla mia scrivania. Che Gesù la benedica e la Vergine Santa abbia cu- ra di lei. Cordialmente, Francesco». La gioia e l’emozione provocata da questa lettera nella squadra della pastorale carceraria e soprattutto in Gaby sono indicibili. La donna si è sentita rimarginare le ferite provocate dalla prigio- nia — molestie, maltrattamenti e in sostanza un regime che pro- voca la sua svalutazione come persona — e ha commentato: la parola del Papa «mi dà conforto, non solo per me, ma anche per i miei genitori, che sono molto credenti». Il successo della scelta di inserire le detenute nel processo di preparazione delle ostie ha fatto riflettere i membri della pastora- le carceraria, che hanno così trovato modo di fare un bilancio del proprio lavoro. Ci sono molte e molti Gaby — confermano i re- sponsabili della pastorale nelle carceri — e «oggi lei è il simbolo degli incarcerati, è la voce di tutti gli esclusi che accompagniamo e visitiamo in ogni padiglione, in ogni cella. Non abbiamo dubbi che sia la voce di Gesù incarcerato in ognuno di essi, che grida alla società per essere ascoltato, accompagnato e riconosciuto. Il carcere ci porta la misericordia di Dio per fare udire questa voce dei dimenticati ed emarginati, che nella nostra società ci rifiutia- mo di vedere e di ascoltare». Latte, ruota e libro La santa del mese raccontata da Luisa Muraro «L a santa Caterina era fi- glia d’un re». Così co- minciava una filastroc- ca scherzosa che can- tavamo da ragazze. Raccontava il conflitto tra Caterina d’Alessandria e suo padre pagano. In real- tà, cioè nella leggenda ufficiale (non c’è storia documentata), il conflitto che la porta al martirio è con l’imperatore roma- no Massimino. Ma sempre di uomini che fanno la legge si tratta. Le origini regali sono un attributo me- taforico delle donne che danno prova d’indipendenza simbolica, quelle che Annarosa Buttarelli chiama «sovrane» in un libro che ha proprio questo titolo. Di Guglielma Boema dicevano che era figlia e sorella di re (e forse era vero alla lettera); ascendenze regali Margherita Po- rete attribuisce simbolicamente alle «ani- me annientate» e la poetessa Emily Dickinson a sé. L’iconografia conferma le origini regali di Caterina, che tra i santi è riconoscibile per alcuni simboli che sono la corona in testa, un libro in una mano, spesso la pal- ma del martirio nell’altra, e una ruota ai suoi piedi. L’imperatore l’aveva condannata alla tortura della ruota, che miracolosamente non funzionò; ordinò allora il taglio della testa che si staccò dal corpo facendo sgor- gare non sangue ma latte. Lei divenne co- sì la patrona dei fabbricanti di ruote e del- le donne che allattano. E il libro? L’impe- ratore tentò di riportarla al culto degli dei e le mandò a questo scopo cinquanta filo- sofi, ma fu lei a convincere loro della su- periorità del messaggio cristiano, diven- tando così la patrona dei filosofi. Latte, ruota, libro, davvero una magnifica costel- lazione di simboli. Di questa grande santa della Chiesa orientale molte cose evocano la figura sto- rica di Ipazia d’Alessandria, filosofa neo- platonica martirizzata nel 415 da un grup- po di cristiani fanatici al tempo del vesco- vo e padre della Chiesa Cirillo, che la considerava con un’ombra di gelosia per il grande seguito di cui godeva. Alcuni han- no avanzato l’ipotesi che santa Caterina d’Alessandria sia una figura creata per ri- parare e coprire questo misfatto. Non ci sono prove. D’altra parte non ci sono pro- ve nemmeno dell’esistenza storica della martire cristiana. È per questo che il suo culto è stato limitato ma, fortunatamente, non soppresso. Il vantaggio delle figure leggendarie è che si offrono alla nostra fantasia senza preclusioni. Caterina è stata per secoli una presenza viva nella pietà popolare e un esempio di grandezza femminile. Quando, dall’Oriente si diffusero in Occidente i racconti dei pellegrini e dei crociati, l’Eu- ropa si popolò di donne di nome Cateri- na, e di cappelle o chiese con lo stesso ti- tolo. Nella basilica di San Clemente in Roma a santa Caterina è intitolata una cappella affrescata da Masolino da Panicale. Fra le chiese, la più imponente è forse la basilica di Galatina, nel Salento. Il ciclo pittorico a lei dedicato comincia mostrandola che entra, seguita da altre donne, nel luogo di un culto pagano, alza il braccio indicando Dio. Il documento più impressionante di ciò lo offre il processo di condanna di Giovanna d’Arco. Santa Caterina, insieme a santa Margherita, anche questa venuta dall’Oriente, è una presenza costante al fianco di Giovanna, accusata di essere una strega e un’eretica: «Santa Caterina ha detto che verrà in mio aiuto», «Santa Ca- terina mi risponde subito», «Su questo mi consiglierà santa Caterina» e così via. Nelle prime udienze, lei parla delle voci che le trasmettono la volontà divina, ma senza dargli un nome. L’inquisitore la in- calza, vuole che dica se era la voce di un angelo, di un santo o di una santa, oppu- re «quella di Dio senza intermediari». Formula insidiosa, quest’ultima, del che la giovane donna — aveva diciannove an- ni — sembra avvertita, perché a questo punto dà al giudice l’in- formazione richiesta: «Erano le voci di santa Caterina e di santa Margherita, che han- no il capo cinto di belle corone, ornate e prezio- se». Aggiunge: «Dio mi ha permesso di rivelar- lo», spiegando così la sua passata reticenza. Il testo del processo rappresenta un documen- to, storico e spirituale in- sieme, stupefacente. Illustra un conflitto che sembra fatal- mente impari, tutto essendo dalla parte del tribunale, auto- rità, esperienza, dottrina, potere, e tutto invece che finisce per sbi- lanciarsi dall’altra parte, di una diciannovenne che difende il suo onore di cristiana e la sua libertà di coscienza. A questo servono le sante e i santi, suppongo. Filosofa e scrittrice, Luisa Muraro ha insegnato a lungo all’università di Verona. È stata tra le fondatrici della Libreria delle Donne di Milano e della comunità filosofica Diotima. È autrice, tra gli altri, di Il pensiero della differenza sessuale (1987), L’ordine simbolico della madre (1991), Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità (1994), Lingua materna, scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete (1995), Le amiche di Dio (2001), Il Dio delle donne (2003), Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna (2011), Dio è violent (2012), Autorità (2013). Statua di legno dipinto di santa Caterina, vincitrice dell’imperatore ( XV secolo) «Era figlia d’un re» cantavamo In realtà il conflitto di Caterina era con l’imperatore, non con il padre Ma si tratta comunque dello scontro con maschi che fanno la legge Questa donna libera che disobbedisce agli uomini per obbedire a Dio è stata per secoli una presenza viva nella pietà popolare il cielo e predica; gli adoratori degli idoli — alcuni vestiti da prelati! — non le presta- no attenzione ma l’imperatore sì: dal tro- no punta un dito sulla contestatrice e i due, entrambi incoronati, si fronteggiano in primo piano, a destra e a sinistra del quadro. Ci sono anche testimonianze scritte. Si legge, negli atti del processo contro la “setta” guglielmita, ai tempi di Papa Bonifacio VIII , che le devote di Guglielma aggiravano i divieti dell’Inquisizione venerando la loro santa sotto le sembianze di santa Caterina che facevano dipingere in questa o quella chiesa della città. Arrivando in Europa Caterina non per- se il suo tratto di donna libera capace di disobbedire agli uomini per obbedire a

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