donne chiesa mondo - n. 16 - ottobre 2013

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Alla madre scomparsa Guardo le mie mani e ti vedo di N ORA F REY Q uando morì mia madre io ero lontana, vivevo in un altro paese, non sono potuta andare al suo fu- nerale, non potevo immaginarla chiusa in una cassa di legno, era impossibile per me realizzare che non l’avrei potuta vedere mai più. Non volevo che mo- risse, però sapevo che non potevo fare altro che aspettare la fine, lontano. Ogni squillo del telefono per Natale, il giorno del mio compleanno o quello di mio figlio, mi portava il suo ricor- do. Ho potuto realizzare la sua morte, quando dopo un an- no, un’amica mi ha prestato i soldi del biglietto e io sono tornata. Lentamente i miei passi percorrono la distanza dalla casa dei miei al cimitero, l’ultimo cammino fatto da mia madre piano un estremo del lenzuolo e trovo tre fiori secchi con un biglietto scritto da mio fratello che diceva: “In ricordo della nonnina i tuoi nipoti, Federico, Matías e Facundo”. Sono uscita, cerco una risposta a non so quale domanda, lei non c’è, se ne era andata e io ero in un paese lontano; non piangevo, non era del pianto che avevo bisogno, bensì di una risposta a mille domande; alla fine ho capito, lei non era lì, lì c’era un corpo che si sarebbe sfumato nel tempo, invece lei era dappertutto io andassi, in qualsiasi parte del mondo io stessi, nei miei pensieri, nel mio ricordo. Sono all’aeroporto di Ezeiza, aspetto l’aereo che mi porte- rà di regresso a Roma; guardo le mie unghie con lo smalto che mi ha fatto mettere la mia amica Alicia da una signora che viene a domicilio e fa questo mestiere. L’atto in sé sem- bra superficiale e trascendente, ma quando è morta mia ma- dre, la prima cosa che veniva alla mia mente quando pensa- vo a lei erano le sue mani, le mani che io appoggiavo sul mio viso e lì rimanevo per ore, accompagnando la sua ago- nia, come se volessi registrare per sempre il suo calore, la sua tenerezza, il suo amore materno, la sua sofferenza, la sua tristezza, la sua paura della morte, dello sconosciuto, della solitudine. Molte volte mi capitava di vedere le mie mani come se fossero le sue, come una sovrapposizione, si muovevano facendo gli stessi gesti e qualcosa dentro di me non lo voleva, voglio ricordare le sue, ma voglio le mie ma- ni, voglio essere io. Sto cercando di registrare nella mia mente, per non di- menticare mai più, tutte le sensazioni che mi ha trasmesso nel corso della mia vita. E adesso che guardo le mie mani e vedo le unghie rosse, il movimento lento di piccoli gesti che mi appartengono, sento che mi stacco dal dolore e sorrido nel suo ricordo. L’aereo atterra a Fiumicino, chiudo gli occhi e percepisco il futuro. La bimba che implorò il Papa La santa del mese raccontata da Elena Buia Rutt Elena Buia Rutt è nata nel 1971 e vive a Roma. Laureata in lettere e poi in filosofia, ha collaborato ai programmi culturali di Radio 3 e attualmente lavora a Rai Educational come autrice televisiva. Ha scritto Verso casa: viaggio nella narrativa di Pier Vittorio Tondelli (Fernandel 2000) e Flannery O’Connor: il mistero e la scrittura (Àncora 2010). Nel 2008 per Àncora ha tradotto — insieme al marito, Andrew Rutt — le poesie di Rowan Williams, già arcivescovo di Canterbury ( La dodicesima notte ) e nel 2011, per Rizzoli, parte dei testi inediti di Flannery O’Connor ( Il volto incompiuto ). Nel gennaio 2013 per la rivista «Testo a fronte» (Marcos y Marcos) ha tradotto una serie di poesie del premio Pulitzer statunitense Mary Oliver. Ti stringo la mano mentre dormi (Fuorilinea 2012) è invece la sua prima raccolta di versi. Santa Teresa offre a Gesù crocifisso delle rose bianche (vetrata della Basilica di Santa Teresa di Lisieux, Francia, 1937) La spiritualità di Teresa di Lisieux rifiuta ogni retorica devozionale Vivendo un rapporto appassionato e diretto con un divino che irrompe nel quotidiano Il concorso letterario Lingua madre Ideato nel 2005 da Daniela Finocchi, il concorso letterario Lingua Madre è il primo in Italia espressamente dedicato alle donne straniere (anche di seconda o terza generazione) residenti nel Paese che, utilizzando la lingua di arrivo (cioè l’italiano), intendono approfondire il rapporto fra identità, radici e mondo “altro”. Negli anni il concorso è così diventato un’opportunità per dare voce a chi abitualmente ne è privo, e in particolare alle donne che nel dramma della emigrazione/immi- grazione sono discriminate due volte. Il racconto che pubbli- chiamo Lontano. Insieme , scritto da una donna argentina che vive e lavora in Italia, è tratto dal volume — curato da Daniela Fi- nocchi nel 2006 — Lingua Madre Duemilasei Racconti di donne straniere in Italia. senza la mia presenza, senza che io potessi piangere e abbracciarla per l’ultima volta; penso che chi ha la fortuna di accompa- gnare i suoi cari nell’ultimo pezzo di strada su questa terra può elaborare il lutto più velocemente di chi sta lontano. Ogni passo è un ri- cordo, una sensazione vissuta, un profumo, un odore di cucina, un sorriso, un’angoscia, una tristezza, una pa- rola, una carezza, ogni passo è lei al mio fian- co; sono davanti a quello che da noi si chiama “pantheon” (dove riposano tutti i membri della fami- glia), mi fermo, cerco le chiavi, apro la por- ta, sento che mi manca l’aria, esco, avevo in mano un mazzo di fio- ri e decido di sistemar- li; la bara è avvolta da un lenzuolo ricamato, la tocco, sento qualco- sa sotto, levo piano L ettere, poesie, manoscritti autobiografici, ricreazioni in forma di teatro: l’edizione critica degli scritti di santa Teresa di Li- sieux supera le millecinquecento pagine. Nati in occasioni diverse, essi costituisco- no la via per eccellenza per accostarsi all’esperienza spirituale di una giovane donna dalla «grandezza umana e terribile», come la definì la scrittrice ameri- cana Flannery O’Connor, a lei devota. Scritti dal linguaggio povero e a volte infantile, ma capaci di veicolare la “scienza” di un amore appassionato e ra- dicale, in nome del quale Teresa fu proclamata santa da Pio IX nel 1925, patrona delle missioni due anni dopo e, nel 1997, Dottore della Chiesa universale da Giovanni Paolo II . Nata nel 1873 in Normandia e vissuta poco più di ventiquattro anni, di cui nove tra le mura della clau- sura di Lisieux, Teresa — che non aveva frequentato corsi teologici e non aveva neppure letto per intero la Sacra Scrittura (pratica a quel tempo proibita alle monache) — si è rivelata e si continua a rivelare una pietra miliare della spiritualità cristiana. La sua dot- trina della “piccola via” indica come tutti gli uomini, con le proprie forze e soprattutto nel proprio conte- sto quotidiano, possano venire in diretto contatto con la parola di Dio, presente nella persona di Ge- sù: un Dio inteso come fonte di perdono e miseri- cordia a cui abbandonarsi completamente; un Dio che va in cerca di coloro che sono piccoli e impo- tenti. All’età di nove anni, Teresa, prostrata dalla morte della madre e dal distacco dalla sorella Paolina ap- pena entrata nel Carmelo, volgendo lo sguardo ver- so la statua della Madonna posta accanto al suo let- to, vede la Vergine sorriderle. Era il 13 maggio 1883 e, all’istante, guarisce da un lungo periodo di grave prostrazione psico-fisica. Ma quando le sorelle e le suore la pressano riguardo ai particolari della sua vi- sione, la bambina si sente infastidita, umiliata. Rac- conta in Storia di un’anima , la sua autobiografia: «Mi domandavano se la Santa Vergine portava in braccio il piccolo Gesù, o se c’era molta luce, eccete- ra. Tutte queste domande mi turbarono e mi fecero soffrire; potevo dire una cosa sola: “la Santa Vergine mi era sembrata molto bella… e l’avevo vista che mi sorrideva”». La spiritualità di Teresa rifiuta ogni retorica devo- zionale, vivendo un rapporto diretto, personale, ap- passionato con un divino che irrompe nella vita in situazioni pratiche, quotidiane. Come nel caso della grazia della notte di Natale 1886, quando la bambina — acconsentendo alla chia- mata, lucidamente percepita, di Gesù — domina i suoi capricci e si avvia verso la maturità spirituale. Da quel momento in poi Teresa ha le idee chiare, anzi, chiarissime, riguardo al suo futuro: vuole en- trare il prima possibile nella clausura del convento di Lisieux. All’opposizione del vescovo di Bayeux, sollevata a causa della sua giovane età, reagisce “co- stringendo” il padre a un viaggio in Italia, a seguito di un gruppo di pellegrini francesi, e culminante nell’udienza papale in Vaticano. Nonostante il rigi- do protocollo proibisca di rivolgere la parola a Leo- ne XIII , ma solo di sfilargli davanti in processione per ricevere la benedizione, Teresa, proprio nel mo- mento in cui le forze le vengono meno, si gira verso la sorella Celina, che la incoraggia: «Parla!». Così, quando giunge il suo turno, nello stupore generale, anziché baciare la mano del Papa, Teresa gli chiede in lacrime di permetterle di entrare nel Carmelo a quindici anni. Non soddisfatta della risposta di Leo- ne XIII («Andiamo… Andiamo… Entrerete se il buon Dio lo vuole»), viene “cortesemente” fatta al- zare dalle guardie papali. Eppure i fatti, da questo momento in poi, subiscono un’accelerazione inaspet- tata e l’anno seguente, il mattino del 9 aprile 1888, Teresa, non ancora sedicenne, entra al Carmelo di Lisieux per restarvi tutta la vita con il nome di Tere- sa di Gesù Bambino. La vita in convento — nonostante la presenza del- le sorelle Paolina, Maria e Celina — non è facile. Nei suoi scritti Teresa annota le umiliazioni ricevute, ma tuttavia non perde nessuna occasione per dimostrare concretamente a Gesù il suo amore. Rende in segre- to dei piccoli servizi alle consorelle, svolge occupa- zioni che le altre evitano; si presenta con volto sorri- dente dinanzi a chi detesta, accetta delle accuse in- giuste. Nella notte tra giovedì e venerdì santo del 1896, consumata dalla vita austera in clausura e dal- lo slancio per quest’amore che l’ha condotta a offrir- si come vittima dell’olocausto all’amore misericor- dioso del buon Dio, ha la sua prima emottisi. Da quel momento in poi inizia a sperimentare, oltre agli assalti della tubercolosi, le tenebre dell’assenza della fede. Eppure, anche in questa «notte del nulla», l’intel- ligenza d’amore di Teresa riesce a trasformare il dramma in cui sembra imprigionata senza scampo, in un’offerta al Signore delle sue sofferenze, proprio per i non credenti. Nei suoi ultimi giorni di vita, durante una terribile agonia, pronuncia la famosa frase, che lo scrittore Georges Bernanos metterà sul- le labbra del sacerdote morente, protagonista del Diario di un curato di campagna : «Tutto è grazia». Alla sua morte, avvenuta nel 1897, Teresa è scono- sciuta, ma quando viene canonizzata, ventotto anni più tardi, la fama della sua santità si è già sparsa ra- pidamente in tutto il mondo.

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