donne chiesa mondo - n. 16 - ottobre 2013
women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO ottobre 2013 numero 16 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Come Gesù lavora costantemente nelle nostre vite Le parole della mistica cattolica che collaborò con Hans Urs von Balthasar Adrienne von Speyr (La Chaux-de-Fonds, 20 settembre 1902 — Basilea, 17 settembre 1967) è stata una delle più importanti mistiche cattoliche del Novecento. Prima donna a esercitare la professione di medico in Svizzera, ebbe la vita segnata da intense illuminazioni fin dall’infanzia, vissute con un certo disagio nella sua confessione protestante di nascita. Si convertì al cattolicesimo a trentotto anni, nel 1940, a seguito di un lungo periodo di crisi e di ricerca, poco dopo avere conosciuto il gesuita Hans Urs von Balthasar, uno dei maggiori teologi cattolici del Novecento. A lui rimase poi sempre legata da un intenso rapporto spirituale e con lui iniziò una proficua collaborazione intellettuale. Alla dedizione al prossimo, al quale rivolse tutta la sua missione di medico, unì una vita familiare — si sposò due volte, dopo una vedovanza — e soprattutto una intensa vita spirituale, incentrata in particolare sul mistero trinitario. Punto di origine della sua teologia creativa è infatti la Trinità di Dio, che dall’eter- nità ama, dialoga, crea. Questa vicinanza al centro del mistero cristiano, insieme con la chiarezza e la forza espressiva della sua scrittura, fanno della sua opera una delle più penetranti e incisive presenta- zioni della dottrina cristiana. Per Adrienne von Speyr la vita di fede è fonte di gioia e di pace, anche se non viene risparmiata al credente (e tanto meno al mistico) la croce: in questo senso importanti so- no le sue esperienze relative al sabato santo. Soprattutto la seconda parte della sua vita, raggiunta fi- nalmente la pace spirituale dopo la conversione, fu segnata da malattie gravi, sofferenze pesanti e infine dalla cecità. Morì nel 1967, dopo avere ricevuto il dono delle stimmate, proprio il giorno della festa di santa Ildegarda, anch’essa medico e mistica. Il brano che pubblichiamo è tratto da «Drei Frauen und der Herr» (“Tre donne e il Signore”, in italiano per Jaca Book). di A DRIENNE VON S PEYR G li incontri di Gesù con gli uomi- ni sembrano essere, nel Vangelo, del tutto casuali. Alcuni perso- naggi appaiono e riscompaiono, schiere intere lo seguono e di- ventano testimoni dei suoi miracoli e ascolta- tori della sua predicazione. La maggior parte rimane anonima; alcuni appaiono solamente perché la situazione sia chiaramente delineata, potrebbero quasi essere sostituiti da altri. Ma vi sono anche persone che, un po’ alla volta o d’improvviso, emergono da una certa oscurità per personificare da quel momento in poi, di- nanzi allo sguardo meditativo della Chiesa, la forma di un particolare servizio reso al Si- gnore. Quando appaiono ci si accorge che già da tempo sono state oggetto della considerazione e dell’accettazione del Signore. Egli le ha pre- scelte, le ha accolte molto prima che esse lo sapessero. E per il momento, fin quando esco- no dalla segretezza in lui, egli le sostiene. Al- cune hanno già il presentimento che un gior- no egli avrà bisogno di loro, che già oggi ne ha bisogno, anzi, che addirittura ne ha già avuto bisogno; il rapporto che esiste tra loro e lui, rapporto che lui solo ha istituito, non è loro completamente sconosciuto. Vi sono però anche persone che non sanno, che lo hanno incontrato in totale nascondimento, senza che per esse sia stata fatta luce, e ciononostante esse sono da lui sostenute, per anni, mentre egli plasma la loro strada, le dirige, le aiuta a diventare così com’egli ha bisogno di loro. In queste persone, che per molto tempo riman- gono sconosciute e che rappresentano anche quelle innumerevoli del cui rapporto con il Si- gnore non conosceremo mai e poi mai qualco- sa, ci si manifesta in maniera particolare il suo potere di sostenere in sé ogni uomo. Con cia- scuno egli può da solo entrare in rapporto, in un rapporto per il quale in un primo momen- to egli solamente ha pronunciato la parola sì. Lo ha posto come sua creazione — e questa posizione è la grazia, la quale precede ogni movimento e risposta dell’uomo — ma nel suo sì all’uomo vi è già incluso, come un germe vivo, latente, anche il sì dell’uomo: nell’unila- teralità della chiamata vi è già la bilateralità dell’incontro. Di Maria, che dice all’angelo il suo sì, noi sappiamo nella fede che il Figlio già da molto tempo, fin dall’eternità, l’ha sostenuta e porta- ta nel suo sì. Egli l’ha prescelta come sua ma- dre, l’ha predestinata e anche preredenta. È come se fosse stata sostenuta dal sì del Figlio fin dove è stato possibile: fino al momento della decisione. Così come accade anche per colui che va a confessarsi, egli è sostenuto fino al momento in cui fa la sua confessione. Questo essere sostenuti dal Signore non si- gnifica assolutamente che egli ci toglie la re- sponsabilità; egli, piuttosto, ci rafforza nella giusta decisione, affinché noi possiamo incon- trarlo nella pienezza della nostra libera volon- tà, affinché per la forza da lui conferitaci ve- niamo resi capaci di scegliere ciò che è la vo- lontà del Padre. Tutto il passato di Maria è perfettamente contenuto nel suo sì; in questo sì noi possiamo leggere in che cosa ella ha consumato la sua vita, tutto quello che ha contribuito a formare questo sì, in che cosa el- la si dimostra capace di essere come il Figlio la vuole. E nell’istante in cui pronuncia il sì, assume nei suoi confronti una responsabilità che tiene conto in massimo grado della sua autonomia. Qualcosa di simile accade in tutti coloro che il Signore sostiene, che egli plasma in sé e che un giorno o l’altro incontrerà. In quest’at- to del sostenere sono inclusi due momenti: uno è tutto nell’eterno, nel piano del Figlio divino di redimere per amore il mondo per il Padre e di inserire in questa decisione i singoli uomini, dei quali egli prevede la missione; l’altro è nella vita temporale di Gesù; qui vi sono gli incontri autenticamente umani, faccia a faccia, come quando Pietro per la prima vol- ta viene posto dinanzi al Signore, oppure in modo occulto e misterioso, quando Gesù vede Natanaele sotto il fico e lo accoglie, mentre chi è stato visto e accolto non sa ancora nulla di tutto questo. di C RISTIANA D OBNER P arte dalla Cina, nei primi decenni del Novecento, pas- sa per Montbar (Francia), radicata in terreno carmelitano e fiorisce oggi nella fitta foresta dei Carpazi orientali in Romania. È la vicenda di una giovane carmelita- na scalza francese, Elisabeth, che accetta l’invito a vivere la sua chiamata claustrale in Cina, vi scopre la lacerazione della Chiesa e si interroga sulla possibile rispo- sta di chi cerchi l’unità. Espulsa dalla rivoluzione maoista e rien- trata in patria, Elisabeth inizia un cammino che la porterà, insieme ad altre sorelle, a fondare il Car- melo di Saint-Rémy di rito bizan- tino-slavo e dedicato alla preghie- ra per implorare e ricevere il dono dell’unità. I rapporti delle carmelitane scalze con il mondo ortodosso passano anche attraverso seri anni di studio, conoscenza reciproca, stima e incontri. Lentamente si sviluppa la Fraternité Saint-Élie che riunisce ben quattrocento membri — laici, sacerdoti, religiosi e religiose di tutto il mondo — che accolgono l’invito a vivere nel loro quotidiano e nella loro pre- ghiera il desiderio di Gesù Cristo «che tutti siano uno» e a scoprire le radici ebraiche della loro fede. Anima operosa ne è suor Éliane che, da una ventina d’anni, vive nell’eremo Santa Croce a Stance- ni, una piccola località che si è strappata le sue radure e i suoi campi nella fitta tenda, impenetra- bile e suggestiva, della foresta car- patica. Il monastero si presenta così come viene descritto dalla Regola primitiva dei frati di No- stra Signora del monte Carmelo: una cappella al centro e, intorno, le celle degli eremiti. Tutto in le- gno e in puro stile orientale ru- meno. Vi regna la povertà, la stessa che si nota lungo il percorso che, partendo dall’aeroporto di Tirgu Mures, incassato fra pini altissimi e torrenti con ponti di corda, giunge a un ponte, questo di ce- mento, che pare porti alla meta desiderata. Eppure mancano an- cora una ventina di minuti lungo una strada polverosa e sassosa, che si arresta dove non sembra es- serci più nulla. Proprio qui, inve- ce, un cancello di legno, su cui è intagliata la vicenda del profeta Elia, introduce nella foresteria dell’eremo. Proseguendo a piedi, un ruscello segna la zona delle monache eremite con la scritta “Clausura” che campeggia sul portoncino. Una radura, disbosca- ta, si incunea nella foresta che si spalanca solo verso il cielo. Lì si scorgono le casette lignee che co- stituiscono gli eremitaggi: da qui si innalza la lode a Dio, con la preghiera liturgica della Chiesa, in rito cattolico bizantino-slavo. Da qui sale la richiesta perché ogni persona si apra all’autentico spiri- to ecumenico. Ogni anno, nel giorno della fe- sta della Trasfigurazione, perno per la spiritualità della Fraternité Saint-Élie, al mattino il prato an- tistante la chiesa si gremisce di fe- deli, persone che hanno purificato la fede sotto il regime comunista, che hanno conosciuto la persecu- zione. Il loro sguardo è limpido e fermo. Poverissimi contadini, agri- coltori più benestanti, operai e in- tellettuali sottopagati ma ricchi di una cultura immensa, cattolici e ortodossi, tutti riuniti in una salda amicizia. La liturgia è concelebra- ta da tanti preti, altri incessante- mente confessano, i bimbi scor- razzano e poi si fermano a prega- re, il canto liturgico risuona nella solitudine della valle nell’antica lingua orientale. Il sole picchia implacabile ma tutti resistono sotto i parasoli. Non è una kermesse, non esistono bancarelle: il solo richiamo è quel- lo di un’eucaristia che si dilata e si espande grazie a Radio Maria che trasmette in diretta. Il pomeriggio, dopo uno spun- tino sotto gli alberi, raccoglie teo- logi e studiosi, docenti universitari e giovani studenti per il colloquio internazionale del 2013 dal titolo Identità d’Israele e della Chiesa og- gi , moderato da Franciska Balta- ceanu dell’università di Bucarest. Apre l’incontro il domenicano Edouard Divry, dell’università do- menicana Domuni, con Il mito della tradizione comune, Jacob Neusner e Benedetto XVI , tema suddiviso in due parti, l’ermeneu- tica della rottura elucidata e soste- nuta da Neusner e l’ermeneutica della continuità adottata da Bene- detto XVI che, entrando in serrato dialogo con il rabbino, gli dà ri- sposta. Prosegue Rafael Shaffer, rabbi- no capo della comunità ebraica di Romania, intervenendo su Il ruolo della sinagoga nello sviluppo dell’identità ebraica , in cui sottoli- nea con molta chiarezza l’aspetto formativo per la comunità di un incontro in cui varie componenti interagiscono: la preghiera, lo stu- dio, la comunione fraterna nello scambio di vedute mentre tutti si pongono in ascolto della Torah . Chi scrive, carmelitana scalza, membro della cattedra Monte Carmelo per il Dialogo interreli- gioso ebraico-cristiano dell’univer- sità della Mistica di Ávila, mette a tema nell’intervento Dialogo ebrai- co-cristiano o dialogo ebraico cristia- no? , un particolare che non deve sfuggire o essere sottovalutato: il trattino. Due punti essenziali van- no tenuti sempre presenti: «Israe- le è, per eccellenza, il popolo del dialogo, il pellegrino del dialogo in un discorso fra uomini e diretto da Dio agli uomini»; il theologù- menon fondamentale imprescindi- bile: il Vangelo è rivelato. Filo di collegamento della sintesi i sei punti indicati dal cardinale Ka- sper a conclusione dei lavori di un gruppo di studiosi ebrei e cri- stiani durato ben otto anni e rac- colto in una pubblicazione dell’università Gregoriana, che co- stituisce la base perché davvero possa svilupparsi l’epifania del dialogo, desiderio di tutti i cerca- tori di Dio e della continua inter- cessione delle eremite di Stanceni. di L AURA P ALAZZANI I n questi ultimi anni è emersa la con- sapevolezza che nell’ambito della spe- rimentazione clinica le donne sono “soggetti deboli”, in quanto non ade- guatamente considerate in riferimento alle loro specifiche esigenze. Se si escludono le sperimentazioni su farmaci per patologie esclusivamente femminili (come ad esempio quelle ginecologiche), la percentuale di don- ne arruolate nella sperimentazione rimane tuttora bassa. Si parla di sottorappresentativi- tà delle donne nella sperimentazione. Non è facile fornire dei dati, proprio perché la spe- rimentazione pre-clinica (sugli animali) e quella clinica (sull’uomo) non prevedono la stratificazione in base alla differenza sessuale. Un articolo pubblicato su «Nature» ( Putting Gender in the Agenda , 10 giugno 2010) denun- cia il fatto che la «medicina correntemente applicata alle donne ha meno evidenze di quella applicata gli uomini». donne. Anche se i dati sono variabili da pa- tologia a patologia (si oscilla dal 18 per cento nel 1970 al 34 per cento nel 2006 di parteci- pazioni femminili nelle patologie correlate a ipertensione e diabete), e anche se l’arruola- mento è aumentato nel tempo, rimane basso relativamente alla rappresentanza generale della popolazione malata. Se si considera mentazione al fine di garantire un’eguale rappresentazione e pari opportunità nella sa- lute. Ma perché il numero delle donne nelle sperimentazioni è ridotto? Diverse sono le ragioni. Vi sono ragioni biologiche, essendo le donne considerate soggetti “difficili” per la diversità biologica, fisiologica, enzimatica e ormonale, dovuta alle variazioni in età fertile e non fertile. Vi sono ragioni sociali imputa- bili alle difficoltà delle donne a entrare negli studi clinici a causa della mancanza di tempo (per il duplice impegno lavorativo e domesti- co) o a causa del basso reddito (per la disoc- cupazione o la scarsa retribuzione nel lavo- ro). Quindi ragioni psicologiche, quali la scarsa attenzione dei reclutatori alle necessità pratiche e alle esigenze femminili. E ancora, ragioni economiche non essendo conveniente per le case farmaceutiche finanziare speri- mentazioni che richiedono un aumento di ar- ruolamenti, con l’inevitabile incremento di tempi e costi. Infine, una ragione di esclusione delle donne è la possibile gravidanza in età fertile, con il rischio di malformazioni fetali: è questo il motivo per cui le case farmaceutiche o escludono le don- ne dai trails , o impongono l’uso di contrac- cettivi. Su questo punto la letteratura bioetica si divide. In particolare nell’ambito del pensie- ro femminista libertario si sostiene che le donne in età fertile debbano essere incluse nella sperimentazione come esigenza etica prioritaria per i potenziali benefici, ritenendo secondari i possibili danni al feto considerato non avente ancora dignità in senso forte (e legittimando l’aborto in caso di danni e mal- formazioni). È questa una posizione conte- stata da chi riconosce — su basi religiose e/o filosofiche — la dignità intrinseca della vita nascente: poiché la sperimentazione clinica può mettere in pericolo la vita o la salute del feto è indispensabile che la donna si impegni sin dall’inizio della sperimentazione a non procreare. Non deve essere obbligata dagli sperimentatori ad assumere contraccettivi, es- sendo sufficiente l’impegno all’astensione da rapporti sessuali e la disponibilità a sottopor- si regolarmente a controlli mediante test di gravidanza. Ciò consentirebbe di eliminare qualsiasi rischio rispettando la coscienza mo- rale. Come incrementare una farmacologia che sia rispettosa del sesso di appartenenza? Si potrebbe, ad esempio, indicare sulle etichette dei medicinali l’avvenuta o non avvenuta sperimentazione specifica sulle donne (una sorta di “bollino rosa”). Si potrebbe garantire una maggiore presenza delle donne come sperimentatori e come componenti dei comi- tati etici, al fine di assicurare una attenzione specifica sulla dimensione femminile. Si po- trebbe promuovere una formazione sanitaria attenta alle differenze, anche sessuali. Ma, soprattutto, si potrebbe incrementare una cooperazione internazionale e sensibilizzare le autorità sanitarie e le aziende farmaceuti- che a sostenere la sperimentazione distinta per sesso, anche se poco redditizia, incenti- vando progetti di ricerca sull’argomento e promuovendo la partecipazione ai trials clini- ci delle donne con un’adeguata informazione sull’importanza sociale della sperimentazione femminile. Il romanzo The Bell Jar Compie cinquant’anni uno dei romanzi più significativi del Novecento sulla malattia mentale. Era infatti il 1963 quando — con lo pseudonimo di Victoria Lucas — la poetessa americana Sylvia Plath pubblicava The Bell Jar , in cui racconta il lento scivolare verso la pazzia di Esther Greenwood, brillante studentessa dello Smith College e tirocinante presso un giornale di moda di New York. La vicenda, dai tratti fortemente autobiografici, si snoda tra difficoltà esistenziali, tentativi di suicidio, manicomio e trattamenti a base di elettroshock. Nella vita reale, durante il penultimo anno di università Sylvia Plath aveva compiuto un primo tentativo di suicidio, a cui era seguito il ricovero in un istituto psichiatrico e la diagnosi di disturbo bipolare. Si ucciderà a soli trent’anni con il gas nella cucina di casa. Era l’11 febbraio 1963: non era trascorso nemmeno un mese dalla pubblicazione del romanzo di cui fu ben presto rivelato il nome dell’autrice, violandone la volontà. Poetessa precoce e talentuosa, Sylvia Plath per tutta la vita ha disperatamente chiesto aiuto: The Bell Jar è così anche una testimonianza sulla nostra incapacità di ascoltare il disagio mentale. ( @GiuliGaleotti ) Il film Via Castellana Bandiera Samira e Rosa sono due donne spezzate dal dolore. A Samira è morta una figlia. Rosa vive un rapporto d’amore in profonda crisi. Le due donne, alla guida delle loro auto, si incontrano nello stretto budello di via Castellana Bandiera a Palermo e nessuna delle due cede il passo all’altra. Si affrontano in un duello muto fatto di sguardi pieni di dolore e rancore in cui le difficoltà di ciascuna si scaricano sull’altra, diventano avversione e odio verso colei che per caso le è capitata di fronte. Via Castellana Bandiera (2013), diretto da Emma Dante, è una metafora tutta al femminile del modo in cui uomini e donne reagiscono di fronte alle difficoltà. Si fermano, si bloccano, invece che dare e cercare solidarietà e amore allontanano da loro ogni forma di umanità e buon senso e trasformano il loro dolore in lotta contro l’altro. Dominati dall’odio, non sono capaci di vedere le possibilità che la vita offre. La strada, che per tutto il film appare stretta e affollata di gente, che sa solo partecipare a una lotta senza umanità, è in realtà larga e spaziosa. Chiunque ci può passare e, infatti, alla fine del film un intero quartiere la attraversa. Le difficoltà possono essere superate. Basterebbe guardare al di là di noi stessi. ( @ritannaarmeni ) M AMA A NTULA E P APA F RANCESCO «Desidero anch’io la rapida beatificazione di Maria Antonia» ha scritto Papa Francesco, aggiungendo di aver «fatto già varie gestioni presso la Congregazione per le cause dei santi» in questo senso. La lettera manoscritta — racconta Alver Metalli sul sito «Terre d’America» — è stata ricevuta alcuni giorni fa da Luisa Sánchez Sorondo, discendente della candidata agli altari il cui decreto di beatificazione fu firmato da Benedetto XVI nel maggio di due anni fa. Nata nel 1730, Mama Antula — il nome con cui Maria Antonia de Paz y Figueroa è conosciuta da tutti — trascorse la vita in una povera regione del nord-est dell’Argentina diffondendo gli esercizi spirituali, dopo che, a soli quindici anni, si era avvicinata ai missionari della Compagnia di Gesù. La giovane donna riunì ben presto attorno a sé un gruppo di ragazze avviando un progetto di vita comune, preghiera e opere di carità in stretta collaborazione con i gesuiti. E quando, nel 1767, la Compagnia venne espulsa dall’Argentina, Mama Antula percorse tutto il nord del Paese prendendosi cura delle loro opere, accompagnata solo da una croce di legno, simbolo di austerità e amore per Gesù. In una lettera del 1788, Ambrosio Funes (viceré di Navarra e capitano generale di Cuba e della Catalogna) annotava che in soli otto anni Mama Antula aveva tenuto esercizi spirituali per ben settantamila persone. Grande fu dunque l’urgenza di trovare una casa dedicata espressamente alla predicazione, proposito che si realizzò quando la donna ottenne in dono un terreno. Nel 1779 Mama Antula partì per Buenos Aires, dove visse per i successivi vent’anni, fondandovi la Casa degli esercizi spirituali, tuttora esistente e funzionante. Qui morì il 7 marzo 1799. C’è un aspetto particolarmente interessante nell’esistenza di Mama Antula, ed è quello relativo all’importante ruolo che, di fatto, ella venne ad avere nella Chiesa del suo tempo. Il vescovo di Buenos Aires, monsignor Sebastián Malvar y Pinto, infatti emanò una disposizione al clero in base alla quale nessun seminarista poteva essere ordinato senza che prima Mama Antula ne avesse certificato «il comportamento» negli esercizi. D ONNE E BAMBINI NEI CAMPI SOMALI Per colpa del conflitto armato e della siccità, oltre un milione di persone — in massima parte donne e bambini — vivono ancora nei campi profughi somali. Da un comunicato di Amnesty International si apprende che molte donne abitano in tende di tela e di plastica, in balia di violenze di ogni genere. Alcune vittime sono giovanissime, come la quattordicenne violentata di recente in un campo di Mogadiscio mentre si stava riprendendo da una crisi epilettica. Pochissimi sono gli episodi che vengono denunciati alla polizia locale, che tende a non avviare né ricerche né procedimenti giudiziari contro i carnefici. L’incapacità e la mancanza di disponibilità da parte delle autorità somale di indagare su questi reati, e di portarne in tribunale gli autori, condanna le vittime all’isolamento più completo, incrementando il generale clima di impunità. Stando ai dati delle Nazioni Unite, nel 2012 sono stati registrati almeno mille e settecento casi di violenze nei campi profughi della Somalia, il settanta per cento dei quali commessi da uomini armati e vestiti in uniformi governative. L A CASA DI M ADELEINE D ELBRÊL In attesa di ricordare, nel 2014, i cinquant’anni dalla morte, un accordo tra il sindaco di Ivry-sur-Seine, la diocesi di Créteil e l’Associazione degli amici di Madeleine Delbrêl permetterà di avviare il restauro della casa al numero 11 di rue Raspail, nella periferia operaia di Parigi. Qui, nel 1935 insieme ad alcune compagne, Madeleine Delbrêl — mistica, poetessa e assistente sociale, nata a Mussidan il 24 ottobre 1904 — avviò il suo progetto di semplice vita fraterna a stretto contatto con le donne e gli uomini del quartiere. Una presenza cristiana viva tra la gente del suo tempo, una presenza di fede, di vita e di rivendicazioni sociali, a opera di una donna che diceva di essere nata atea «radicale e profonda», e che a vent’anni si convertì al cattolicesimo. I N AIUTO DELLE DONNE ANDINE Nel mondo ci sono ancora 774 milioni di adulti analfabeti, 493 milioni dei quali sono donne prive di accesso ai diritti basilari. Molti di costoro vivono lungo la cordigliera delle Ande. Tra le iniziative promosse per lo sviluppo umano delle comunità andine, nella certezza che l’incapacità di leggere e scrivere porti a condizioni di isolamento ed emarginazione, la Escuela Campesina de Educación y Salud organizza dal 1989 attività volte a migliorare le condizioni di vita dei contadini della regione di Piura, in Perú. Concretamente nella provincia di Ayabaca (una delle otto province di Piura), con il sostegno della ong cattolica Manos Unidas, viene condotto un programma per la promozione dello sviluppo integrale della popolazione rurale, che coinvolge, in particolare, donne e bambini. Attualmente sono settecentottanta le famiglie che ne beneficiano, tutte con reddito inferiore a quaranta euro al mese. Il programma intende migliorare le condizioni alimentari e sanitarie, tutelare l’ambiente ricorrendo a pratiche agro-ecologiche sostenibili, rafforzare la democrazia e la parità tra i sessi, valorizzare la cultura e le tradizioni locali. I vari laboratori (come riferisce l’Agenzia Fides) si occupano di alfabetizzazione e di formazione per l’accesso ai diritti civili, rivolgendosi in particolare alle donne. La speranza, infatti, è quella di fornire loro gli strumenti per assumere ruoli guida su questioni quotidiane concrete, come la gestione alimentare e quella delle acque. U NA MAMMA BOSS DI B URBERRY «Innanzitutto sono una mamma. In secondo luogo, sono la chief executive della Burberry»: ha le idee chiare Angela Ahrendts, sposata, tre figli adolescenti e un ruolo professionale che la colloca tra le più importanti manager inglesi (insieme con Christopher Bailey, Ahrendts ha rilanciato ai massimi livelli la celebre casa di moda). In un’intervista al «Sunday Times», la cinquantatreenne nata nell’Indiana rivela la sua ricetta di vita: dare alle cose le giuste priorità. «Non voglio essere una grande donna d’affari senza essere una grande madre e una grande moglie» ha confidato, spiegando però come questa scelta implichi molte rinunce: una sola serata fuori la settimana, viaggi di lavoro solo se terminano entro il venerdì sera, niente palestra, sveglia alle 4,35 del mattino. Piena disponibilità per l’ufficio dunque, ma non disponibilità assoluta: «Non voglio guardarmi indietro tra qualche anno, ritrovandomi a rimpiangere il tempo passato trascurando la mia famiglia». T RAPPISTE IN PREGHIERA TRA LE ARMI «Siamo in Siria da più di otto anni e abbiamo potuto sperimentare che la convivenza tra musulmani e cristiani era fortissima» racconta al nostro collega Nicola Gori suor Marta Luisa Fagnani, superiora del monastero trappista che si trova in Siria, in un piccolo villaggio quasi al confine con il Libano. Qui la religiosa giunse, con altre monache, dalla comunità di Valserena in Toscana all’indomani della morte dei monaci massacrati a Tibhirine, in Algeria, nel 1996. «Dopo questa tragedia, c’è stato un appello a tutto l’ordine e la nostra comunità di Valserena si è sentita interpellata dalla testimonianza di questi uomini di preghiera». Oggi la vita contemplativa del monastero è scandita dal crepitio delle armi. Alla domanda se la preghiera riuscirà a fermare il fuoco, suor Marta Luisa risponde: «La preghiera è potente, ne siamo convinte, altrimenti non avremmo scelto la nostra vita. La preghiera non è qualcosa di devozionale, non è un rifugio nella pace. È un’arma potente ma è al tempo stesso pacifica. Tocca il cuore, ha una forza propria». Il saggio Inchiesta su Maria Il culto di Maria non è il frutto di una costruzione devozionale del popolo, che cerca una madre amorevole che lo consoli, ma un soggetto di interesse teologico e spirituale. Con le sue miracolose qualità di vergine e madre, infatti, la Madonna pone un problema di comprensione intellettuale. Vergine è l’anima che ha rinunciato all’amore di sé, ed è in essa che nasce immediatamente il divino: perciò la verginità è feconda. Con queste parole lo studioso di mistica Marco Vannini risponde a Corrado Augias, che pensa che la Madonna sia una sorta di sintesi di superstizioni sessuofobe e di retaggi pagani del culto mediterraneo della madre terra. L’ Inchiesta su Maria (Rizzoli, 2013) che i due hanno svolto insieme è stimolante proprio per questa contrapposizione di punti di vista, e per la possibilità di esaminare luoghi comuni — come il fatto che le numerose apparizioni mariane siano solo un fenomeno di suggestione immaginaria — per poi vederli sfatati dalla semplice ma sapiente parola di Vannini. ( @LuceScaraffia ) Nel suo sì all’uomo vi è già incluso — come un germe vivo e latente — anche il sì dell’uomo Nell’unilateralità della chiamata vi è già la bilateralità dell’incontro Un ritratto giovanile di Adrienne von Speyr Eremite tra le foreste dei Carpazi Viaggio nella fraternità interreligiosa Saint-Élie guidata da suor Éliane a Stanceni Il tema del tradizionale colloquio internazionale del 2013 è stato l’identità di Israele e della Chiesa oggi Senza bollino rosa Inchiesta sul perché i farmaci non vengono sperimentati sulle donne Alla base vi sono ragioni biologiche sociali, psicologiche ed economiche E v’è il “nodo” della fertilità con il rischio di malformazioni fetali Perché patologie e malattie anche tipicamente femminili devono essere affrontate con rimedi testati esclusivamente sui maschi? La mancanza di studi sperimentali che ten- gano conto della differenza sessuale nell’ambito farmacologico risulta ancor più problematica a causa del recente cambia- mento delle condizioni di salute/malattia del- le donne nel contesto del mutamento genera- le della condizione femminile (quantomeno nelle società occidentali): si pensi all’aumen- to dell’istruzione, alla partecipazione al mon- do del lavoro oltre che in ambito politico-so- ciale, alle ancora persistenti marginalizza- zioni. Alcune delle malattie considerate maschili La copertina del numero di «Nature» del 10 giugno 2010 (come ad esempio le pa- tologie cardiache o i tu- mori ai polmoni) tendo- no oggi a essere più fre- quenti nelle donne (a causa dello stress nel la- voro e di un aumento del tabagismo), ma i farmaci per la cura non sono spe- rimentati specificamente su di loro. Ciò risulta particolar- mente penalizzante per le donne che dalle stati- stiche risultano consuma- trici di farmaci in misura maggiore rispetto agli uomini, avendo dunque più frequenti e gravi ef- fetti collaterali. In parti- colare c’è attenzione nel settore delle malattie car- diovascolari, in cui si ri- leva che la percentuale di donne presenti nelle spe- rimentazioni non è commisurata alla percen- tuale di donne affetta dalle patologie per cui si studiano i farmaci o i dispositivi medici (è il caso, tra gli altri, dei pacemaker ). Uno studio recente dedicato alle patologie cardiache (comparso nel 2010 sul «Journal of the American Heart Association») rileva che, per quanto si assista a un leggero aumento, le donne sono poco rappresentate: su venti studi, solo uno prevede l’arruolamento delle l’oncologia emerge lo stesso problema: negli Stati Uniti il 58 per cen- to dei pazienti che sof- frono della patologia so- no uomini, il 42 per cen- to sono donne, ma solo il 32 per cento nelle speri- mentazioni sono donne. Ne risulta che il para- metro di misura per il dosaggio dei farmaci è ri- ferito agli uomini (ma- schi) e la donna è consi- derata una “variazione” di tale modello: ma la differenza fisica, morfolo- gica e fisiologica tra uo- mini e donne, determina una considerevole diver- sità nella farmacocinetica (ossia nel diverso assorbi- mento, distribuzione e metabolizzazione del far- maco) e nella farmacodi- namica (ossia nella diversa concentrazione del farmaco nel sangue e nei tessuti). La presa di coscienza internazionale del problema è evidenziata, dagli anni Novanta del Novecento, nelle linee guida di organismi internazionali (tra cui la Food and Drug Administration) che iniziano a raccomandare l’analisi di dati differenziati per sesso nelle sperimentazioni cliniche, auspicando l’in- clusione delle donne nei protocolli di speri-
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