donne chiesa mondo - n. 14 - luglio 2013

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Storia sconosciuta di Paolina Leopardi La sorella di Giacomo di F RANCESCA R OMANA DE ’ A NGELIS L a storia della sorella di Shakespeare — geniale e talentuosa quanto il fratello ma priva di istruzione perché donna — fu inventata da Virginia Woolf per raccontare la secolare esclusione dell’universo femminile dalla scrittura e dalla creatività ( Una stanza tutta per sé , 1929). Questa storia torna alla mente ogni volta che si pensa a una sorella (o figlia, moglie, compagna) di un grande scrittore. La vicenda di Paolina (1800-1869), terzogenita di Monaldo Leopardi e di Adelaide Antici, anche se diversa nelle premesse dalla felice invenzione di Virginia Woolf, è tuttavia simile nella sostanza. A Paolina, appassionata di studi e instancabile lettrice, non le restavano che le lettere, amate carte messaggere che non sfuggirono a un mortificante controllo. Paolina fu addirittura co- stretta a difendere la corrispondenza con due amiche sgradite al- la madre ricorrendo all’aiuto di un prete, suo antico precettore, che si prestò a ricevere quelle lettere segnalandone l’arrivo con un vaso di fiori alla finestra. Solo dopo la morte della madre si aprirono per lei molti do- mani. Aveva ormai cinquantasette anni e si portava dietro un ba- gaglio pesante fatto di troppo passato e di troppo dolore, ma fu forte abbastanza da vivere con pienezza il tempo che le restava. Abbellì il palazzo, arricchì la biblioteca con i prediletti romanzi e i libri di viaggio, indossò abiti dai colori vivaci abbandonando per sempre il nero che la madre le aveva imposto fin da bambina e soprattutto viaggiò, visitando molti dei luoghi dove aveva vis- suto il fratello. Forse non è un caso che Paolina sia morta a Pisa, la città che Giacomo aveva amato e dove aveva ripreso a comporre versi «con quel mio cuore di una volta». Paolina chiudeva gli occhi dopo aver visto almeno un po’ di mondo, anche con gli occhi di Giacomo. Isabella regina di pace La santa del mese raccontata da Oddone Camerana “U na santa donna”, “un santo”: così vengono definite e ricordate le persone che portano o hanno portato la croce in silenzio, che hanno subito fatiche, soprusi, vessazioni, ingiustizie, tormenti senza lamentarsi e con spirito di sacrificio. Una figura del passato questa, ma an- che del presente, riconoscibile oggi in chi tollera le avversità o subentra in quelle al- trui facendosene carico. Se non che, con riferimento alla santa di questo mese, Isa- bella d’Aragona (1271-1336), è evidente che la santità è un’altra cosa e non verrebbe in mente a nessuno di definire Isabella una “santa donna”. Figlia di Pietro III d’Aragona e di Co- stanza, discendente dell’imperatore Federi- co II re di Sicilia, Isabella era un’aristocra- tica che praticava la santità con la pre- ghiera, con la religiosità, ma anche con la generosità dovuta alla sua posizione. Di- ventata regina con l’andare sposa a Dioni- sio, re di Portogallo, alla corte reale non tralasciò le buone abitudini di una santità attiva. Non trascurando i doveri di sposa, continuò a levarsi di buon mattino per an- dare in cappella ad ascoltare la messa in ginocchio, fare la comunione e dire l’uffi- cio della Vergine e dei morti. Spirito con- templativo, prestava tuttavia attenzione al- le opere di pubblica necessità e non ci fu- rono, infatti, chiese, ospedali e monasteri alla cui costruzione ella non contribuisse con regale generosità. Oltre che come regina e religiosa, la santità di Isabella ebbe modo di esprimer- si anche come madre. Dando al marito due figli, Costanza e poi Alfonso, erede al trono, Isabella manifestò, infatti, il suo ca- rattere e la sua tempra di donna energica e attiva non solo subendo eroicamente gli illeciti amori del marito, ma curando poi l’educazione dei figli naturali di questi co- me fossero i suoi. Ma è nel ruolo di pacificatrice e di ri- conciliatrice che le virtù di Isabella assun- sero una coloritura eroica e shakespearia- na, là dove la regina si sentì in dovere di intervenire nella lotta scoppiata tra il figlio e il padre, schierandosi a favore di que- st’ultimo, e venendone ripagata con il confino in una fortezza. Ma non fu questa l’unica opera di pace in cui si impegnò Isabella. Altre contese, come quella tra il marito e il cognato o tra influenti e ambi- ziosi paggi di corte, videro lo sforzo della regina santa, indirizzata a fronteggiare, sotto l’ispirazione dal senso del bene e della pace, gli opposti eserciti schierati, e a sciogliere oscuri intrighi di corte e gelo- sie. Pronta a piegarsi al mutare delle situa- zioni e dei contesti in cui veniva a trovar- si, Isabella trovò la via dalla santità anche dopo la morte del marito. A quel punto Isabella rinunciò al mondo, si tagliò i ca- pelli, vestì l’abito del terz’ordine france- scano e andò pellegrina a Santiago de Compostela, dove tornò nell’ultimo anno di vita dopo essersi nel frattempo ritirata in monastero a pregare, a conversare con le religiose e a dare udienza ai poveri, ai malati e ai peccatori che ricorrevano a lei. Non senza smettere di offrire la sua capa- cità di mediatrice tra i familiari in contesa, come cercò di fare con il figlio e il nipote in guerra tra di loro, se non fosse stata im- pedita da una febbre che la portò alla morte. In linea con lo spirito del tempo e con il contesto in cui si trovò, Isabella fu pro- tagonista di miracoli improntati alla corte- sia e alla gentilezza, come quello della mutazione in vino di una brocca d’acqua a rimedio delle penitenze e dei digiuni ai quali faceva partecipare il personale di corte a lei vicino; o le guarigioni ottenute toccando gli infermi con le sue mani. Si parla anche di un’apparizione di Maria, per fare accomodare la quale accanto al suo letto di morte Isabella chiese che le si offrisse una sedia. Ma più spettacolare e allo stesso tempo più connesso alla sua azione di pace fu il miracolo che prese forma nel corso della guerra tra i figli illegittimi di suo marito Dionisio e l’erede al trono, il futuro Al- fonso IV , quando Isabella si frappose tra i due eserciti schierati niracolosamente divi- si da una barriera luminosa sollevatasi al suo passaggio. Di Isabella rimangono due ritratti ine- renti alla sua duplice natura di regina e di religiosa. Nel primo caso essa compare ac- canto al marito con la corona poi offerta, insieme ad altri doni, al santuario in cui si ritirò. Nel secondo la vediamo in abito di za. Isabella non ci dice di imitarla, ma di consultare il “tribunalino” interiore della nostra coscienza. È lì che bisogna scavare. Speriamo di riuscirci. Oddone Camerana, nato a Torino nel 1937, ha operato a lungo nel mondo della grande industria, e in quel mondo ha ambientato gran parte delle sue opere. Fra queste L’enigma del Cavalier Agnelli (Serra e Riva 1985, Passigli 2011), La notte dell’Arciduca (Rizzoli 1988), I passatempi del Professore (Einaudi 1990), Contro la mia volontà (Einaudi 1993), Il centenario (Baldini e Castoldi, 1997, finalista al Premio Viareggio), Racconti profani (Passigli 1999), L’imitazione di Carl (Passigli 2002), Vite a riscatto (Lindau 2006). Collabora con «L’Osservatore Romano» e «La Stampa». Petrus Christus, «Isabella del Portogallo presentata da sant’Elisabetta» (1457-1460) Isabella non ci dice di imitarla ma di consultare il “tribunalino” interiore della nostra coscienza È lì che bisogna scavare Morta la madre si aprirono per Pilla molti domani Aveva quasi sessant’anni e un bagaglio pesante fatto di troppo passato e di troppo dolore Ma fu forte abbastanza da vivere con pienezza il tempo che le restava toccò in sorte un padre che, per un singolare e forse unico slancio di modernità, volle per la sua unica figlia femmi- na la stessa educazione dei figli maschi. La giovinetta insomma ebbe «una stanza tutta per sé», anzi ebbe le molte stanze della bi- blioteca paterna dove amava trascorrere gran parte delle sue giorna- te. Tradusse dal france- se, collaborò a diversi periodici, scrisse una Vita di Mozart , coltivò la scrittura epistolare, tutto con uno stile fre- sco, spigliato e di se- ducente letterarietà. Eppure Paolina è ri- cordata solo come la sorella di Giacomo. Ammirazione reci- proca e «un bene infi- nito» furono i presup- posti dell’intenso lega- me tra i due fratelli che condivisero tutto, a partire dall’infelicità di vivere a Recanati, sonnolenta periferia dello Stato della Chie- sa, e in un palazzo che una madre autoritaria e austera aveva re- so simile a una prigione. Una madre i cui sguardi indagatori te- nevano il posto delle carezze, come ebbe a scrivere Carlo, uno dei suoi cinque figli. Quando Giacomo nel 1822 lasciò il «natio borgo selvaggio», per Pilla, così lui la chiamava, si spalancò il deserto. Sognava libertà e indipendenza, anche se il fratello per consolarla le scriveva «che il mondo non è bello, se non veduto come tu lo vedi, cioè da lontano». Giacomo era riuscito ad andar via, Paolina tentò inutilmente di farsi portar via. Un solo amore le si conosce, mentre diverse furono le trattative di nozze, tutte destinate a fallire. Col tempo più che un marito si rassegnò a cercare un matrimonio, ma la poca dote, le pretese dei genitori, la scarsa avvenenza furono ra- gioni più forti della sua intelligenza, della sua raffinata cultura, della grazia del suo cuore. Per raggiungere quell’altrove negato religiosa con il cro- cifisso nella mano destra, mentre con la sinistra trattiene il velo in cui trova- no posto le suppel- lettili che confezio- nava per le chiese povere. Ma come sarebbe Isabella oggi? Co- me si muoverebbe in un contesto tan- to diverso da quello in cui ebbe a opera- re? Come potrebbe Isabella manifestare la sua generosità ed esercitare la sua santità? Confesso di trovarmi in una sor- ta di impaccio. Sen- to il prevalere dei sentimenti di lonta- nanza, segno del- l’impoverimento nel concepire il bene e l’altruismo oggi. I gesti, il comporta- mento, le scelte di Isabella difficilmen- te servono a indica- re la strada della virtù. È già molto se evitiamo il rischio di confondere la santità con la tenta- zione di sottomet- tersi e con l’inclina- zione all’obbedien- Casa Leopardi a Recanati

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