donne chiesa mondo - n. 7 - dicembre 2012

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO dicembre 2012 numero 7 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo L’umiliazione quotidiana del totalitarismo Il riscatto di Ružena Vacková, Komunella Markman e Milena Semiz di M ARTA D ELL ’A STA C i sono tante vittime del totalitari- smo a cui nessuno mai dedicherà un monumento perché hanno su- bito la violenza senza arrivare a morire, eppure hanno sofferto un’umiliazione devastante e quotidiana. Da questo punto di vista l’esperienza del totalita- rismo offre una gamma infinita di vite spezza- te fisicamente e moralmente, ma la cosa sor- prendente è che tra questi milioni di vittime inconsapevoli si trova un gran numero di «re- sistenti», persone che in vario grado e in vario modo non si sono lasciate schiacciare dal po- tere né dal ricatto della mentalità comune. Che hanno saputo superare il rancore per tra- sformare in perdono e ricchezza la loro sven- tura. Queste figure sono un tesoro in gran parte ne a morte e un ergastolo. Lei aveva preso ventidue anni. Da quel momento aveva «abitato» nel temi- bile carcere femminile di Pardubice, dove ave- va cercato da subito di vivere un’esistenza pie- namente umana, anche se stretta da tutti i lati dal lavoro coatto e dai regolamenti carcerari: per sedici anni aveva tenuto regolari lezioni alle compagne di carcere, accompagnando la- dre e prostitute in un viaggio nella conoscenza e nella bellezza che ne faceva «donne stupen- de, apprezzabili ed eclettiche». Le lezioni — chiamate «pomeriggi accade- mici» — si tenevano nelle latrine: un contesto così stridente non faceva che evidenziare la potenza liberante della bellezza e dell’arte, co- me difficilmente accade nella vita normale. Ri- corda una compagna: «Questa grande studio- sa, umiliata e infreddolita, sta qui di notte in mezzo alle disgrazie, alla cattiveria, alla man- canza di significato, e continua a creare… Fu- miamo entusiaste e dialoghiamo fino all’alba, non sentiamo né il freddo né la fame, non ve- diamo le sbarre e questo mondo d’oltretomba, restano solo i pensieri di persone non umilia- te, più forti del nostro corpo infiacchito. Nello stesso momento, da qualche parte nel mondo, si stanno alzando gli studenti per andare a scuola, magari un po’ annoiati e infreddoliti… il nostro entusiasmo è quello degli studenti ta medievale sulle mura della città di Vladi- mir, senza riscaldamento, né servizi igienici né acqua corrente. Ma l’amore per il bello, il sen- so della dignità della vita la spingevano a non rassegnarsi alla pura lotta per la sopravviven- za, così raccoglieva attorno a sé bambini e ra- gazzi cui amava raccontare le meraviglie dell’arte egizia, degli affreschi di Rublev, del mondo biblico. Distribuiva loro romanzi della letteratura mondiale che potevano alimentare la fantasia e i buoni principi. Quando, finita la guerra, i dipendenti dell’Ermitage erano stati richiamati in servizio, per lei non c’era stato più posto perché era fi- glia di un nemico del popolo. Il sogno del ri- torno alla normalità si era così dileguato, som- merso dall’umiliazione di essere esclusa, ma il senso dell’importanza di ciò che aveva da dare non era venuto meno. Per anni aveva bussato a tutte le porte sen- za demordere, e senza, nel frattempo, smettere di comunicare la ricchezza dell’arte che ama- va. Alla fine, negli anni Sessanta, aveva final- mente trovato un impiego come direttrice del- la Biblioteca del museo d’arte antico-russa Rublev, a Mosca. Lì aveva ritrovato un am- biente consonante, infatti in quegli anni nel museo si salvava e si restituiva alla vita la pit- tura antica, e questa frequentazione delle for- me iconiche trasfigurava le persone, che si convertivano una dopo l’altra. Forse quella era l’unica istituzione a Mosca dove non ci fosse una cellula del partito, anzi, venivano accolti In questa “intervista” Maria Maddalena è asso- ciata alla figura della peccatrice senza tenere conto delle difficili questioni di identificazione ai fini della riflessione sul perdono. di S ANDRA I SETTA S ono nata a Magdala, una bianca cittadina che sguscia da una stretta vallata per sporgersi sull’azzurro mare di Tiberiade. Una terra bene- detta, verde e fertile, un lago pe- scoso di acqua limpida e benefica. Tempeste improvvise agitano le onde, la forza del clima ha forgiato la tenacia degli abitanti di questo piccolo villaggio, trasformato in grande porto commerciale, Tarichea, famosa per gli ottimi pesci salati e per gli olii, i profumi, gli un- guenti. Un popolo coraggioso il mio, che pagò col sangue la resistenza ai romani. La salsedine e il sole infuocato sono nei miei ricordi di bim- ba e poi di ragazza, quando i pescatori dalla pelle scura e dalle mani forti, gridavano il mio nome: «Miriam sei bellissima!». Dio è stato generoso con me, mi ha dato gli occhi bruni del cervo, la grazia flessuosa della gazzella, i capelli di seta, come onde di fiume. Il mio è un nome regale: Miriam, si chiamava così la sorella di Mosè, che vuol dire “principessa”, “signora”. E divenni principessa, ma dell’orgoglio: mi inebriavo della mia bellezza e giocavo con quel fascino impetuoso che il mio corpo dis- sipava. Non pensavo a Te, che mi hai donato l’armonia e la forza, non pensavo a Te e Ti seppellivo nella terra arida del peccato. Fino a quel giorno. Quando i tuoi passi impressero orme inde- lebili sulla sabbia del mio mare, sul fango del mio cuore umido e appannato. Al tuo pas- saggio, gli uomini abbandonavano le reti e ti seguivano, come in un miracolo. Qualcosa accadde anche a me, come se una voce mi chiamasse, qui, dentro di me. Quel giorno, guardai nello specchio e vidi la grazia del mio corpo, offuscata nella por- pora, spenta nell’oro, sepolta nella polvere di falsi colori: era l’immagine deformata della mia anima. Già, l’anima. Cercavo di scacciarla dalla mia mente, non volevo curarmi dello spirito, io profanavo il tempio del mio corpo cercando la gloria de- gli sguardi e del desiderio, o forse no, cerca- vo solo amore. Quando si scivola sul fondo, la superbia è pronta a consolarti per evitarti lo schiaffo dell’umiliazione. Umiltà: provavo orrore per questa parola. Sarebbe crollato il castello della mia superbia, un tempio di va- nagloria. Poi sei arrivato Tu, a promettere un regno agli ultimi, a quelli che stanno più in basso, dove mi trovavo io, insieme agli scarti umani, perché sono una donna e per giunta ero una donna di quel genere. La speranza che an- ch’io avrei potuto entrare in quel regno di- venne certezza, quando Ti udii dire a quella donna, che tutti ricordano come l’adultera: «Va e non peccare più». Mentre col dito Tu disegnavi sulla sabbia, quell’orribile pioggia di pietre e sangue si arrestò, non si abbatté su di lei. Tu scrivevi la nuova Legge. E allora an- ch’io, anch’io potevo essere perdonata. Perdono: nell’antica Legge non se ne par- la, è prescritta invece una pena a saldo di ogni colpa. Da tempo ormai evitavo la Sinagoga. Quella di Magdala è imponente, con i suoi mosaici e i suoi affreschi, al centro la scultura della menorah , come quella a sette bracci del tempio di Gerusalemme. Tornai, nel tempio, per udire le Tue parole, nascosta sotto il velo chiai ai tuoi piedi. Piansi, le lacrime irrigava- no i Tuoi santi piedi e io li cospargevo di profumo, li coprivo di baci, fra i singhiozzi. Poi li asciugai, ma non usai il velo, no, li tamponai con i mei capelli di seta, come con uno straccio. Era il solo modo che conoscevo per dirTi: vedi, sono un’altra. Vedi, i miei occhi sono puliti, le lacrime sono limpide, non scurite dallo stibio. Pulisci la mia anima, perdonami. Perdonami, ti prego. Poi accadde il miracolo: mi hai difesa dalle indignate, indegne accuse del tuo commensa- le. Hai difeso la mia dignità di donna, di es- sere umano che ha peccato e si è pentito. Le tue parole risuonavano dentro di me come il fragore del tuono: «I suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato. Co- lui invece al quale si perdona poco, ama po- co». Così rispondevi a Simone, mentre a me ridavi la vita: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Da allora divenni la tua ombra. La gente mi additava: «Quella è Maria di Magdala! Da lei sono usciti sette spiriti!». Non me ne curavo, ne ridevo anzi, con Giovanna, Susan- na e con le molte altre che avevi guarito e che si erano unite a noi. Con loro, cercavo di imparare dal mio Maestro, non perdevo una Sua parola, e la mia fede diveniva sempre più salda. Le tue donne. Non dimenticherò mai i loro occhi sotto la croce, quelli di Tua madre erano sbarrati in un grido che volò in cielo, nel buio boato del terremoto. E poi la luce. Quei teli candi- di, abbaglianti, come la pietra del Tuo sepol- cro. Gli uomini, Pietro e Giovanni, pensava- no che vaneggiassi, come fanno le donne. Sono andati via. Io resto qui e, stupida donna, piango. Chiedo di Te a due figure vestite di splendo- re. Mi volto. Non comprendo che sei Tu, e non perché le lacrime velano la mia vista, sei così diverso. Credo che tu sia il custode del giardino. O sto vedendo l’Eden? Ma la tua voce, «Miriam!», quella sì la riconosco. «Rabbunì!». E affidi l’annuncio a una picco- la donna, peccatrice: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Hai fatto di me la discepola. Hai rimesso i mei peccati fino a tal punto. Mi chiamo Mi- riam, sono nata a Magdala e risorta nel per- dono. Il romanzo La notte dell’oblio L’ultimo libro di Lia Levi, La notte dell’oblio (Edizioni e/o, 2012) ha al suo centro — come preannuncia il titolo — l’oblio: l’oblio di una donna ebrea, Elsa, che preferisce non sapere con precisione quello che è successo al marito, morto ad Auschwitz, e negarsi l’evidente colpevolezza di chi lo ha denunciato, per poter guardare avanti e crescere le sue figlie nella normalità. Non è perdono, ma fuga, rimozione. E la rimozione funziona, in un’Italia in cui nessuno intorno a lei vuole ricordare, almeno finché la giovane figlia non si innamora del figlio del delatore, e il dolore rimosso sommerge e travolge la famiglia tutta. Il tema di queste pagine avvincenti è quello dell’oblio, non del perdono, che non può costruirsi sulla volontà di non vedere ma solo sulla consapevolezza della colpa da parte tanto dell’offeso come del colpevole. Ma chi è qui più colpevole, chi ha tradito o chi ha preferito non vedere? E ci sarà salvezza per i due giovani del tutto innocenti? In un oblio che tutto distrugge, il perdono resta sullo sfondo come una possibilità remota, un esile filo di speranza per il futuro. ( anna foa ) Il film Les enfants de Belleville Akbar, sedici anni, ha ucciso la sua ragazza e ha provato a uccidersi. È in carcere e al compimento dei 18 anni può essere condannato a morte. Il più caro amico e la sorella chiedono al padre della ragazza di perdonarlo. Solo così Akbar potrà sfuggire alla condanna. Ma il padre è irremovibile: una vita per una vita, il sangue del colpevole per il sangue della vittima. È questa la legge del taglione, è questo ciò in cui lui, uomo pio e religioso, crede. È questo che prevede la giustizia del suo Paese. Ma è davvero così? È la legge di Allah che vuole la vendetta ed esclude il perdono? Asghar Farhadi, regista del bellissimo Una separazione , in Les enfants de Belleville (2004) entra nelle contraddizioni della società iraniana e nel dibattito civile e religioso di quel Paese. Si scopre che il sangue di una donna vale la metà di quello di un uomo, quindi Akbar non può essere ucciso se il padre della vittima non paga l’altra metà. Si racconta di uomini e di donne divise fra la legge del perdono e quella del taglione. «Allah è potente e misericordioso», ricorda nella moschea l’imam al padre che vuole vendetta. E insiste: «Misericordioso». ( ritanna armeni ) A TTENTATO A B ARGEETA A LMBY Una missionaria laica protestante è stata vittima di un tentato omicidio a Lahore, capitale della provincia del Punjab, e si trova in condizioni critiche all’ospedale Jinnah. Bargeeta Almby, 72 anni, di nazionalità svedese, era nella sua auto quando due uomini in motocicletta si sono avvicinati sparando ripetutamente e colpendola al petto. L’attentato è avvenuto il 3 dicembre, alle due del pomeriggio. La missionaria opera in Pakistan da oltre 38 anni e, come riferisce l’agenzia Fides, era pienamente integrata nella comunità. Bargeeta dirige i programmi sociali di una associazione cristiana, la Full Gospel Assemblies of Pakistan (Fga Church), attraverso un’organizzazione non governativa che si occupa di istruzione e formazione professionale. In particolare è responsabile di un orfanotrofio, lavora con bambini disabili e poveri, gestisce un corso di formazione in ostetricia. Il Pastore Liaquat Kaiser, capo della Fga Church, ha detto che «si tratta di un attacco premeditato», ma che la donna «non aveva ricevuto minacce». Il cattolico Paul Bhatti, consigliere speciale del primo ministro per l’armonia nazionale, ha dichiarato: «È un atto terroristico, anti-umano e anti-pakistano. Negli ultimi giorni è stato ucciso l’imam di una moschea a Karachi ed è stato dissacrato un cimitero di Ahmadi a Lahore. Ora il tentato omicidio di questa missionaria. Sono atti che intendono destabilizzare il Paese e soffiare sull’odio religioso. Come pakistani dobbiamo restare uniti nel condannare e combattere l’estremismo». Ancora in stato di incoscienza, il 10 dicembre Bargeeta è stata rimpatriata. «Siamo certi che in Svezia potrà ricevere cure mediche appropriate — ha detto Kaiser — e che sentirà la vicinanza della sua famiglia e della sua comunità di origine». I FIGLI DELLE DETENUTE Una mamma racconta tra le lacrime il suo dramma: tra qualche giorno la figlia verrà allontanata da lei. La donna — che deve scontare una lunga pena — è detenuta nel carcere di Solicciano (Firenze) e la bimba, che sta per compiere tre anni, è già stata dichiarata adottabile. Un’altra è già stata adottata. È questa una delle tante interviste realizzate da settembre a novembre 2012 all’interno di una ventina di istituti italiani, che va a sommarsi a decine di fotogallery, video, approfondimenti su temi importantissimi. Accesso ai diritti fondamentali, condizioni di vita dei detenuti, stato delle infrastrutture, futuro degli ospedali psichiatrici giudiziari (la loro dismissione è prevista entro marzo 2013). Tutto questo è scaricabile gratuitamente su www.insidecarceri.com , realizzato da Next New Media, società di comunicazione nata nel 2011. Il progetto — ha spiegato la curatrice Tiziana Guerrisi — è il primo esperimento in Italia di un rapporto prodotto in forma multimediale, che rende disponibile a tutti un prezioso archivio sulle carceri italiane. E che ci ricorda il dramma di maternità e detenzione, invitandoci a metterci nei panni dei bambini. L A MADRE DEL VIOLINISTA Tra i tanti eroi della Costa Concordia che hanno sacrificato la loro vita per salvare gli altri mentre si consumava la tragedia al Giglio il 13 gennaio 2012, vi era anche Sándor Fehér, violonista ungherese di etnia rom, morto per aiutare i bambini intrappolati. Márta Vertse della Radio Vaticana ne ha appena intervistato la madre, Tereza. «Dobbiamo sfatare una volta per tutte — fa presente la giornalista — il mito che Sándor sia tornato a prendere il violino prezioso. Anche recentemente è stato riproposto questo fatto falso dalla televisione italiana. Sándor non è tornato per il suo amato violino e non è scappato dalla nave che affondava. Voleva salvare valori molto più preziosi: vite umane». Risponde Tereza: «Tutti i sopravvissuti hanno confermato che il violino era rimasto nella sala dove avevano suonato. Quando l’orchestra è scesa e hanno assegnato le uscite per salvarsi, tutti hanno occupato i loro posti e Sándor ha solo pensato a salvare la vita dei bimbi rimasti soli nella confusione. Pochi giorni fa un passeggero russo ha postato un video inedito su Facebook: sono le ultime immagini di Sándor, alle 4 di quella notte. Lo si vede benissimo: con indosso il giubbotto giallo di salvataggio — quelli dei passeggeri erano arancioni — dirige la gente. Non è scappato: è rimasto sulla nave fino all’ultimo per salvare le persone». Ricordando come Sándor avesse sempre la Bibbia con sé, Tereza conclude: «Vivo la mia tragedia nella consapevolezza che Dio ha chiamato a sé Sándor, perché ha bisogno di lui lì». S ETTIMANA SOCIALE IN F RANCIA Hommes et femmes, la nouvelle donne è il titolo della Settimana sociale tenutasi a Parigi dal 23 al 25 novembre. «Superare gli stereotipi e lottare contro i modelli di dominazione» sono gli appelli risuonati con maggior frequenza, come ha scritto Sarah Numico, inviata Sir. François Ernenwein, caporedattore di «La Croix», ha commentato: «L’uguaglianza tra uomini e donne è uno dei principi che misurano l’avanzamento di una società. Sebbene il diritto di famiglia e del lavoro abbiano registrato i cambiamenti di mentalità che hanno accompagnato l’emancipazione delle donne, dibattere di uguaglianza non dispensa dall’interrogarsi su quale ne sia la trama. Uguaglianza non significa uniformità. Occorre tenere conto di cosa fa la differenza dei sessi e il loro apporto specifico al bene comune». Anche Najat Vallaud- Belkacem, ministro per l’Uguaglianza, ha affermato: «L’uguaglianza non è una lotta tra gli uni e le altre. È una leva per far progredire la società». Secondo la vice presidente della Commissione europea Viviane Reding, «la povertà oggi in Europa è femminile e rischia di esserlo sempre più, soprattutto tra le donne al di sopra dei 65 anni». E Claude Martin, sociologo e ricercatore: «I poteri pubblici possono avere un ruolo centrale per aiutare a promuovere l’uguaglianza. Innanzitutto intensificando gli sforzi per sviluppare servizi per la prima infanzia o per sollecitare gli uomini a occuparsi maggiormente del lavoro di cura, ad esempio facendo ricorso al congedo riservato ai padri». K AROLINA K OZKOWNA Tra le reliquie dei beati polacchi da poco condotti al santuario dei nuovi martiri nella basilica romana di San Bartolomeo, ci sono anche quelle di Karolina Kozkowna, la Maria Goretti polacca, assassinata a 16 anni da un soldato russo. Malgrado il conflitto in corso (era il 18 novembre 1944), ai funerali parteciparono tremila persone. Da allora la devozione verso Karolina, patrona dei movimenti della gioventù polacca, è rimasta vivissima. Il saggio Au-delà du pardon Lo sguardo e gli studi di Lytta Basset, docente di teologia protestante all’università di Ginevra sono sempre stati rivolti alle grandi questioni teologiche e spirituali del mondo attuale. Il senso di colpa, la compassione, l’amore che non divora l’altro sono tra i temi affrontati nelle sue numerose opere. In Au-delà du pardon. Le desir de tourner la page (Presses de la Renaissance, 2006) ci parla del difficile percorso del perdono raccontando passo passo una ricerca durata dieci anni. Il perdono — spiega — non è un fine personale, ma la decisione di voltare pagina per raggiungere la propria liberazione e la propria pacificazione. È la strada per imparare ad accettarsi e ad amarsi, per raggiungere una nuova e profonda unità interiore. Gesù non chiede a Dio di dare agli uomini la forza di perdonare perché non dubita della loro capacità e della loro forza. Infatti nella sola e unica preghiera che Gesù insegna agli apostoli, il Padre nostro , si dice «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il perdono è parte della condizione umana, suggerisce Lytta Basset: si tratta di cominciare a cercarlo con determinazione e con la convinzione che in questa ricerca non si sarà mai soli. «L’Altro — umano e divino — è la roccia alla quale posso comunque aggrapparmi». ( ritanna armeni ) Sono tre donne che hanno vissuto tempi terribili soffrendo privazioni morali e fisiche Ma che sono rimaste fedeli a se stesse con coraggio e perfino con letizia Sua madre in coda davanti al carcere di Leningrado aveva sussurrato all’orecchio di Anna Achmatova «Lei può descrivere tutto questo?» In senso orario, da sotto: Ružena Vacková; Alekander Sedov, «Il viaggio» (1956); donne sotto la fotografia di Stalin; Bogdesko Il’ja Trofimovii, «Sui campi» (1977) Tu mi hai perdonata Maria Maddalena racconta la sua storia Tu scrivevi la nuova Legge E allora anch’io potevo essere perdonata Hai rimesso i miei peccati fino a tal punto Mi chiamo Miriam e sono risorta nel perdono mamma arrestata subito dopo come «moglie di un nemico del popolo», e le due figlie Ju- lija di 15 anni e Komunella di 13, erano rima- ste sole. Erano state divise, poi era venuta la guerra e Julija era morta di fame nell’assedio di Leningrado. Così Komunella, desiderosa di vendetta, non aveva esitato a entrare giovanis- sima in un gruppo terroristico clandestino. Naturalmente era stata arrestata nel 1948, e condannata a 25 anni di lager: come dire una prolungata agonia e la morte certa. Dopo questa catastrofe, con lo stoicismo che aveva imparato in famiglia, aveva scritto: «Mamma, so che non ci tieni tanto alla vita, e riservava ogni giorno, accanto alla miseria e alla brutalità, anche incontri luminosi ed esempi di straordinaria generosità, anche tra le delinquenti più depravate, persino tra le guar- die. Abbonamenti e auguri Grandi novità per il nostro inserto. Da gennaio saremo in edicola ogni secondo giorno del mese. È ora anche possibile abbonarsi all’inserto «donne chiesa mondo» al costo di 10 euro per gli 11 numeri annuali. Non manca la formula regalo, attraverso la cartolina con il disegno di Isabella Ducrot riprodotta qui affianco. A chi attiverà più di tre abbonamenti, in dono il numero speciale dell’«Osservatore Romano» dedicato ai centocinquanta anni della sua storia. Per sottoscrivere l’abbonamento, scrivere all’indirizzo ufficiodiffusione@ossrom.va o chiamare il numero 06 69899470 (fax 06 69882818). Intanto, a tutte e tutti i nostri migliori auguri per l’imminente Natale. Accanto: Tamara De Lempicka, «Il velo verde» (1924) Sotto: Simon Vouet, «Maria Maddalena» (1614-1615) cattolica, docente di archeologia e abitava a Praga. Aveva una pesante esperienza alle spal- le: la fucilazione del fratello Vladimir da parte dei nazisti nel 1944 e poi, nel 1945, l’arresto e la condanna a morte anche per lei. Era scam- pata solo grazie all’arrivo dell’Armata Rossa. Questo dramma l’aveva segnata in positivo, portandola alla conversione, come ricordava padre Zverina al suo funerale: «Allora le si pose il dilemma cruciale: o il nichilismo o la positività, o il nulla o Dio». Da quel momen- to la sua vita aveva acquistato in densità: ri- cordano i suoi studenti che le sue lezioni all’università erano un dialogo vivo e persona- le, si faceva carico dei problemi di ciascuno, li invitava a pranzo al ristorante, li faceva curare dal padre medico. Nel febbraio del 1948, dopo il colpo di Sta- to comunista, era stata l’unica docente dell’Università Carolina ad andare alla mani- festazione di protesta, poi si era autodenuncia- ta davanti al consiglio docenti per sostenere gli studenti espulsi. Così aveva perso il posto ed era stata costretta a campare di aiuti, ma non aveva abbandonato i seminari per i giova- ni almeno fino al 22 febbraio 1952, quando erano venuti ad arrestarla. Il processo farsa costruito contro un gruppo di attivisti cattolici era finito con due condan- praggiungere della guerra e dell’assedio, l’eva- cuazione nelle retrovie, l’avevano ridotta da promettente studiosa a relitto sociale senza di- mora e senza lavoro. Difficile immaginarsi le condizioni in cui si era trovata: per un certo periodo Milena e la madre si erano ridotte a vivere in una chieset- Era stata rilasciata nel 1968 in seguito alla primavera di Praga, e subito si era gettata nell’impegno educativo e civile, tenendo corsi clandestini, partecipando a varie attività civi- che, diventando membro di Charta 77. È mor- ta nel 1982 e il presidente Havel le ha conferi- dava unità a ogni cosa, che rendeva umana ogni situazione. Del resto, questa coscienza ir- riducibile l’aveva imparata in famiglia: era sua madre la donna che, nel lontano 1937, in coda davanti al carcere di Leningrado aveva sussur- rato all’orecchio della poetessa Achmatova: «Lei può descrivere tutto questo?». ancora da scoprire. De- cenni dopo la caduta del regime sovietico ci sono testimonianze di dignità umana che ancora affio- rano per caso da qualche archivio, da quaderni la- sciati in eredità, da let- tere ritrovate in fondo a un cassetto. Si scoprono così le sorprendenti capa- cità di resistenza dell’io umano. Ružena, Komunella, Milena sono tre donne (una ceca, una ebrea, una russa) che hanno vissuto in tempi bui, soffrendo privazioni morali e fi- siche, emarginazione e isolamento, ma sono ri- maste fedeli a se stesse con coraggio e persino con letizia. Ružena Vacková era medievali, che con la pancia vuota e la bisaccia altrettanto vuota girava- no il mondo per ascolta- re gli insegnamenti di Abelardo». Un ufficiale della poli- zia carceraria aveva scrit- to di lei nel suo rappor- to: «Non è interessata a farsi rieducare, e anzi ostacola la rieducazione delle altre. È orgogliosa di essere stata punita dall’attuale regime, di cui è nemica ostinata. Non riconosce i suoi crimini e afferma che se fosse rila- sciata continuerebbe a fa- re quel che faceva prima. Aggiunge che non ha bi- sogno di chiedere la gra- zia. Ha un’indole forte- mente religiosa, direi fa- natica». to l’Ordine di Masaryk alla memoria. Per Komunella Mar- kman invece, diversa- mente da Ružena, la fede cristiana era un mondo estraneo. La fede, nella sua famiglia, era quella marxista, trasmessa dai genitori ebrei rivoluzio- nari di professione; que- sto aveva voluto dire un’educazione ideologica venata di stoicismo: di- sprezzare il dolore fisico, non piangere mai, com- battere per la causa. Ma la storia si era in- trodotta nella loro vita prepotentemente: il pa- dre, un funzionario di partito nel Caucaso, era stato fucilato nel 1937, la neppure io. E allora for- za, decidiamo il giorno e l’ora, e ci suicidiamo tutt’e due». Per fortuna la madre le aveva rispo- sto che valeva la pena aspettare ancora un po’, per vedere «quali altri porcherie ci prepara la sorte. Se non altro per curiosità». Ma la sorte aveva in serbo qualcosa di molto diverso: l’incontro con Cristo, che in una notte di solitudine e dispera- zione Komunella aveva percepito come l’unica persona veramente pros- sima e solidale. Così la sua vita aveva assunto nuovi contorni: si era accorta che il lager le E nella memoria dell’anziana ex detenuta che oggi vive a Mosca una vecchiaia incredibil- mente serena, si sono fis- sati soprattutto i ricordi belli, che le fanno dire: quanti miracoli nella mia vita, quanta bontà, non bisogna mai cedere, l’es- sere umano ti può sem- pre sorprendere. Diversamente Milena Semiz, russa di origini serbe, ortodossa, non ha mai conosciuto la reclu- sione, anche se ha vissuto il dramma della lunghis- sima detenzione del pa- dre. Era una studiosa d’arte che lavorava al museo Ermitage di Le- ningrado, uno dei mag- giori del mondo, ma poi l’arresto del padre, il so- conferenzieri «molto spe- ciali» come il metropolita Antonij Blum, Dmitrij Lichacĕv, Leonid Uspen- skij; quei seminari diven- tavano momenti di con- divisione e di confronto sulle cose essenziali della vita, non solo sull’arte e la cultura. In sostanza Milena Se- miz, grande esperta d’ar- te dalla carriera mancata, che non ha mai avuto una famiglia sua, ha la- sciato dietro di sé una teoria di discepoli che la seguivano per la sua in- telligenza, il bagaglio culturale e la battuta pronta, ma soprattutto per il suo discernimento spirituale. Poiché tutto in lei era imperniato attorno alla fede, una fede che e dietro una colonna, co- me una ladra, e il mio cuore da tempo indurito riprese a sanguinare, in- sieme alle lacrime. Final- mente fluivano quegli umori, di gioia e contri- zione insieme, era penti- mento, ora lo so: dolore per quello che ero stata e sollievo per il desiderio di divenire un’altra. Vole- vo essere simile a Te, mettermi al tuo seguito, servirti e aiutarti. Ma Tu mi avresti accettata? For- se la mia era ancora una stupida presunzione di donna? Così quel giorno venni a cercarti. Tu eri a casa di quel fariseo, Simone, che ti aveva invitato a mangiare con lui. Entrai, il cuore mi esplodeva, come se stessi profanan- do un tempio. Al petto stringevo un vasetto di alabastro ricolmo di olio di nardo, il profumo del- le spose. Strisciai per ter- ra, come un animale, mi feci piccola e mi rannic-

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