donne chiesa mondo - n. 1 - luglio 2012

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO luglio 2012 numero 3 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Le uniche a non abbandonarlo Portatrici di aromi per scongiurare le tenebre di A NNA P OZZI «H o letto nella traspa- renza dell’anima le parole del mio riscat- to. E gli occhi si sono aperti su orizzonti di luce. Ho sollevato la testa. E mi sono incam- minata lungo la strada, dove la saggezza in- contra l’amore, dove la fatica diventa libertà, dove l’esperienza nutre la sapienza. Io, cam- minatrice instancabile. Io, seminatrice di pa- ce. Io, donna dell’Africa». È anonimo questo testo poetico di autore africano, raccolto da Dacia Maraini. Così co- me sono quasi sempre anonime le moltissime donne d’Africa artigiane di pace, portatrici di valori e di sapienza, grandi lavoratrici e silen- ziose lottatrici, alla ricerca faticosa di libertà e dignità, per sé e per i propri figli. «Sono le donne che aiutano ad appianare le tensioni e a guarire le terribili ferite di cui soffre l’Africa a causa della violenza. Esse giocano un ruolo fondamentale nel risolvere i conflitti, nel processo di riconciliazione e nel realizzare un contesto giuridico capace di as- sicurare la pace e prevenire gli attacchi alle libertà fondamentali». Lo scrive, in un recen- te articolo su «Jeune Afrique», Graça Machel, moglie di Nelson Mandela, presi- dente della Fondazione per lo sviluppo comunitario e membro di Africa Progress Panel. Solo raramente queste donne, che rappre- sentano l’ossatura portante dell’Africa, esco- no dall’anonimato e hanno il giusto ricono- scimento. Anche per questo è stato impor- tante che lo scorso anno il Premio Nobel per la Pace venisse attribuito a due di loro (e simbolicamente a tutte le altre): Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia o la sua concittadina, l’avvocato Leymah Gbowee (premiate insieme alla yemenita Tawakkul Karman). Prima di loro, un’altra donna africana, la keniana Wangari Maahtai, aveva ricevuto il prestigioso riconoscimento nel 2004. Impe- gnata per la causa ambientalista, Maathai non aveva mai perso di vista la lotta per i di- ritti delle donne. Insieme a Johnson Sirleaf e Gbowee, fa certamente parte di una piccola avanguardia, che tuttavia rappresenta un esempio significativo per molte altre donne africane, una speranza di non essere confina- te nello spazio domestico, di poter accedere all’istruzione e alle cure sanitare, di poter scegliere per la propria vita e di essere rico- nosciute per il fondamentale ruolo di pa- cificatrici che svolgono all’interno delle co- munità. Secondo il comitato di Oslo, «non è possi- bile raggiungere la democrazia e una forma di pace duratura in Africa e nel mondo se le donne non possono ottenere le stesse oppor- tunità degli uomini nell’influenzare lo svilup- po della società a tutti i suoi livelli». Questo stesso concetto ritorna nelle parole del segre- tario generale dell’Onu, Ban Ki-moon: «Fi- no a quando le donne non saranno liberate dalla povertà e dall’ingiustizia, tutti i nostri obiettivi — la pace, la sicurezza, lo sviluppo sostenibile — sono in pericolo». Già oggi, nonostante le molte difficoltà, sono proprio loro, queste donne — capi di Stato, ma anche semplici contadine, impren- ditrici o casalinghe — che promuovono, spes- so dal basso e in maniera silenziosa, percorsi di giustizia, pace e riconciliazione, con gli strumenti della legge o della tradizione, all’interno delle famiglie, delle società, dei Paesi. Milioni di donne tengono in piedi l’Africa, non solo dal punto di vista economi- co, specialmente nei settori dell’agricoltura e del piccolo commercio, ma rappresentano an- che la stabilità all’interno di contesti sconvol- ti dai conflitti. Anche la seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi ha affrontato il tema, ripreso poi nell’esortazione post-si- nodale Africae munus : «Le donne in Africa, con i loro numerosi talenti e i loro doni inso- stituibili, apportano un grande contributo al- la famiglia, alla società e alla Chiesa. (…) La Chiesa e la società hanno bisogno che le donne abbiano tutto il posto che spetta loro nel mondo “affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto”» (55). E prosegue: «Voi, donne cattoliche, vi iscri- vete nella tradizione evangelica delle donne che assistevano Gesù e gli Apostoli. (…) Quando la pace è minacciata e la giustizia schernita, quando la povertà è crescente, voi siete pronte a difendere la dignità umana, la famiglia e i valori della religione» (58). Questo ruolo, tuttavia, non solo è poco ri- conosciuto, ma in molte parti dell’Africa le donne continuano a essere discriminate nell’accesso all’istruzione e alla sanità e non adeguatamente valorizzate in campo econo- mico, politico, sociale ed ecclesiale. Anche all’esterno, l’immagine della donna africana resta piuttosto stereotipata e banaliz- zata all’interno di cliché funzionali alla noti- ziabilità di certi fatti, con un primato della tragedia su tutti. Racconta a questo proposi- to l’avvocato Leymah Gbowee: «Un corri- spondente dall’estero, una volta mi ha chie- sto: “Lei è stata stuprata durante la guerra li- beriana?”. Quando ho risposto di no, ha per- so ogni interesse per me. Durante la guerra in Liberia, quasi nessuno ha descritto altri aspetti della vita delle donne: il fatto di na- scondere figli e mariti ai soldati che li cerca- vano per reclutarli o per ucciderli, di percor- rere chilometri a piedi in mezzo al caos alla ricerca di cibo e acqua per la famiglia, di an- dare avanti con la propria vita per avere qualcosa da cui ripartire quando la pace fos- se tornata. Quasi nessuno ha raccontato della forza che abbiamo trovato nella sorellanza e di come abbiamo preteso la pace a nome di tutti i liberiani». «Per ogni uomo che va alla guerra — dice- va Wangari Maathai — una donna cresce il mondo». Ovviamente la non violenza non è una prerogativa femminile, ma è certo che in molti contesti africani si poggia su spalle di donna la faticosa resistenza durante i conflit- ti, il complesso carico della famiglia, il com- pito di ricomporre quello che è stato diviso e di tessere i fili intricati della pace e della ri- conciliazione. Anche nelle situazioni più dif- ficili ed estreme. Come nel Kivu, a est della Repubblica Democratica del Congo, dove oltre cinquan- tamila donne sono state brutalmente violen- tate, ma dove è possibile trovare esempi illu- minanti di lotta non violenta e di ostinato la- voro per la riconciliazione. Il Centro Olame di Bukavu è uno di questi. La sua responsa- bile Mathilde Muindo ha guidato una coali- zione di organizzazioni per la difesa dei di- ritti delle donne che è riuscita a far approva- re una legge contro le violenze sessuali, usate come “arma di guerra” nella totale impunità. In Sud Sudan, durante gli oltre vent’anni di guerra, le donne hanno continuato con straordinaria forza di sopportazione e dignità a lottare quotidianamente per tenere in piedi quel che restava delle loro famiglie, per cu- stodire e trasmettere i valori positivi della tradizione contro la cultura dominante della guerra, per chiedere giustizia di fronte alla sopraffazione e all’oppressione. «Basta uccidere donne e bambini» hanno gridato le donne sudsudanesi lo scorso mag- gio nelle strade della capitale Juba e in quel- le delle principali città del Paese. Sono scese in piazza, giovani e anziane, di gruppi etnici diversi, cristiane e musulmane, ministri e ca- salinghe, per ribadire il loro “no” alla guerra e il loro “sì” alla pace. Hanno partecipato tutte le organizzazioni civili e religiose di donne, unite nell’unico desiderio di vivere in pace e di collaborare per lo sviluppo integra- le del Paese. Hanno ricordato ai politici ciò che hanno sofferto nei lunghi anni di guerra, loro, le prime vittime di una strategia desti- nata ad annientare la dignità umana. E han- no ricordato ai “grandi” il loro dovere di im- pegnarsi per una soluzione pacifica e nego- ziata dei problemi irrisolti. «È una grande battaglia — sostiene Amina- ta Traoré, ex ministro della Cultura del Mali e leader del movimento altermondista — quella che siamo chiamate a fare noi donne africane. Vogliono confinarci nello spazio do- mestico. E invece vogliamo uscire fuori, non per chiedere pietà, ma rispetto e solidarietà. La resistenza deve partire da noi donne. Ab- biamo un ruolo importante: curare le piaghe di un sistema cinico, in cui prevalgono le lo- giche del profitto e del conflitto, della merci- ficazione di ogni cosa. Le donne hanno qual- cosa da dire e molto da fare. Resistere è un’esigenza, ma anche cambiare le cose. Og- gi occorre costruire una visione più fraterna del mondo». Il romanzo Nata viva «Rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita», scrive la ventottenne Zoe Rondini (uno pseudonimo) nel suo racconto autobiografico Nata Viva (Albatros, 2011) in cui ripercorre la strada fatta per recuperare, in qualche modo, quel fiato trattenuto che tanto le è costato in termini di disabilità fisica e di una diversità alla quale non si è mai arresa. Perché non c’è solo la salita di dover imparare quello che a tutti viene spontaneo («ho imparato a camminare, a cadere in avanti, a rialzarmi, quasi morendo di fatica e con tutta la rabbia possibile»), c’è il dolore di una bimba, un’adolescente e una giovane donna costretta a fare i conti con l’indifferenza, la negazione, il trincerarsi dietro le proprie sofferenze e l’insofferenza di quanti hanno incrociato la sua strada. Familiari inclusi. A 13 anni Zoe inizia a “scriversi”: il racconto del suo quotidiano diventa un quotidiano confronto con le due alternative che ha dinnanzi. Scegliere se vivere o esistere. «Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio… ma forse chi non ha dubbi nella propria vita, è il vero disabile». ( giulia galeotti ) Film Bus 678 Cairo: Fayra per recarsi al lavoro deve prendere un bus sul quale viene palpeggiata e molestata. Non la proteggono né il suo castigatissimo abbigliamento, né il velo. Seyra, giovane, benestante ed evoluta, accompagnando il fidanzato allo stadio viene aggredita e umiliata da un gruppo di uomini resi euforici dalla vittoria della squadra del cuore. Anche Nelly, studentessa, che lavora in teatro, viene aggredita da un uomo in auto che la trascina palpandola brutalmente. L’umiliazione delle donne finisce così per essere un comportamento normale e naturale. Come si risponde alla molestia e alla violenza che imperversa per le vie della megalopoli? Corsi di autodifesa? Ricorso ai tribunali? Il film (non ancora nelle sale italiane) Bus 678 del regista Mohamed Diab (2010) cerca la risposta nella Cairo affollata e moderna che non rispetta le donne. Loro devono pensarci da sole. E ne parlano. Fayra prova con uno spillo che estrae dal “velo” e colpisce il suo aggressore. Poi passa a un coltellino... In molte la pensano e fanno come lei. Ma è la risposta giusta? ( ritanna armeni ) D ISTORTE STRATEGIE PER LE DONNE AFRICANE Nel luglio 2003 l’Assemblea dell’Unione Africana approvò, come noto, il Protocollo della Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli e sui diritti delle donne in Africa, il cosiddetto Protocollo di Maputo. L’obiettivo dichiarato era quello di combattere la mutilazione genitale femminile, un crimine che colpisce quasi due milioni di africane ogni anno violandone la dignità. Dopo quasi un decennio dalla sua entrata in vigore, padre Shenan J. Boquet — presidente dell’ong Human Life International, impegnata nel mondo in difesa della vita nascente — ha presentato un bilancio inquietante sugli effetti e i reali scopi del Protocollo: sei milioni di aborti solo nel 2011; ampia diffusione della sterilizzazione femminile; ricorso sistematico a metodi di controllo delle nascite. Secondo la nota del religioso pubblicata dall’Agenzia Fides, sono queste le ferite provocate dall’applicazione del documento, il cui intento è in realtà la promozione di una radicale trasformazione delle società africane orientandole verso ideologie distruttive della vita umana, attraverso «nuovi metodi pedagogici» che ridisegnano e riorientano le menti e le vite di milioni di persone. Sterilizzare e far abortire le donne è una distorta strategia di emancipazione, deliberatamente incapace di lavorare sull’istruzione e sulla formazione femminile. A UTOGOL DELLA C OMMISSIONE E UROPEA Tacchi a spillo, minigonne, pose provocanti, rossetti squillanti, ammiccamenti variegati e inequivocabili di tre ragazze: non sono gli ingredienti dell’ennesimo filmato misogino di serie B, bensì gli assi della nuova campagna della Commissione Europea volta ad avvicinare le ragazze dei 27 Paesi membri alla scienza. Ecco il motivo della campagna triennale lanciata dal video Science is a Girl Thing , commissionata dall’irlandese Marie Geoghegan Quinn, commissaria all’innovazione. Sorprende il tenore dell’autogol, un clamoroso boomerang contro cui la Rete è insorta. Ciliegina sulla torta, la presenza di un uomo nel video. Tanto le tre sono pronte per una serata in discoteca, quanto lui è impeccabile per il laboratorio: di camice munito, è al microscopio nell’arduo tentativo di non farsi distrarre. La scienza è un gioco da ragazze o sulle ragazze? H OMELESS LE REDUCI AMERICANE Tra i tanti homeless statunitensi finiti in strada travolti dalla crisi economica, vi sono reduci di guerra tornati nell’ultimo decennio dal fronte afghano e iracheno. La vera sorpresa però si ottiene scorporando i dati forniti dal dipartimento dei Veterans Affairs : se il numero totale dei reduci senza casa è diminuito del 12 per cento tra il 2010 e il 2011, sono però notevolmente aumentate le donne militari che, rientrate alla vita civile, si sono trovate senza lavoro e senza tetto. I dati ufficiali in realtà parlano di “solo” 3328 reduci donne in difficoltà (dato comunque doppio rispetto a quello ufficiale del 2006), ma i funzionari federali ritengono che la cifra reale sia molto più alta. Del resto, se nel 2011 il dipartimento dei Veterans Affairs ha dato sostegno a 14.847 donne ex militari homeless o a rischio, più che un dubbio, l’allarme è una certezza. I L CAMMINO DI P ISLA GITANA D ’A LSAZIA Pisla non sa né leggere né scrivere, eppure (dettandolo alla figlia) ha pubblicato un libro di cui la Francia sta parlando molto, Sur ce chemin où nos pas se sont effacés… (La Nuée bleue, 2012). In esso l’ottantaseienne Louise Helmstetter, detta Pisla, racconta la sua storia di gitana d’Alsazia: «niente ci appartiene, ma noi apparteniamo al mondo e viviamo in armonia con lui». Questa donna bellissima, con il suo aspetto di radiosa pellerossa, era una presenza fissa da più di mezzo secolo al pellegrinaggio annuale degli zingari alle Saintes-Maries- de-la-Mer, il più grande raduno gitano d’Europa che ogni maggio vede la Camargue in festa popolata da pellegrini radunati in onore di santa Sara “la Nera”, protettrice di tutti gli zingari e i nomadi del mondo. Il prossimo anno, però, Pisla non andrà: nata nel 1926 in una roulotte sulle colline dell’Alsazia, si sente ormai troppo anziana. Per questo ha raccontato la sua storia, indicando — lei considerata la più anziana fedele in cammino verso la Camargue — la strada a chi vorrà ascoltarla. C ALCIO E CALCI NELLE CASE INGLESI Un’inchiesta della Bbc ha rivelato che in Gran Bretagna la violenza domestica si impenna in occasione delle partite importanti: che si vinca o si perda, così i sudditi di Sua Maestà sfogano le loro emozioni calcistiche. Le cifre sono chiare: nei giorni in cui giocava la nazionale inglese durante gli ultimi mondiali in Sudafrica (2010) il numero di denunce per violenza domestica è stato nettamente superiore rispetto agli stessi giorni dell’anno precedente. Si è prodotto, infatti, un aumento del 27 per cento dopo la partita vinta contro la Slovenia e del 29 per cento a seguito della sconfitta per mano tedesca. Le percentuali degli altri due pareggi, invece, sono state in linea con quelle del 2009. È solo l’x, dunque, a dare tregua ai calci inglesi. La polizia ha rinforzato la sorveglianza nei giorni di Euro 2012, dopo aver avviato una campagna preventiva nei pub. Attendiamo i risultati, non calcistici. A Z ENAIDA V. R OTEA LA MEDAGLIA DEL P APA La dottoressa Zenaida V. Rotea, attivista filippina per i diritti e la dignità della donna, ha ricevuto la Croce pro Ecclesia et Pontifice , onorificenza conferita a quanti si distinguono per il servizio alla Chiesa. Da quasi trent’anni Rotea fa parte della Catholic Women’s League filippina, di cui è stata anche presidente, promuovendo (tra l’altro) centri di ascolto e consulenza nelle diocesi per le donne vittime di violenza, stupro, incesto e molestie. D IPLOMA DI MOGLIETTINA Finite le lezioni e sceso il sipario sugli esami, è tempo di bilanci. Nonostante i dati attestino i migliori risultati delle ragazze, a qualcuna sarà successo di essere bocciata. Come incoraggiamento, proponiamo l’ascolto di Ripassando la lezione , vecchio brano di Natalino Otto. «Lungo il viale sta ripassando la sua lezione la studentessa. L’accompagna lo studentino che birichino d’amor le parlerà. (...) Passar gli esami è un batticuore, muto il labbro sarà, e non saprai, al professore, cosa dire, si sa. (...) L’han bocciata ma lo studente dal cuore ardente la sa riconsolar. Con zero in geografia. Con tre in filosofia tu sarai per sempre sua. Nel diploma di mogliettina, oh studentina, c’è la felicità». Per fortuna, era il lontano 1961. Il saggio Famiglia italiana Claudia Mancina, insieme con gli autori che hanno collaborato alla breve e interessante antologia Famiglia italiana. Vecchi miti e nuove realtà (Donzelli, 2012), sostiene che la famiglia non è in crisi ma, anzi, regge benissimo. Solo si è trasformata, diventando famiglia di fatto, famiglia allargata, famiglia omosessuale. Ovviamente il problema è stabilire cosa significa famiglia, e soprattutto guardare ai cambiamenti con un’ottica di lungo periodo, meno ravvicinata. A breve termine, infatti, e specie sotto la luce dell’ideologia libertaria, tutto sembra andare nel migliore dei modi. Ma sappiamo bene come le nuove generazioni stiano risentendo, a vari livelli, dell’incertezza istituzionale in cui vivono e come la depressione sia avviata a diventare la malattia più diffusa delle nostre società che garantiscono la soddisfazione dei desideri individuali. Un libro quindi molto “di parte”, che non convince, anche perché utilizza una bibliografia limitata, escludendo a priori studi che sono contrari alla sua tesi, anche se scritti da importanti studiosi non necessariamente cattolici come Marcel Gauchet. ( lucetta scaraffia ) Esse non conoscevano né il senso della sua morte né i misteri della futura vittoria della futura resurrezione Cima da Conegliano, «Lamentazioni sul corpo di Cristo con santi carmelitani» ( XV - XVI secolo) Seminatrici di pace Inchiesta sulle donne che cercano di sanare i conflitti in Africa Vogliono confinarci in casa, denuncia Aminata Traoré «Invece vogliamo uscire fuori non per chiedere pietà ma rispetto e solidarietà» «Sono le donne che aiutano ad appianare le tensioni e a guarire le terribili ferite di cui soffre il continente a causa della violenza» ha scritto Graça Machel di A LEKSANDR Š MEMAN Q uando nella Settimana santa ascoltia- mo il racconto della passione di Cristo, della sua crocifissione e morte, ci col- pisce sempre un particolare: la fedeltà a Lui di pochi seguaci, prevalentemen- te donne, di cui nel Vangelo non si dice quasi nient’altro. I discepoli di Cristo erano fuggiti tutti, abbandonandolo. Giuda l’aveva tradito. Pietro ave- va abiurato per tre volte. Intere folle avevano seguito Cristo durante la sua predicazione. Tutti si attendevano da lui qualcosa: si attendevano aiuto, miracoli, guarigioni, si atten- devano la liberazione dall’odiato giogo romano, il riassetto dei propri affari terreni. Il senso del suo insegnamento — la predicazione del sacrificio di sé, dell’amore, di una dedizione senza riserve — tutte queste innumerevoli persone non lo capivano bene, e non ci facevano neppure molto caso. Cristo pote- va aiutarle, e loro si rivolgevano a lui e lo segui- vano. Ma poi crebbe nei suoi confronti l’odio dei capi del popolo e dei potenti. Nella predicazione di Cri- sto, incentrata sull’amore, cominciarono a echeggia- re predizioni sul fatto che ora Lui stesso si sarebbe immolato per amore. E la folla cominciò a diradar- si, a dissolversi. Per l’ultima volta la gloria terrena, il successo umano di Cristo conobbero una vivida fiammata nel giorno del suo ingresso trionfale a Gerusalemme, quando, come dice il Vangelo, «tutta la città fu presa da agitazione» ( Matteo 21, 10). Ma fu solo un istante. E, del resto, la gente non accolse con tanta esultanza e solennità Cristo perché ancora una volta si attendeva da Lui, voleva da Lui un re- gno terreno, una vittoria terrena, di forza e gloria? de pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò» ( Mat- teo 27, 57-60). Trascorso il sabato, all’alba del terzo giorno le medesime donne si recarono al sepolcro per imbalsamare il cadavere con aromi, secondo la consuetudine. E proprio a esse, per la prima volta, apparve Cristo risorto, esse per prime udirono da Lui il «Salute a voi!» che sarebbe poi divenuto l’es- senza della forza cristiana. A queste persone, a queste donne Cristo non ave- va svelato, come aveva fatto con i dodici apostoli che si era scelto, i misteri del futuro. Esse non co- noscevano né il senso della sua morte, né i misteri della futura vittoria, della futura resurrezione. Per loro la morte del maestro e dell’amico era la morte, la fine, e una morte orribile, oltraggiosa, un’orribile fine, uno strappo. Rimasero ai piedi della croce so- lo perché amavano Gesù, lo amavano e ne avevano pietà. Non abbandonarono questo povero corpo martoriato, ma compirono tutto quello che da sem- pre compie l’amore nell’ultimo distacco. Coloro a cui Cristo aveva chiesto di rimanere con Lui nell’ora della terribile lotta, quando, come dice il Vangelo, «cominciò a provare tristezza e angoscia» ( Matteo 26, 37), lo abbandonarono, fuggirono, abiu- rarono. Invece, quelli a cui non aveva chiesto niente, ri- masero fedeli al proprio semplice amore umano. «Maria stava vicino al sepolcro e piangeva». Così per l’eternità piange l’amore, come Cristo stesso aveva pianto al sepolcro del suo amico Lazzaro. Ed è proprio questo amore a venire a sapere per primo della vittoria. A questo amore, a questa fedeltà per primi viene concesso di sapere che non bisogna più piangere, che la «morte è stata inghiottita dalla vit- toria», e che non esiste, non esisterà mai più questo disperante distacco. È qui il senso dell’episodio delle mirofore al se- polcro. Esso ci ricorda che l’amore e la fedeltà riful- sero, unici, in questa oscurità senza fondo. Ci chia- ma a far sì che l’amore e la fedeltà non muoiano, non soccombano nel mondo. È un giudizio sulla nostra pusillanimità, sulla nostra paura, sul nostro perpetuo e servile tentativo di giustificarci. I presso- ché sconosciuti Giuseppe e Nicodemo, oppure que- ste donne che all’alba si recarono al sepolcro occu- pano così poco posto nel Vangelo. Eppure proprio qui si decide il destino eterno di ciascuno di noi. Io penso che ai nostri giorni abbiamo un bisogno particolare di far memoria di questo amore e della semplice fedeltà umana. È venuto infatti il tempo in cui anche queste esperienze vengono dissacrate dalla falsa dottrina sull’uomo e sulla vita umana che impera nel mondo. Nei secoli, sia pur fievolmente, ha continuato a splendere e a brillare nel mondo un riflesso della fedeltà, dell’amore, della compassione che silenziosamente erano presenti al cospetto della passione di quell’Uomo, abbandonato da tutti. E noi dobbiamo aggrapparci come a un’ancora di sal- vezza a tutto ciò che nel nostro mondo ancora vive del calore, della luce di questo semplice, concreto amore umano. L’amore non chiede all’uomo teorie o ideologie, si rivolge al suo cuore e alla sua anima. Romba la storia umana, nascono e crollano i re- gni, la cultura si evolve, ribollono guerre sanguino- se, ma sempre, immutabilmente sulla terra, nella nostra torbida, tragica storia risplende la figura femminile, simbolo di sollecitudine, dedizione, amore, compassione. Senza questa presenza, senza questa luce, il nostro mondo sarebbe solo un mon- do orribile, nonostante tutte le sue riuscite e con- quiste. Si può dire, senza tema di esagerazione, che è stata, che è la donna a salvare l’umanità dell’uo- mo, e non attraverso parole, idee, ma proprio con questa sua presenza silenziosa, sollecita, amorosa. E se, nonostante tutto il male imperante nel mondo, non viene meno la misteriosa festa della vi- ta, se essa si celebra con altrettanta gioia in una po- vera stanza, a un misero desco come in un palazzo, la gioia e la luce di questa festa sono racchiuse in essa, nella donna, nel suo amore e nella sua fedeltà inesauribili. «Non hanno più vino». Finché c’è lei — madre, sposa, amata — ci sarà sempre vino, amo- re, ci sarà luce per tutti. Tutto questo finì subito. La luce si spense, e alla Domenica delle palme seguirono il buio, la solitudi- ne e la disperata tristezza della Settimana di passio- ne. In questi ultimi giorni la cosa più terribile fu probabilmente il tradimento dei suoi, dei discepoli, di coloro a cui Cristo si era donato interamente. Nell’orto del Getsemani perfino i tre più intimi non seppero resistere e si addormentarono, mentre Gesù negli spasimi, inondato di sudore di sangue, si pre- parava a una morte orribile. Sappiamo che Pietro, sebbene avesse protestato con veemenza che sareb- be morto insieme a Cristo, all’ultimo momento tre- mò, venne meno, abiurò, tradì… «E allora — scrive l’evangelista — tutti i suoi discepoli lo abbandona- rono e fuggirono» ( Matteo 26, 56). In realtà, non tutti fuggirono. Ai piedi della cro- ce sopraggiunge l’ora della fedeltà umana, dell’amo- re umano. Quelle che nel momento del “successo” sembravano tanto lontani, che noi quasi non incon- triamo nelle pagine del Vangelo, quelle a cui, se- condo le parole dell’Evangelista, Cristo non aveva parlato della sua resurrezione e per le quali, dun- que, in questa notte ai piedi della Croce tutto era finito, irrimediabilmente perduto, ebbene costoro gli rimasero fedeli, riaffermarono il proprio amore umano. Scrive san Giovanni: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala» ( Gio- vanni 19, 25). Poi, dopo la morte di Gesù, «venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giu- seppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Ge- sù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una gran- B UONE VACANZE L’inserto «donne, chiesa, mondo» non uscirà in agosto. L’appuntamento con il numero 4 è dunque per giovedì 27 settembre. A chi ci legge, un augurio cordiale di buone vacanze. Fotografia di Franca Schininà (Etiopia, 2001) L’autore Aleksandr Šmeman nasce a Revel’ in Estonia il 13 settembre 1921. A otto anni emigra con la famiglia a Parigi, dove trascorre la giovinezza negli ambienti dell’emigrazione russa. Compie studi teologici e nel 1943 si sposa con Uljana Ossorgina’ga. Tre anni dopo è ordinato sacerdote ortodosso. Nel 1951 emigra a New York, dove insegna teologia al Seminario ortodosso di San Vladimir. Divenuto un’autorità soprattutto per la sua teologia eucaristica, mantiene in sé le profonde radici spirituali dell’oriente ortodosso, lo sradicamento dell’emigrato e la capacità di adattamento a ogni nuova situazione. La sua fede si è sviluppata e arricchita fra queste contraddizioni. Per trent’anni ha tenuto regolari programmi sulla liturgia e le Scritture per Radio Liberty, che trasmetteva in lingua russa per i Paesi oltrecortina. È morto a New York il 13 dicembre 1983. Le trasmissioni di padre Aleksandr Šmeman su Pasqua, mirofore, incredulità di Tommaso e ascensione sono uscite in versione integrale sulla rivista «La Nuova Europa» (n. 4, 2012).

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