Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

68 CLAUDIO NAPOLEONI II Giunti a questo punto dobbiamo tirare le file, e vedere quali sono i problemi che, in connessione con le dottrine della concorrenza mono– polistica, sorgono a proposito del significato della teoria economica in generale. Il punto da cui dobbiamo partire è l'accusa, formulata dai teorici della concorrenza monopolistica alla teoria tradizionale, di aver elabo– rato degli schemi di mercato che non tengono sufficientemente conto del funzionamento della realtà economica. Quest'accusa ha, senza dubbio, dei solidi fondamenti e, dopo tutto ciò che è stato detto e scritto in proposito, non abbiamo certo bisogno qui di dimostrare come le caratteristiche che definiscono la concorrenza e il monopolio puri non siano praticamente mai verificate dalla realtà. Ma la questione alla quale vogliamo cercar di rispondere è un'altra: vogliamo infatti chiederci se il modo in cui le dottrine della concorren– za imperfetta hanno criticato la teoria tradizionale sia un modo scienti– ficamente valido, e se non sia, per avventura, implicita in queste dot– trine una concezionr. della natura della scienza economica che sia di grave pregiudizio alla scienza stessa. Cominciamo anzitutto col rilevare che la teoria economica classica e neoclassica presenta due caratteristiche fondamentali. In primo luogo essa studia il funzionamento del sistema economico nel suo complesso, e affronta le questioni di comportamento aziendale nella misura in cui esse hanno rilievo per il contesto economico gene– rale cui ie singole unità di produzione appartengono. Ciò è vero pa Smith, che, nel suo lavoro scientifico, tenne fede alla definizione della lunghi periodi allo scopo di alzare il livello futuro della domanda, 6) i venditori esi– stenti fanno a meno di tenere i prezzi alti abbastanza da massimizzare i profitti per paura che in tal modo siano attratte nella loro industria altre aziende con conseguenti riduzioni della domanda per i loro prodotti e quindi dei profitti. Nell'articolo di Gordon pure citato si indicano questi altri fattori: 1) il desiderio di stabilità, 2) il desiderio di mantenere l'azienda in situazione di notevole liquidità, oltre che il fattore 6) dell'arti– colo di Bain, sul quale si insiste molto. Che tutti i fattori diversi da quello della massi– mizzazione del profitto non siano suscettibili di esstre sottoposti ad un'analisi che ne indichi il comportamento attraverso regole generalmente valide è riconosciuto dallo stesso Gordon (p. 270). L'inevitabilità del ricorso all'esame caso per caso è perciò, con questa impostazione, particolarmente evidente. Il punto importante da notare è che tutti gli studi che insistono su tutti questi aspetti del comportamento aziendale, distinti dalla massimizzazione del profitto, possono, più o meno direttamente, essere riportati al ten– tativo di tener conto in qualche modo, del carattere non-statico della realtà economica. Si veda su ciò la n. 18 più oltre. BibliotecaGino Bianco

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