Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

DOCUMENTI 187 immediata vicinanza all'Esistere puro, distinguendosi ogni genere dagli altri per l'ambito più o meno ampio di ciò che è, vale a dire della sua essenza stessa. Anche S!)lo attraverso gli esseri che noi conosciamo, questa gerarchia ontologica è palese. Dall'inorganico all'organico vi si discernono, al primo sguardo, i principali gradi, e tutto avviene come se la gerarchia degli esseri mostrasse qui il lento sforzo di una marcia verso la conoscenza. Non vi è in ciò nulla di sorprendente, dal momento che l'intelligibilità ci è apparsa come la prima manifestazione dell'esistere. Tra l'Esistere puro, da cui nasce ogni intelligibile, e gli atti finiti di esistere, passa la rottura che separa l'in– finito dal finito; ma sono possibili una infinità di approssimazioni finite dell'infinito; ogni essenza è uno dei loro gradi e ognuna di esse è tanto pi,1 vicina alla perfezione della sua origine in quanto, attraverso la conoscenza, partecipa maggiormente all'intelligibilità. Un universo così concepito deriverebbe certamente da una metafisica dell'essere. La filosofia destinata a fondarlo seguiterebbe così la strada di molte altre, ed è d'altronde arbbastanza consolante pensare che fin dall'ori– ·gine il pensiero umano s~ è mosso sul cammmino del vero, e i suoi stessi errori non sono stati altro che cadute passeggere d'una volontà costantemente tesa nello sforzo di raggiungerlo. Non sarebbe però l'universo di. qualsivo– glia filosofia e neanche di qualsivoglia filosofia dell'essere. Si dovrebbe infatti rinunciare ad ogni speranza di ridurlo a qualsiasi sistema deducibile a priori, se non per il piacere della nostra più alta immaginazione. A ciò si oppone fa nozione stessa dell'essere da cui dipende. L'Esistere, a cui deve di essere, e di essere quello che è, si è per così dire comunicato a lui, perché, sebbene non lo sia, ne partecipa. Nato da una creazione, questo universo conserva, inserita nel più intimo di sé, l'energia novatrice da cui trae la sua origine, e non solo la conserva, ma, a modo suo, la continua. L'esistenza non è una malattia dell'essenza, ne è invece la vita e dal momento che questa vita non può propagarsi che in altre determinazioni intelligibili, essa è a sua volta fonte di nuove essenze. Ecco d'altronde la ragione per cui l'universo ha una durata: e una storia i cui momenti, come tutto quanto è relativo all'esi– stenza, si lasciano più osservare che dedurre. Al termine di ogni ontologia dell'esistenza s'incontra una fenomenologia che si ispira ai suoi principi, ma anche la completa, poiché la ~enomenologia comincia nel punto preciso in cui il pensiero si sforza di cogliere l'esistenza nella sua funzione specifica <li causa dell'essere, vale a dire nella sua attività vitale e sempre inventiva. È senza dubbio un grave errore il voler costituire una fenomenologia che sia• in qualche modo essa stessa la sua propria metafisica. Strappata da:ll'essenza BibliotecaGino Bianco

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