Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

132 LETTURE nella lµce di Dio, e non pensare mai di essertene « meritata » neppure la più piccola particella: ecco i,l comandamento dell'umiltà. Quale amore più puro che di. concedere all'altro la beatitudine dell'amare, che di concedere persino alle cose che in qualche modo e solo casualmente ci giungono op– portune l'apparenza di una certa bontà, anche là dove il mond'o statuisce una cosidetta « giusta pretesa» per quel servizio che l'altro ci fa solo per amore, o che le cose ci rendono per caso, come la sedia che è lì quando vogliamo sederci, o il sole quando non abbiamo parapioggia. E non merita già gratitudine se il mondo contiene un giusto, qualora egli per caso agisca «giustamente» verso di noi? Non è esatto dire che l'Ethos cristiano con– danni ogni superbia, ogni aspirazione alla stima, al merito, alla dignità. È naturale d'essere superbi della propria ricchezza. È naturale d'essere su– perbi della propria bellezza, della bellezza e delle doti della propria donna e dei propri figli. È naturale d'essere superbi del proprio nome e della pro– pria origine. Questo genere di superbia, che lo sto~cismo condanna, ha senso ed è ragionevole. Questi beni sono ancora abbastanza terreni per sopportare su di sé il peso della superbia. C'è una sola superbia che è dia– bolica; ed è la superbia del proprio valore morale considerato come il più alto, la superbia morale, il vizio dell'Angelo che cadde e che i Farisei imi– teranno in eterno. Quell'altra: superbia che gli Stoici condannano ascetica– mente come mera e nulla vanità, si basa ancora su un certo arrnore verso le cose di cui si è superbi. Si guarda qui ancora, nell'atto di insuperbire, a questi poderi estesi, a queste obbliganti dimostrazioni di saluto e di favore della gente, a questa uniforme che riveste, come a cose che hanno un loro proprio valore indipendentemente dal nostro insuperbi,re per esse. La se– conda superbia, quella che gli Stoici' così temerariamente contrappongono alla prima, essa sola costituisce per il sentire cristiano la vera superbia ed essa sola è di origine di,abolica. Essa, impoverendo insanabilmente e ottenebrando il mondo e noi stessi, elevando su su il superbo sopra ogni còsa ed ogni valore, fino a che egli con la sua compiuta «sovranità» vede dall'alto tutto, tranne la totale vacuità e nullità pur allora raggiunte; svincolandoci man mano da tutti i beni e i valori che sopportano ancora una superbia del pri– mo genere, e facendoli sentire nello stesso momento in cui insuperbiamo di una cosa, come ciò sia una limitazione alla superbia assoluta, alla su– perbia del nostro io spogliato e vuotato; la traiettoria di questa superbia indicai chiaramente la direzione che conduce in quello che con ragione i cristiani hanno chiamato « Inferno ». Il vero e proprio inferno è il non possesso dell'amore. E verso questo vacuum dell'amore cammina il superbo Bi.bliotecaGino Bianco

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