Cultura e realtà - anno I - n. 2 - luglio-agosto 1950

RACCONTARE È MONOTONO La nostra definizione di mito avverte che di questo si può parlare soltanto quando incarni una realtà altrimenti inafferabile. Ma ne esiste tutta una classe dove la realtà è afferrabilissima quando si tenga pre– sente ch'essa supera la sfera individuale e richiama un'esperienza col– lettiva, vale a dire afferrabile da chi raccolga la cangiante materia dei successivi sedimenti accumulati da un intero gruppo umano. In questa realtà quel tanto d'irrazionale cioè d'inafferrabile che beninteso per– dura, riesce tale perché l'individuo non ha mai finito di sondare la materia, e perciò non arriva mai a coincidere con l'intero gruppo. Tali per es. le bandiere, gli slogan simbolici, le liturgie. Ma può darsi un mito, cioè un simbolo, totalmente individuale? Senza dubbio, e il problema è soltanto com'esso s1 configuri nell'arte narrativa. Benché arte e mitopeia siano cose diverse, non crediamo che si dia racconto vivo senza un fondo mitico, senza qualcosa d'inafferrabile nella sua sostanza. La ragione ultima - e prima - per cui ci s'induce a comporre una favola, è la smania di ridurre a chiarezza l'indistinto– irrazionale che cova in fondo alla nostra esperienza. Questa riduzione non è mai totale, altrimenti il risultato sarebbero concetti e astrazioni - scienza o filosofia. Narrando non si esce dal gorgo della naturalità, così come nuotando non si esce dall'acqua, e la massa indistinta del– l'acqua sostiene e determina i movimenti, dà loro un senso e un fine. La chiarezza del racconto corrisponde alla funzionalità del nuoto - ge– sti nitidi e precisi che si modellano sull'acqua indistinta e la modellano in cerchi, in impulsi, in giochi di schiume. Dobbiamo concludere che tutto nella narrativa è stile - così come nel nuoto? Evidentemente, quan– do per stile s'intenda tutta la composizione - parole, passaggi, taglio di scene, caratteri, cadenza e riprese. Un simbolo che non investa di sé Biblioteca Gino Bianco

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