Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950

IL MITO 7 de. Ciò accade perché anche nel processo « ideale eterno » del poetare risulta più che mai implicito un momento mitico - qui il mito è ciò che si _chiamal'ispirazione, l'intuizione nucleare -, e questo momento reli– gioso che nelle altre attività spirituali è ormai stabilmente trasformato o scaduto, soltanto in quella fantastica sopravvive immediato e ineli– minabile. Noi a questo concetto del mito giungemmo meditando appunto un fatto religioso. Ci accadde di chiederci che cosa fosse per il fedele un santuario, in che cosa un sacro monte differisse per lui dalle altre colline - e la risposta fu precisa - : santuario è il luogo mitico dove è accaduta un giorno una manifestazione, una rivelazione del divino (tactus de coelo - c'è caduta la folgore); il luogo unico tra tutti, dove il fedele partecipa in qualche modo, con la presenza, col contatto, con la vista, all'unicità di quella rivelazione, la quale si moltiplica nel tempo, proprio perché avvenne la prima volta fuori del tempo, e fonda perciò tutta la realtà mitica del monte. Che cosa prova il fedele, al contatto con la sacra collina? Il tempo per lui si arresta, in un attimo vertiginoso egli contempla, sente, l'unicità del luogo, simbolo incarnato della sua fede, nucleo centrale di tutta la sua vita interiore. La qualità dell'oggetto mitico non conta - liturgia complessa o semplice roccia, esso non esprime ma è il divino - un « vero metafisico ». Fuori da ogni campo confessionale, c'è qualcosa nella nostra espe– rienza che ricorda quest'attimo: un universale fantastico che al singolo individuo (in ciò la sua differenza dal mito religioso, sempre colletti– vo) ispira una passione analoga. E anche qui cade in acconcio la parola del Vico: « ••• i primi uomini, come fanciulli del genere umano ... ». Dalla fanciullezza, dall'infanzia, da tutti quei momenti di fondamentale contatto con le cose e col mondo che trovano l'uomo sprovveduto e commosso e immediato, da tutte le « prime· volte » irriducibili a razio– nalità, dagli istanti aurorali in cui si formò nella coscienza un'immagi– ·ne, un idolo, un sussulto divinatorio davanti all'amorfo, sale, come da un gorgo o da una porta spalancata, una vertigine, una promessa di conoscenza, un avangusto estatico. Il proprio di questa sensazione è un fermarsi del tempo, un rivivere ogni volta come nuova quella prima volta - così avviene nelle pratiche rituali per la celebra;ione di una festa. Abbandonarsi alla contemplazione all'escavazione di quel momento, significa uscire dal tempo, sfiorare un assoluto metafisico, entrare in una sfera di travaglio, di vagheggiamento di un germe che Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy