Cultura e realtà - anno I - n. 1 - maggio-giugno 1950
48 CLAUDIO NAPOLEONI sua un intervento nell'economia anche nell'ambito della forma liberistica, tuttavia, portata dai fatti a riconoscere che il sistema « lasciato a se stes– so» non può funzionare, diviene nel suo complesso favorevole ad inter– venti non tipici. È questa la fase del keynesismo. Il punto che in questa sede maggiormente ci interessa del keynesismo è il fatto che, malgrado esso parta dall'ipotesi di libera concorrenza, tuttavia in qualche modo riconosce la contraddizione tra la formazione in aumento delle possibi– lità di accumulazione (cioè di.investimento) e la diminuzione della rea– lizzazione effettiva dell'accumulazione: la formazione di «troppo» ri– sparmio è fa base della spiegazione keynesiana del ciclo. La politica economica che discende dall'impostazione teorica keyne– siana consiste completamente nel tentativo di superare la contraddizione cui dà luogo il processo di concentrazione che si svolge nell'ambito del– l'appropriazione borghese, diminuendo il ritmo di accumulazione; e in ciò sta il suo aspetto nettamente corporativo. Infatti si considerino le due misure tipiche della politica keynesiana: la redistribuzione del reddito in favore dei consumi e gli investimenti pubblici, misure che sono tra di loro, nell'impostazione keynesiana, stret– tamente collegate, poiché la prima tende a ridurre al minimo possibile la formazione di risparmio (cioè la formazione delle possibilità di accu– mulazione) mentre la seconda tende a riempire il gap che ancora rima– nesse tra gli investimenti privati (cioè la realizzazione effettiva delle possibilità di accumulazione da parte dei privati) e il risparmio (cioè la totale possibilità di accumulazione). Che la prima misura diminuisca il ritmo di accumulazione è evidente di per sé; quanto alla seconda misura, posto che essa riesca veramente ad utilizzare del risparmio inerte, essa tuttavia sposta l'impiego del risparmio dai settori che dànno luogo a forti possibilità di accumulazione ai settori che dànno luogo a basse possibilità di accumulazione (cioè a quei settori di cui appunto si può occupare lo Stato nell'ambito del mantenimento dell'appropria– zione borghese). Ritroviamo quindi nella politica keynesiana lo stesso aspetto che abbiamo trovato nella politica protezionistica, cioè l'opposizione alla ten– denza naturale del mercato. In tutti e due i casi l'intervento indiretto dello Stato (indiretto nel senso di semplice garanzia da parte dello Stato della continuità del diritto borghese) viene sostituito con l'inter– vento diretto dello Stato stesso. La differenza sta nel fatto che il pro– tezionismo aveva carattere temporaneo, mentre la politica keynesiana ha carattere sistematico e che mentre il protezionismo si opponeva all'ac- BibliotecaGino Bianco
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