Critica Sociale - anno XLII - n. 9 - 1 maggio 1950

110 CRITICA SOCIALE in virtù di prezzi crescenti, e da almeno un de– cennio, in virtù di un'economia bellica e postbel– lica, si era adagiata in mercati chiusi o_seil;1ichiusi, con deformazioni della struttura produttiva m senso autarchico nazionale. Occorrono intensi investimenti - e un coordinamento nella politica europea degli in– vestimenti, di cu.i negli ultimi due anni abbiamo rilevato le enormi difficoltà. D'altra parte un nuovo nucleo ingente di investimenti richiede -- per un gruppo di Paesi, come quello dell'O.E.C.E., che di– spongono di scarso risparmio - 11 contributo ?( capitali esterni, i quali non possono essere formt1 in misura adeguata che dagli Stati Uniti. d) Quarto ,punto, occorrono saggi di. camtbio ade– guati delle monete europee, e la possibilità di ri– trovare elementi di maggior convertibilità tra esse. L'introduzione dell'Unione europea dei pagamenti, ora allo studio, consente di andare verso questa strada. Ma essa presuppone che la stabilità finan– ziaria dei singoli i'aesi sia mantenuta all'interno di essi. e) Quinto punto, assai trascurato sil}ora in seno all'O.E.C.E., ma estremamente importante per noi, è qu,ello relatiyo alla possibilità di un'alta e co– stante occupazione umana in tutta l' area del– l'O.E.C.E. Poichè S\ calcola che - nonostante ogni sforzo ·- l'emigrazione in zone esterne non potrà offrire adeguati sbocchi alla mano d'opera esube-· rante in taluni Paesi, come il nostro, rispetto alle possibilità di lavoro, bisogna che solidalmente i Paesi dell'O.E.C.E. si assumano il compito di of– frire queste possibilità di lavoro, e che le politiche economiche nazionali siano tali da agevolare il rias– sorbimento dei disoccupati. Ma questo piano d'azione esige un coordinamento tra le economie nazionali d'Europa, che finora. non si è riusciti a raggiungere. L'amministratore del– l'E.,C.A., Hoffman, ha detto che l'Europa occiden– tale, se vuole salvarsi, deve tendere a due scopi; prima che sia terminato il periodo di _aiuti: annul– lare il disavanzo dollari e creare il mercato unico dei 270 milioni di abitanti (quasi il d,oppio della popolazione degli S.U.). Non si potrà continuare molto tempo, con diciotto frontiere doganali, di– ciotto accordi commerciali e diciotto accordi di pagamento che dividono un mercato - percorso ormai .in due ore dall'aereo a reazione - il quale darebbe probabilmente lavoro a tutta la popolazione uttiva della zona, specializzerebbe i vari gruppi na– zionali, eviterebbe gli attuali doppioni negli inve- stimenti. ' · Che occorra arrivare, e presto, ·all'integrazione .economica, tutti o quasi tutti sono d'accordo. Ma come? Il rapporto· dell'O.E.C.E .. accenna alle strade del coordinamento e della liberalizzazione: cioè a due strade che, almeno 'apparentemente, sono con– traddittorie. Coordinare vuol dire legare le varie economie nazionali a un solo programma; libera– lizzare vuol dire togliere. i vincoli, e quindi abolire ogni forma di politica economica ccguidata ». Liberalizzazione e coordinamento Personalmente penso non ci sia contraddizione. Anche la cosiddetta liberalizzazione degli scambi deve avvenire come un processo di svitamento da quei vincoli che la. nuova situazione non rende ne– cessari, ma come un processo guidato, e quindi coor– dinato. E' un utile incentivo da introdurre, ma da introdurre secondo un certo schema di gradualità; e contemporaneamente ad una serie -di coordina– menti delle politichè finanziarie e monetarie, delle politiche di investimenti, delle politiche commer– ciali e di pagamenti. La liberalizzazione, infatti, pre– suppone, tra i Paesi europei, una . vasta crisi di trasformazione, la quale ha costi altissimi: occorre consentire che questa trasformazione si attui nei limiti in cui l'Europa è capace di sopportare que– sti costi, ha cioè possibilità di risparmi ~ di capi- BibliotecaGino·Bianco . tali tali da consentire vasti disinvestimenti e vasti nuovi investimenti. Il problema da risolvere, per l'Europa, non è dunque oggi soltanto quello con– correnziale. E' certo che l'Europa deve trovare urgentemente il modo di superare le forze centrifughe delle sue diciotto economie. Deve trovare presto la forza cen– tripeta capace di irrobustirla economicamente e di farne il terzo vitale attore nel dialogo politico' _in– ternazionale, se non vuol diventare la vittima di questo dialogo. Dev!! abbandonare il nazionalismo, le voluttà frammentarie e gli orgogli dell'isolamento, come ha saputo abbandonarli nei suoi più gravi periodi della guerra cruenta. Deve evitare lo sper– pero del fisco più rapace, che esige il tributo delle paur<! reciproche tra i gruppi nazionali. Deve as– sumersi solidalmente le responsabilità sociali del– l'alta e costa11te occupazione, di un livello di esi– stenza meno sperequato, di investimenti capaci di avvicinare rendimenti produttivi oggi troppo lon– tani tra di loro. Conclusioni E' lecito e possibile tracciare rapidamente qual– che conclusione? Non ho la JJrctesa di enumerarle, ma tento di r-iassumere le più importan.ti . a) Anzitutto il primo quinquennio del dopo• guerra, nel suo complesso, dal punto di vista ma– teriale ha consentito· di chiudere il bilancio d'eser– cizio della quinta decade del se-colo positivamente: l'Eu.ro,pa ha rimediato al regresso, del 1940/45 con i progressi del 1945/50. Abbi.amo, pagato, e ben pa– gato, il ,tributo materiale alle avventure belliche. b) Queste esperienze ci hanno .dimostrato, sep– pur ce n'era bisogno, che il male europeo è molJ:o più radicato' e vasto di quanto l'opinione publ!lica mostri di accorgersi. Il problema della scarsità del dollaro non è che un sintomo, sebbene il più ap– pariscente, e comunque è solo apparentemente un problema monetario. Noi dobbiamo eliminare non il sintomo ma le sue canse. e) In tale eliminazione non possiamo non te– ner conto di alcuni motivi sociali fondamentali. Le soluzioni devono essere il più vicino possibile a quelle economiche, ma non possono dimenticare problemi extra economici fondamentali. d) Abbiamo imparato che non è più possibile pensare a isolazionismi, e che l'economia mondiale è una: ogni provvedimento preso dai gruppi na– zionali, ogni mutamento avvenuto in uno Stato ha effetti su tutta l'eco:'lomia mondiale. Se non vi è salvezza per -l'Europa attraverso un suo isolamento - e una discriminazione è ammessa per qualche anno, solo come_ tappa per superarla presto - vi è sicura e rapida catastrofe se si persiste nell'iso– lamento reciproco delle diciotto economie nazionali europee. Dobbiamo dunque tendere, da un lato a ristabi– lire un sodclisfac~nte equilibrio tra l'economia eu– ropea e quella delle altre zone del mondo, ma dal– l'altro a ritrovare un equilibrio europeo vitale e progressivo, attraverso una cooperazione così stretta da· sboccare ·nell'integrazione tra i diciotto Stati. A tale scopo sembra necessario crean': una autorità supernazionale cui volontariamente i singoli Paesi ~eleghino poteri in materia economica. e) Dobbiamo, da un lato persuadere gli europei della loro tragica situazione, e dall'allro persuadere gli americani a rendersi conto della loro grande responsabilità nell'avvenire del monélo e dell'Europa in particolare. Non possiamo farci illusioni sulla possibilità di superare rapidamente l'attuale condi– zione di inferiorità dell'economia europea, ma dob– biamo fare un disperato sforzo per cercare di ren– dere minore il divario. D'altra parte gli americani

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