Critica Sociale - anno XLI - n. 3 - 1 febbraio 1949

68 CRITICA SOCIALE bandonare la lotta e di affrontare i nemici con le sole armi spirituali: ed infatti entrò senza scorta in Perugia, agitando le insegne pontificie. Questa audace risoluzione trovò larga ricompensa: infatti il Baglioni, dopo aver reso omaggio al 9 imbolo papale, desistette da qualsiasi proposito guerriero e consegnò la città al suo nemico. II Machiavelli, che leggeva la storia tacitianamente e crede– va che essa fosse riducibile ad un equilibrio di forze materia– li, non trovò alcuna spiegazione al gesto, per lui a~solutamen– te impolitico, del Baglioni. E la sua perplessità ed il suo stu– pore furono più grandi, perchè il difensore di Perugia era uomo ancor più scellerato e spregiudicato dell'ideale Duca Valentino; e gli sembrò che quello avesse sciupata una pre– ziosa occasione per l'affermazione definitiva ed inequivo– cabile dello statalismo laico. Il Guicciardini, che pure in buona parte condivideva gli ideali politici del Segretario fiorentino, non a_veva eccessiva fiducia che un principe forte e saggio potesse renderli concreti e riteneva più opportuno, com'egli stesso si esprimeva, cli lasciar fare alla Storia; col che irrplicitarrente optava più per il rozzo intuito politico del Baglioni che per le astratte pretese del Machiavelli. Se l'autore del · « Principe» si fosse di tanto in tanto liberato dai suoi rigidi presupposti teorici, si sarebbe accorto che tra il Baglioni e Giulio II il computo delle forze era da fare più sui valori morali, o comunque non specificatamente politici, anzichè sulla quantità degli armamenti; ed altret– tanto avrebbe fatto il Burnham ,il quale, troppo fedelmente obbediente al principio che vuole politica ed etica r.ettamente separate, ed allo schema della classe dirigente, cita l'epi– sodio da noi riferito come un modello classico di lettura della ~toria. Il maggior danno alla dottrina del Burnham, come al realismo politico in genere, pensiarro che derivi dall'autorità che in essa hanno « i fatti». J:erto, rev'ocare in dubbio « un fatto» è piuttosto audace; o è almeno arbi– trario e gratuito prescindere dalla sua concretezza. Tutta– via chiedersi che cos'è « un fatto», quale significato esso abbia, è •legittimo. I fatti sono tanti, e spesso in contrasto l'un con l'altro. Non basta perciò registrarli: per ottenere da essi una risposta da tradurre in legge scientifica è ne– cessario interpretarli. Ed è qui che la scienza diventa pro– blematica: nell'interpretazione del fatto; poichè questa in– durrà ad una selezione per cui alcuni fatti, pur essendo reali e concreti al pari di tutti gli altri, risulteranno inutili. Non solo, ma, nel selezionare o raggruppare i fatti per trarre da essi verità sempre meno contingenti, non si procederà certo col criterio delle combinazioni chimiche; si terrà Ifre– sente che, come diceva il Vico, il mondo della storia, o mondo dei fatti, è creazione umana, e come tale va com– preso al lume dei set}timenti, dei pregiudizi, delle passioni e dei pensieri che guidano l'uomo nella azione. 11 Burnham invece divinizz:;i indiscriminatamente « il fat– to» e s~ pone decisamente sul piano del ,così detto. realismo politice,; dopo di che non .può fare altro che ricorrere alla metodologia marxistica per l'interpretazione della società contemporanea. E, si bacli, egli ricorre ad un Marx epurato. di ogni aporia !Problematica: infatti non ha dubbi ad am– mettere che sia l'organizzazione dei fattoFi produttivi a de– terminare la con figurazione politica della società; solo che, mentre -Marx dal dialettismo. imaterialistico· deduceva l'irre– parabile rovina del capitalismo ed il conseguente trionfo del proletariato, il Burnham deduceva la rovina di entrambi ed il sorgere di una nuova classe di padroni: quella dei tecnici. In un certo senso ,il Burnham è oiù coerente cli Marx; oer– chè, u1,a volta ammesso il principio materialistico, trae da esso le estreme conseguenze senza incrinarlo con inspiega– bili pretese moralistiche. 11 filosofo di Treviri, invece, in · sede di fondazione dottrinaria, ammise, sì, che la dialetti– ca dei fattori _produttivi avrebbe determinato la catastrofe del capitalismo, tuttavia preferì sollecitare la classe operaia a far violenza sull'ordine delle cose, affinchè detta catastro– fe avesse luogo; e finì che le rivoluzioni sociali sono prepa– rate dallo spontaneo evolversi della materia, ma che, in de– finitiva, a determinare il passaggio da una forma ad altra di convivenza politica è sempre il cosciente intervento degli Questa surrettizia rivalutazione di elementi immateriali al- Burnham appare come una debolezza critica o, ,quanto me– no,' come una inspiegabile frattura del comodo dialettismo BibliotecaGino Bianco economico materialistico; ed ecco che ricompone l'unità del– la dialettica e mette da parte la volontà umana. Con quale risultato? Ci chiederemo noi. Con nessun altro se non quello di ritenere che la suddivisione dell'umanità in oppres– sori ed oppressi è il risultato di un fatalisrro della mac– china, al quale invano gli uomini si oppongono. Con Marx è ancora possibile fondare speranze di riscossa dalla servitÌJ; col Burnham invece lo statalismo si dà un fondamento me-' tafisico e il destino dell'umanità, possiamo dire, è inchio- . dato alle dittature. ENRICO GEORGIACOD!S Il traviamento della gioventù Precocemente vinta, facilmente attratta e delusa, cronicamente incapace' di un. rivolgimento intimo che ne lieviti una più dolorosa e purificante intui– zione del mondo, in tutte le sue manifestazioni la gioventù contemporanea offre lo spettacolo di un così vasto e pro10ndo disfacimento che ogni argine escogitato per porvi rimedio appare subito inade– guato alla terribilità dello scopo. I limiti del concetto di « traviamento :t, entro cui si svolgeva l'analisi delle cause e si diagnosticava l'entità del male, non sono più distinguibili per le immani proporzioni assunte dal fenomeno dege– ·nerativo nella società moderna. Oggi le « condizio– ni determinanti :t si identificano paurosamente con • la totalità dello sviluppo storico. La deviazione fon– damentale dalla natura umana, che è alla base della crescente tecnicizzazione della vita, incoraggiata dai fenomeni di sempre più vasta concentrazione urba– na, di sovrapopolamento, di guerra totalitaria, di pensiero soggetto a regolamentazione statale, di rimpicciolimento progresivo della statura umana a misura che si conclama con stridula retorica di dementi la signoria dell'uomo sulla terra, ha prodot– to le disumane condizioni odierne del nostro vive- · re: e una infinita corruzione è il frutto della no– stra infinita superbia. Poichè tutta la vita moderna è un piano incli– nato in p~renne moto, una gigantesca frana in cui scivola anche colui che si aggrappa a tutte le spor– genze, l'instabilità sociale, lo smarrimento, il sen– so del vuoto non rappresentano la tragica eccezio– n.e, una parziale eclissi, ma la regola della nostra vita quotidiana, la generalizzazione delle nostre a– bitudini. Così il traviamento non è più un feno– meno circoscritto a una od alcune categorie di in– dividui, ma l'attitudine normale di interi gruppi sociali, in particolare delle ultime generazioni. Naturalmente noi degniamo di attento studio sol– tanto i casi più vistosi emergenti dalle cronache quotidiane - drammi della miseria o stupri, gras– sazioni e omicidi - operati da ragazzi la cui perso– nalità è ancora riconducibile entro gli schemi cri– minologici e rappresenta, pur nella sconcertante frequenza delle ,azioni delittuose, l'eccezione con– templata dalle leggi, mentre la reale ampiezza del problema giovanile e le sue segrete diramazioni in– spiegabilmente ci sfuggono. Vi sono dei giovani che confessano la loro indif– ferenza davanti alla morte e al sangue, perchè la guerra ha reso loro famiJìare la vista dei cadaveri sfigurati. Quella vista non ha ucciso in loro soltan– to il ribrezzo fisico _per le atroci deformazioni del– la morte, ma la pietà: da loro attenderesti invano un moto di sdegno per l'iniquità di -tante ~orti, una gagliarda protesta in nome dell'umanità calpe– stata; nulla li turba fra i ricordi della grande tra– gedia vissuta. E non v'è uomo più corrotto di colui che davanti ad una morte tanto ingiusta non provi

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