Critica Sociale - anno XXVI - n.10 - 16-31 maggio 1916

146 CRITICA SOCIALE cale della guerra, che scorgiamo nell'impotenza moderna dei bellìgeranti a prevalere decisamente gli uni sugli altri. " Questa impotenza - dicevamo, e i giornali bolognesi raccoglievano e riferivano col visto di quella Censura, che asipira a dare le– zioni di tolleranza e di intelligente comprension~ a qualche consorella - è generata dalla stessa im– mensità del conflit;to, dalla enormità dei mezzi di distruzione e di difesa messi in opera. E questa, impotenza della guerra a raggiungere gli obbiet– tivi suoi è l'arra delle speranze per la futura com– posizione secondo giustizia e secondo libertà delle grandi questioni internazionali. Pertanto non dalla guez:ra la quale si afferma nella vittoria, che im– porta annientamenti da una parte e spiriti di ri– vincita dall'altra, noi attendiamo la giustizia e la libertà e la pace duratura per i popoli; ma, al contrario, dalla impossibilità della grande confla– grazione a conchiudere nella vittoria noi deriviamo tali speranze, e la fiducia della eliminazione della guerra dal mondo dalla dimostrazione che la guerra è la speculazione più sterile, più disa– strosa. Dopo tale esperimento si farà per forza strada l'interesse che ragiona e che cerca le tran– sazioni più conformi alla _giustizia ,,:· Una simile tesi che rinunziamo a svolgere, con– tenti di proporla nella stessa forma scarnita del resoconto della cronaca dei fogli di Bologna del 3 maggio, stabilisce come noi scorgiamo la dispa– rizione della guerra nella trasformazione evolu– tiva dei processi tecnici della guerra, in analogia del metodo marxistico che induce la evoluzione delle società dalla evoluzione del mezzo di lavoro che ne forma l'ossatura. E cotesta analogia di processo marxistico ci pare sia grosso argomento per schierarci dalla parte del Modigliani, cioè della sua opinione che la guerra sia eliminabile ancora in tempo capitalistico, prima, cioè, del pieno av– vento del socialismo, per la stessa evoluzione dei mezzi tecnici della guerra. E questo diciamo e sosteniamo mettendoci dal punto di vista della guerra, come mezzo di riso– luzione, in tempo capitalistico, delle questioni da Stato a Stato. Senonchè una riflessione si potrebbe fare, la quale, se fosse fondata; darebbe molti e molti. punti alla opinione più rigida di Menotti Serrati. E cioè si può supporre, ragionando in pura dia– lettica, che la guerra possa apparire, agli oc~hi della classe prevalente in un determinato tempo e in un determinato paese, non soltanto come un mezzo di risoluzione delle questioni propriamente dette di politica estera, nei rapporti da Stato a Stato, ma altresì come un mezzo estremo per la risoluzione di crisi economiche interne di uno Stato, onde, anche senza ·la vitto1•ia in campo, la classe economicamente. prevalente. trovi suoi vantaggi nella guerra in sè e per sè. Il pacifi– cismo di quegli economisti borghesi, i quali espri– mono scientificamente le correnti a cui il Modi– gliani andrebbe incontro, considera sempre la g~erra _come un disastro uguale per ,tutti, per la d1struz10ne della ricchezza che ·agli economisti appare come un bene comune, da cui nasce un vincolo solidale fra tutte le classi sociali. Invece l'esperienza sta a dimostrare che una colossale distruzione di ricchezza, quale potrebbe portare la guerra, talune volte possa servire meraviglio– samente a risanare una crisi capitalistica di so– praproduzione nell'interno di uno Stato. Allora, mentre i buoni economisti pacificisti borghesi si aspettano di setti.mana in settimana il crak per la disastrosa incidenza dei contraccolpi economici e finanziari della guerra, si può invece notare che l'economia fiorisca, che certe industrie da Biblioteca Gino Bianco anni ristagnanti riprendano vigore, che gli stons si smobilizzino, che i •titoli industriali salgano vertiginosamente, che la circolazione si faccia ab– bondii,nte, gli sconti facili, i depositi bancari co- ' spicqi, i salari elevati e la disoccupazione limi– tata. Il solo punto oscuro, allora, è l'alto prezzo delle derrate e del cambio. Ma questa nube non offusca la rutilante fortuna del periodo, osservato dal punto di vista degli imprenditori e'non dei con– sumatori, e non basta pertanto agli economisti del pacificismo borghese per dar loro la chiave dello stranissimo mistero che elude tutte le loro attese. A noi socialisti però ciò basta. Per noi,.una pro– duzione che ha per obbiettivo non il soddisfaci– mento dei bisogni dei produttori sociali, e neppure una giusta distribuzione secondo il loro lavoro; ma ha per obbiettivo, esclusivamente, il profitto del capitale, per noi una tale produzione può bene in certe drcostanze guardare alla guerra come a un mezzo estremo per mettere se stessa in valore. Data la carestia, la classe che concentra in sè il possesso della roba, si trova arricchita in esatta ragione del cresciuto bisogno. La guerra è poi un' industria che mobilizza tutte le altre con un consumatore solo, inesauribile ad' assorbire e di solidità assoluta, lo Stato. Ecco dunque la guerra già utile, a prescindere dalla vittoria.' Si veda ciò che avviene in Italia. L'Italia ha fatto certamente la guerra per i più alti è puri ideali del mondo, ,per l'integrazione della patria nei suoi confini, per solidarietà coi popoli oppressi, per la santità dei trattati, per la g'iustizia, la ·li– bertà: nessun obbiettivo egoistico di classi essa confuse nel fascio dei motivi candidissimi del suo intervento. Ma è indubitabile che essa ne è già stata premiata dalla s.fogolarissima prosperità ac– cumulata - dalle competenti Relazioni delle grandi Banche descritta a vivaci colori. Per esempio, la Relazione del direttore della Banca d'Italia agli azionisti su1l'ultinio bilancio è tutta uri. inno all'au– mento degli sconti, dei conti correnti, dei depo- . siti, e questo inno è ripetuto dai direttori delle altre Banche di emissione e dei grandi Istituti di credito. Il capitale finanziario tripudia. Ma non tripudia meno il capitale industriale. Nella Re\,a– zione agli azionisti della Banca italiana di sconto, si l~gge: . "Tanto il periodo della neutralità, quanto· quello della guerra, non furono senza vantaggio per alcuni rami della produzi~ne. Le industrie meccaniche ed in parti– colare le automobilistiche, grazie alle copiose ordina– zioni di casa ed all'estero, erano rifiorite di v~talità e cresciute di sviluppo. La siderurgia, non ancora uscita dal faticoso periodo del riordinamento finanziario, libera omai cla ogni molesta competizione, si avviò rapida verso il suo assetto definitivo. Aneli.e le industrie tes– sili, e fra esse prima la cotoniera, benchè non del tutto guarita dalla ,sopraproduzione, trovarono modo di ven– dere a buon patto gli stoks che tanto ne avevano ap– pesantito lo stato finanziario e allentato il ciclo della produzione. Non più in questo campo fusi inattivi, orarii interrotti e officine inoperose. La guerra, con le prementi e improvvise richieste, guarì situazioni non facili e ridestò energie manifatturiere sofferenti e so– pite ,,. E nella Relazione agli azionisti della Banéa Commerciale si è detto: " Dalla stretta degli avvenimenti ebbero a subire variazioni e spostamenti sensibili le industrie e i com– merci in genere. Ebbero vita intensa ~ notevole incre– mento le aziende direttamente o indirettamente con-

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