Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

354 CRITICA SOCIALE anche se noi vogliamo attenuarla: quello che oc- corre è aver coscienza dei propri interessi, e saper trovare il mezzo migliore per farli valere. Se da ciò nasce una “ collaborazione „ di classe, noi forse potremo addolorarcene; ma avremo torto: le grandi linee della lotta di classe resteranno integre. E Marx a quelle guardava. Tutti i socialisti hanno oggi intuita, se non proprio chiaramente compresa, la sostanziale dif- ferenza tra la grande legge storica e l'umile e arruffata pratica della 'vita, tra la possente sintesi scientifica e l'irta ed anfrattuosa realtà d'ogni momento: differenza, che talora appare profondo dissidio, inconciliabile antitesi, e non rappresenta invece se non il risultato della necessaria imper- fezione del tentativo scientifico, ch'è lo sforzo e il sogno prometeo della traduzione del mondo in concetto, della insuperabile equazione tra la vita e il pensiero. La lotta di classe è una verità., una prodigiosa verità, ma non è tutta la verità, perchè non è tutta la realtà. Merce sua, possiamo, in parte, spiegare la storia; ma della lotta di classe non potremo mai vivere: non si vive di una dot- trina, perché la dottrina non è la vita, ch'è intra- ducibile. I socialisti hanno sentito tutto ciò. In questa loro percezione — e nell'atteggiamento pratico che n'è derivato — il riformismo trovava le basi del proprio successo definitivo: riformismo, non nel senso strettamente politico, ma nel senso, più alto e più complesso, di riconoscimento della "difficile „ realtà, di accettazione piena della battaglia sul terreno mutevole dei fatti, nella contingenza delle particolari " situazioni ,; di accettazione, insomma, della vita, e di affermazione, in atto, del diritto e della volontà di vivere. Le primitive " ten- denze „ venivano cosi superate. Le varie correnti di pensiero, che in esse urgevano, sboccavano e si confondevano tutte nel più grande fiume del riformismo. Se, prima, taluna d'esse correva il rischio d'impantanarsi nella morta gora di mi- stiche aspettazioni, ora, invece, tutto appare ed è in moto, nella vita e verso la vita. La disputa delle " tendenze, sembra un ricordo d'altri tempi. Resta la parola; anzi, restano due parole: ma lo spirito, in fondo, è uno solo. I ri- voluzionari sono riformisti, e i riformisti sono rivo- luzionari e, se gli uni criticano gli altri, è per questioni secondarie di tattica. Ma tutti vogliono le riforme; e tutti le vogliono, anche conservando alla classe la sua fisionomia. Ogni disputa, che sorge tra le due parti, non vale a distruggere la identità fondamentale delle loro vedute. Se doman- date ai rivoluzionari o intransigenti perchè si chiamano così, essi invano cercheranno di darvi una risposta soddisfacente: le aspre critiche ai propri fratelli ed avversari non impediscono loro di imitarli nell'azione quotidiana, di superarli se occorre. Dicono di amare la tradizione e di volerla intatta: in realtà non amano che il gesto. La tra- dizione non vive che come ricordo, e si afferma nei richiami di un'acuta nostalgia: ma, in sostanza, essa è morta, nè potrebbe rivivere, neppure per un istante, senza trovarsi di fronte alla inesorabile condanna, che la mutata realtà delle cose e degli spiriti incessantemente le infliggerebbe. La parte- cipazione alla molteplice vita sociale, dalla econo- mica alla politica — partecipazione attiva e fatti va — è oggi la invincibile necessità, non importa se essa ci logori e ci sfibri, c'induca in tentazioni e ci sospinga nella via del peccato: non c'è vero progresso senza contatto e senza commercio con la realtà, e le vie della vittoria sono fatte di pec-, .cati: gli anacoreti e i fakiri non hanno mai creato/ un mondo. Tra riformisti e rivoluzionari, il " gesto „ dei secondi è dunque l'unico tratto differenziale: ecco porcile non ci riesce difficile distinguerli. Ma, ol- trepassate l'epidermide, scendete nell'animo: voi vi confonderete e li confonderete. E non avrete torto. * * Un ben altro solco oggi accenna a dividere — ed è bene divida — la folla che vive, pensa, com- batte nel nome del socialismo. La disputa sulle formule, oggi, vuole convertirsi in un'alta e no- bile questione morale. Il socialismo è div,enuto pletorico, affaccendato: immerso nella pratica, non vive che della pratica; consacrato agli affari, ha tutto il resto dimenticato: financo se stesso. Le soverchie ebbrezze della vita dànno talvolta la morte; e il socialismo, oggi, sembra si sforzi a vivere per non morire. Non esso domina la sua più intensa esistenza; ma questa, lui. Esso n'è trascinato, quasi sorriso dalla illusione del trionfo; e solo qualche improvviso precipitare gli rammenta la precarietà e le manchevolezze dei suoi successi: Tripoli informi. Ha un gradimetro della propria virtù: la politica; e la politica è come il prisma, attraverso il quale guarda e giudica il mondo. La vita economica è un accessorio: un accessorio ne- cessario, che talvolta guasta inaspettatamente le fila, che Montecitorio lancia verso l'avvenire. La forza del socialismo è la sua debolezza. Cre- sciuto in quella, esso ha fatalmente smarrito le proprie ragioni ideali, scambiando il programma con la fede, lo spirito pratico col soffio animatore dell'idea. Gli è bastato di profondare le radici nella terra; ed esso ha accolto come un bene tutta la vegetazione, che dalla terra veniva, senza preoc- cuparsi del bisogno di recidere, selezionare, estir- pare, senza sospettare che dalla terra sale 'ogni sorta di linfa, l'ottima e la pessima, e che l'incon- tenuto rigoglio dei rami e delle fronde è bene spesso a scapito della robustezza e della longevità dell'albero. Oggi il socialismo ha perduto questo interno controllo — di moralità e d'idealità. Oggi procede per inerzia, mentre la mano va perdendo l'uso dei freni e l'animo quello della propria di- sciplina. Rasenta precipizi, erra per oscuri recessi, accorre ai vari richiami, contento e sollecito dei soddisfatti, poco curante dei bisognosi, ma anelante a conquistar tutto e tutti, a costo pure di perder se stesso. Slargatosi nelle cose, s'è impicciolito negli animi; avido dell'oggi, è diventato incerto del suo domani; diritto e fiero in faccia al mondo, ha dovuto assistere con terrore al vacillare ed of- fuscarsi della propria coscienza; sorto ed insorto in un impeto leonino di moralizzazione e di giu- stizia, si è adeguato agli altri partiti nella piatta industria degli affari: buoni affari, spesso, dei quali il socialismo non è che l'etichetta,. Ora, contro tutto questo, bisogna reagire. Bi- sogna reagire, perchè il socialismo ricostituisca a sè la propria verginità morale, porcile ridiventi luce e forza spirituale, segnacolo delle migliori e più fresche energie delle generazioni sopravve- nienti. Non ci seduce lo stolto miraggio di far ri- vivere tutto un passato psicologico — di sogno e di poesia — il quale è morto per sempre; nè ci tenta l'altra illusione — irreparabile illusione — di dare a questo nostro ideale tutte le vibrazioni, tutti i fosforescenti scintillii, tutto il fascino caldo e possente dell'idea nuova, dell'idea che per la prima volta si libri nel sole, centro di tutti gli sguardi e aspirazione di tanti palpiti. No. Oggi lo scopo nostro è — deve essere — più modesto e più positivo. Oggi occorre che s'inizii un'opera di critica idealistica nella vasta compagine del socia-

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