Critica Sociale - Anno XXI - n. 1 - 1 gennaio 1911

CRITICA SOCIALE nita del diritto elettorale, e una enorme maggioranza esclu!ò!a da ogni normale infl.11enza nella vita pubblica - è evidente che alla maggioranza privilegiata a nulla varrà il suo privilegio, ftnchè una seria riforma eletto– rale non porti in suo aiuto, sul terreno della lotta po– litica, quelle forze lavoratrici, che oggi sono paralizzate dal- sistema elettorale privilegiato. Salvo che la mino– ranza privilegiata non creda più opportuno mettere in valore la propria forza attuale, venendo a patti coi gruppi politici conservatori e camorristici, ottenendo fa– vori parziali per sè sola, e abbandonando indifeso all'op– pressione dei propri alleati il resto della classe lavora– trice, escluso dal voto: nel qual caso sarebbe Impossibile concepire un'opera più inumana e più atror.e di questa, che sarebbe compiuta da una frazione della classe la– voratrice, divenuta sfruttatrice e aguzzina dell'intero proletariato. Come si deve chiedere la riforma elettorale. Queste essendo le condizioni del nostro paese, è evi– dente che la riforma elettorale - se deveessereseria - noi non possiamo aRpettarla senza colpo ferire da una be– nEllvolaconcessione di quella maggioranza parlamentare, che dalla riforma dovrebbe uscire rovinata. La nostra idea noi dobbiamo imporla con la superiorità delle no– stre forze alle riluttanze della mai11gioranza. Per compiere con buon successo questa imposizione, noi abbiamo due mezzi, che dobbiamo adoperare con– temporaneamente. Da un lato, dobbiamo combattere vigorosamente quella maggioranza parlamentare, di cui intendiamo distrug– gel'e il monopolio elettorale, denunciandone e documen– tandone la incapacità riformatrice, mettendo a nudo le origini elettoralmente delittuose di parecchi fra i com– ponenti più rappresentativi di essa, non lasciando pas– sare senza protesta uno solo degli a,tti meno puliti di questa clientela di malfattori. Nessuna opera è più fa– cile di questa) dato che si abbia il sentimento mo– rale non del tutto ottuso, e che si voglia fare proprio sul serio. Dall'altro lato, dobbiamo agitare il programma della riforma elettorale non tanto nella Camera, dove i nostri deputati, essendo minoranza, sarebbero agevolmente schiacciati, quanto fuori della Camera, nel paese. E nel paese non solo dobbiamo cercare di mettere in movimento quei eittadini a noi aderenti, che già sono elettori senza avere la possibilità di prevalere nel sistema elettorale attuale; ma dobbiamo sopratutto rivolgerci a quella enorme massa Ili cittadini, che dal sistema elet– torale presente è esclusa, e dal cui ingresso nella vita pubblica noi attendiamo il rafforzamento del nostro in– dirizzo politico contro quello della maggioranza legale. Perchè, se è vero che la nostra vittoria non sarebbe pos~ sibila, e perciò non sarebbe neanche il caso di iniziare la campagna, se non contassimo di mettere in moto una massa di forze realmente superiori a quelle che tendono a perpetua.re lo stato attuale; è vero pure che in tanto ci è necessario oggi fare una battaglia per la riforma. elettorale, in quanto una parte notevole delle nostre forze si trova, nel sistema. elettorale attuale, esclusa da.Ila influenza, che le spetterebbe, e perciò ingiusta– mente annuBata. Se tutte le nostre forze - attuali e po~sibili - godessero già del diritto elettorale, sarebbe inutile chiedere una riforma. Cittadini non elettori, cittadini elettori e deputati so– cialisti devono formare un unico corpo di operazioni, e marciare tutti nella stessa linea di battaglia. Tocca al Biblioteca Gino Bianco Partito aiutare alla conquista della riforma elettoràle le masse extraparlamentari, ed organizzare petizioni, di– mostrazioni, proteste, vòtazioni extralegali fatte dai non elettori, afflnchè appaia che nel paese c'è una corrente reale e potente in favore della riforma. Tocca ai depu– tati secondare il lavoro di propaganda e di agitazione extraparlamentare, non tanto col partecipare perSonal– mente alla propaganda nel Paese, quanto col combattere risolutame·nte e a viso aperto quella maggioranza par– lamentare, contro le cui basi il Partito deve lottare nel Paese. E, via via che crescerà la potenza di pressione delle nostre forze extraparlamentari, dovrà crescere nella Ca– mera l'energia dei nostri deputati, i quali devono par– lare in nome non tanto degli elettori presenti, quanto degli elettori futuri attualmente esclusi dal voto. E, se la maggioranza, trincerata nel proprio privilegio elettorale, rifiuterà sempre di cedere, rendendo impossibile ogni soluzione legale della vertenza, i deputati - se Vogliono fare sul serio - devono arrivare fino a paralizzare il funzionamento dell'istituto parlamentare con l'ostruzio– nismo, mentre le forze extraparlamentari del Partito devono arrivare, se occorre e quando vi sia sicurezza di riuscita, fino allo sciopero generale e ai disordini in– surrezionali. Probabilmente, non ci sarà bisogno di arrivare a questi estremi. I nostri conservatori sono deboli e fiacchi. Quei 250 deputati malfattori, che sono la rorza di tutte le maggioranze parlamentari, ne sono anche la debo– lezza. Sono onnipotenti flnchè nessuno li combatte a viso aperto per quello che sono. Si squagliano non appena devono resistere ad una forza tenace, che li assalga nel loro punto debole, cioè nella loro incapacità legislatrice ed amministratrice e nella loro radicale immoralità. Hanno la forza del numero, non hanno forza morale. Non possono neanche governare in nome proprio. Sono costretti a travestirsi ora da conservatori, ora da demo– cratici, per trovare, fuori del loro campo, una bandiera, dietro cui far passare la loro merce. Fecero le elezioni del 1904 con l'aiuto dei clericali; vorrebbero fare le ele– zioni future con l'aiuto dei democratici. Non possono dire chiaro e tondo che vogliono rimanere al potere, col semplice programma di rubare e lasciar rubare. Perciò non sono capaci di ne~suna resistenza prolungata. Formarono la maggioranza di Crispi, fra il 1894e il 1896; ma bastò Abba Garlma per dissiparli. Furono il nucleo della maggioranza pellusiaua, fra il 1899 e il 1900; ma si lasciarono paralizzare da poche decine di uo– mini risoluti; e, dopo le elezioni del giugno 1900, do– vettero dichiararsi vinti, nonostante che avessero sempre la maggioranza numerica. Pochi mesi dopo, i reazionari del Ministero Pelloux erano diventati i democratici del Ministero Zanard~lli-Giolitti. E oggi si stringon9 intornq a Giolitti. Ma quale miseria intellettuale e morale anche oggi! E quale incapacità di governare di fronte ai grandi problemi della vita pubblica! E quale viltà! Non si deve, per altro, escludere che, assalita alle ra– dici dell'e~istenza, questa ciurma di malfattori riveli uno spirito di resistenza finora non sospettato. E dobbiamo tener conto anche di questa eventualità lontana, se la campagna per la riforma elettorale vogliamo iniziarla sul serio, cioè con la ferma intenzione di non fermarci a mezza strada. Ma, anche facendo astrazione dalla eventualità estrema di una lotta a base di ostruzionismo e di sciopero ge– nerale, è certo che il primo nostro ufficio deve essere quello di suscitare la maggiore possibile quantità di

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