Critica Sociale - XIX - n. 14-15 - 16 lug.-1 ago. 1909

ÙRI'l'ICA SOClAL lì 225 zera, movesse di là alla conquista: dell'Italia, ma qual uomo politico oserebbe ammettere una tale possibilità.? Quanto, influe, alla necessità di un grande esercito o di una grande flotta per appoggiare una politica estera di grande potenza, essa è indiscutibile; resta da vedere, in concreto, se le spese di una tale politica sarebbero compensate da vantaggi almeno equivalenti e compen– satori. Come bene ha detto il Turati ( 1 \ un pericolo di guerra non può nascere, per noi, che da una nostra. partecipa– zione effettiva ad alleanze, intrighi o complotti, che ci impongano determinati obblighi militari o ci espongano a determinato rappresaglie. L'essere noi alleati con la Germania e con l'Austria-Ungheria ci espone al pericolo di una guerra con la Francia, e forse anche con l'In– ghilterra, perchè riva.li entrambe della Germania. 1~, non diversament9, l'alleanza nostra con la Francia ci espor– rebbe al pericolo di una guerra con l'Austria-Ungheria, che appoggerebbe la Germania contro la Francia. Se noi ci uniamo alla Russia nel combattere l'influenza austro-ungarica e tedesca nella penisola balcanica e la ramosa politica del Drang nach Osten, evidentemente ci esponiamo all'ostilifa dell'Austria-Ungheria e della Ger– mania i ostilità che potrebbe anche condurre a una guerra. Se l'Austria-Ungheria trova noi oslili alle sue mire balcaniche, e armati per guisa d~ rendere temibile la nostra ostilità, il pericolo di una guerra cresce sensibil– mente. Ma, se prescindiamo da questi pericoli., che chia– merò volontari, pensare ad altri d'origine divèrsa è sem– plicemente follia. Se noi non concludiamo alleanze od accordi che po~– sano riuscire o parere ostili a una data potenza, se noi non ostacoliamo la politica estera di alcuno, è assurdo e ridicolo pensare che uno Stato possa muoverci guerra. Perchè una guerra deve avere un motivo; e quale po– trebbe essere 1 ove non fosse quello di rendere in2fflcace la nostra ostilità? La. conquista di una parte del nustro territorio? Ma chi potrebbe muoverci una tale guerra? Esclusa. la Svizzera, restano la l<~raociae l'Austria-Un– gheria, che et potrebbero assalire per terra, e le altre potenze, che potrebbero assalirci per mare. I~ follìa eupporre che la Francia possa un bel gioroo calare in Italia, come ai bei tempi, solo per conquistare H Piemonte o la Liguria. A ciò, oltrechè ostacoli infer– nazionali, s'opporrebbero la costituzione e lo spirito stesso della Francia repubbJicana. :Molti politicanti da caffè sostennero che la rottura dell'alleanza coll"Austria-Ungheria ,·orrebbe dire la guerra cou essa, e si lasciano sul serio impressionare dalle minaccie di una passeggiata su fllilano, che escono da certi circoli militari di Vienna. Che l'Austria ci sia nemica irreconciliabile, è vero; ma da questo alla guerra c'è un bel passo. li costo di una guerra, il danno economico che essa porta, i pericoli interni cui esporrebbe la monarchia austro-ungarica; ove tante nazionalità oppresse potrebbero trarne profitto a pregiudizio delle nazionalità dominanti, l'impopolarifa inevitabile, anche in Austria, di una gllerra di pllra con– quista, e finalmente il pericolo certo di complicazioni internazionali gravissime e di opposizio[!e risoluti\ di più d'Ltna potenza a un ingrandimento dell'Austria a danno dell'Italia, senza contare la resistenza disperata della popolazione di quest'ultima, sono motivi più cbe suffl- ( 1) CrW,Cll Sociale, 1° maggio ISO:!.- Lo stesso concotto ht svolto anclle più ampiamente nel discorso del 12 giugno olla Camera (l,<1 ve,.tlgine degli a•·mammU .... ; preeso la C1·Ulca suciale), cienti a impedire che un qualunqu6 uomo politico au– striaco o ungherese possa pensare un momento solo a una guerra di conquista contro l'ltalla. La quale gllerra non potrebbe avere per l'Austria che una di queste due finalità: o la conquista del Veneto, o il ristabilimento del potere temporale. Ma si possono sul suio supporre, nei governanti di due Sta.ti"costitu– zonali come l'Austria e l'Ungberia, propositi di tal ge– nere, che apparirebbero pazzeschi all'immens'a maggio– ranza delle popolazioni rtei rtue Stati? For.rn che l'Austria non ne ba d'avanzo di quei 700.000 Italiani suoi sudditi, così irrequieti, senza pensare ad ag– giungervene qualche altro milioncino, creando nel pro– prio interno la più potente delle forze disgregatrici? Le mire dell'Austria-Ungheria sono, da un trentennio, rivolte esclusivamente verdO l'Oriente, ove la trascinano i suoi interessi o q~elli del germanismo; e non più verso l'Occidente, che le inflisse tanti disastri e· ove nulla avrebbe da guadagnare. E potrebbe l'Austria-Ungheria ristabilire il potere tempora.le, senza tenero entro i confini geografici d'Italia. o.Imeno mezzo milione d'uomini per custodirvelo? Bastano tali considerazioni, per accorgersi di naviga.re io un mondo puramente fantastico. E non ci fermiamo, per ugual ragione, sull'ipotesi, auche meno seria 1 che qualche potenza navale, come l'Inghilterra o la Germania, possa un bel giorno imprendere una guerra per conq_ui– stare, puta caso, la Sicilia o la Sardegna. ... Restano, dunque, soli pericoli di guerra, quelli che possono sorgere dal prendere noi parte nelle rivalità. e competizioni internazionali, e dall'osteggiare io un modo qualsiasi la politica o le mire di altre potenze: insomma, il pericolo sorge per noi solo se e in quanto noi, con la nostra politica, costituiamo un pericolo o uu ostacolo per altri. E il pericolo a cui noi, così facen.do, ci espo– niamo ò tanto maggiore, quan'o pil'.l noi siamo forti e quindi temuti; anzi sta appunto nella nostra potenza e temlbilità la causa principale di possibili guerre contro di noi. Questo apparente parados30 si rivela come 1 1 erità niti– dissima, sol che, superando le prime apparenze delle cose, si considerino le cause storiche di moltissime guerre. Ond'è che noi affermiamo che il modo più sicuro J)er allontrnare ogni pericolo di guerra starebbe nel disar– mare, mostrando con ciò praticamente di non volere, per ragione tilcuna, promuover guerra contro chicchessia, di non co11tituire cioè un pericolo e una minaccia per nessuno Stato. 1':;un grande e fatale errore, continuare a erodere, ai nostri tempi e pel nostro Stato, al " si vis pacem para bellum n- Questo aforisma può valere soltanto per quegli Stati che, dominando popolazioni di un'altra nazionalità., potrebbero essere attaccati da questa. Se l'ltalia vuole assicurarsi la pace, deve tenere invece h. via inver.;ia; deve cioè mostrarsi uno Stato essenzial– mente pacifico e alieno da ogni mira di conquiste o di predominio, dando per priroa l'esempio del disarmo. 11 quale disarmo, ripetiamo, lungi dall'esporla a maggiori pericoli di attacchi stranierl, oliminerebbe completamente questi pericoli, cbe per noi sono creati appunto dai no– stri arroamontì e soltanto da essi. È un assurdo credere che le nazioni più armate siano le più sicure, e vice\•eu1a; perchè la sicurezza uon pro– viene dall'avere molte armi, bensl dal non avere nemici; e lo nazioni più armate, la storia ce lo dimostra, furono e sono sempre quello che hanno più nemici j la loro

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