Critica Sociale - Anno XVII - n. 10 - 16 maggio 1907

160 CRITICA SOCIALE sforzo, ove riesca, toglie alla legge ogni efficacia e ra– gione. Era, nel testo del Governo un gendarme auten– tico; ora è un gendarme disarmato. Questo anche s~or– gesi in cotesto tentativo di estrurre la giurisdizione e il magish·ato ~peciale, che dovrebbe dirimere o preve– nire i conflitti. Il concetto del Governo era logico, nella sua brutalità mal coperta: n pretore era fatto giudice di guerra, nella battaglia risaiuola, con poteri indefiniti e indefinibili; e da questo u indeterminato 11 ad esso spettava di cavare il suo pro, e al Governo di rimari– tarlo quando fosse del caso. La Commissione non volle: forse non le parve che il senso e il prestigio della giu– stizia in Italia desiderassero uo nuovo attentato. Rivo– luzionario forse le parve il concetto e pericolosa la sfida. Ed ecco l'anfora, allora, sotto l'attrito della ruota corrente 1 eccola ridotta ad orciuolo ..... che, per colmo di disdetta, ha un forellino nel fondo. Doveva, bene o male, contenere delld pronunzie: non Verserà che acca– demici " opinamenti "' Doveva essere strumento da cauterizzare i conflitti; ed eccolo cerotto per rammollire le controversie. La materia dei veri, dei grandiosi con• trasti - le pretese nuove 1 i casi non preveduti - è sottratta alla virtù dei suoi balsami. Doveva essere ri– medio che affrettasse le aoluzioni; e invece allungherà i dibattiti (se pure non gli verrà fatto di suscitarli), aggiungendovi un grado di più, inutile ingombro. Allettati dalla scritta che è sul frontone, si entra qui, come in un tabernacolo per " riconciliarsi ,, ; è un do– vere religioso, di cui la legge fa obbligo (segno dei tempi!) sotto pena di perdere il diritto, comune ad ogni onesto e disonesto regnicolo, di ricorrere ai propri giudici naturali. Ma si può rimanervi acchiappati come io un carcere. In quel caso il portone si sbarra e le inferriate si rizzano? Quando - risponde il progetto - siano tutti presenti ed unanimi i sacerdoti. Allora (uscendo di metafora) il semplice parere diventa lodo; l'opinamento 1 contratto (art. 82). Precisiamo: l'unanimità, colla presenza di tutti i comM ponenti H giurì, eletti da una parte e dalFaltra, nou potrà normalmente verificarsi che in tre casi: o quando si tratti di piato di minimo rilievo; o quando il torto di una parte sia flagrante e palmare; o, infine, allorchè una parte de1la Commissione - ed è facile figurarsi quale 1 in concreto, possa essere - sia creata, o com– prata, o intimidita, o raggirata dall'altra. Ma nei primi due casi, temeraria è Pipotesi di gravi e durevoli con– flitti; nell'ultimo il conflitto scoppierà incoercibile dalla stessa sentenza e con tutta ragione. Cosiccbè il sinedrio giudicante allora solo avrà. efficacia e valore quando potea farsene a meno. Rimane il pio ufficio del paciere. Ma eziandio per la conciliazione - anzi sopratutto per ottenere la conci– liazione - è condizione essenziale la fiducia delle parti. La fiducia emerge dal mandato. L'amichevole compo– sitore in tanto sarà. tale - in ciò si differenzia dal giudiCt, - io quanto egli ha in deposito la nostra vo– lontà, è un prolungamento di noi, meno pas~ionato. Tutto poggia dunque sopra il magistero della elezione. La Commissione sedicente conciliatrfoe non ha, per ora, nè babbo nè mamma ben precisati. Il progetto ne rimette la. genesi a un regolamento futuro, che farà. il Governo. Ne additasse almeno le somme linee! Ma qui appunto è 1o scoglio insuperabile. Non si dimentichi che siamo nei lavori di risaia: dove è una popolazione raccogliticcia e fluttuante, per un terzo di accampati temporanei e per quattro quinti di fanciulli e di donne, ign·ota e divisa fra sè, spesso analfabeta, non o malamente educata all'organizzazione. In qual modo, nei Comuni, si erigeranno le liste? Come, quando, con che serietà, per quali candidati procederà l'elezione? Si trattasse di elezione per provincia~ o per cir– condario, si potrebbe far capo alle Leghe contadine e alle Associazioni paè.rooali. Ivi una più larga e chiara coscien• za dei reciproci interessi o è formata o può formarsi, e gli antagonismi fra imprenditori rivali da un lato, fra lavoratori locali ed immigrati dall'altro, possono trovare temperamenti •di conciliazione. Converrebbe abbando– nare allora il concetto g'rettamente corporativo, che vuole commissari: sempre della classe e del luogo: nè è difficile, in àmbito più largo, trovare competenti ed illuminati, che ispirino ad entrambe le parti più secura fiducia. Ma la legge è di diffidenza; comuoalizzando le contro– versie e le giurisdizioni, essa tende a smembrare il movimeoto 1 a sbriciolare le forze e le soluzioni. E anche per questo verso, esr:.ava a ritroso di tutte le tendenze sociali contemporanee. Il problema degli arbitrati nei conflitti collettivi di lavoro, non importa se arbitrati obbligatori o facolta– tivi - il divario è men profondo che non paia alla superficie, trattandosi di fenomeni di massa da domi– nare e di influenze da spiegare sopratutto morali - è fra i più poderosi che affatichino questo Principio di secolo. Non da oggi chi scrive queste righe vede in essi, a dispetto degli anarchici di tutti i partiti, la ne• cessari&.e progressiva soluzione dei maggiori contrasti sociali contemporanei. Ma - e su ciò sarà. comune il consenso, come l'esperienza è universale - 'non sarà dove mancano tutte le condizioni necessar~e, non é certo in mezzo alla malaria, neUo spasmo del lavoro di risaia, non è sul coipus vile degli "schiavandari 11 e delle orde femminili migranti 1 che si posscmo util– mente tentare i più delicati sperimenti. Chi ama il prin.cipio, e vi ha fede, non lo comprometta, non fo tra– disca cosi! III. Per conchiudere. Chi scrive è del parere che fu dell'onorevole Giolitti. La "questione sociale della risaia" non può scindersi e isolarsi da quella del problema agrario nel suo grande complesso. Qui la via maestra è segnata: la additava, non è molto, anche il Consiglio del lavoro ( 1 ): organiz– za\e dovunque il probivirato agricolo 1 con estesa com• peteoza per i conflitti collettivi. E - senza imporre - aprire, spalancare le porte a tutti i possibili arbitrati nelle forme più varie. Il disegno di legge sul contratto di lavoro del 1903 aveva in questa direzione delle linee preziose ( 2 ). Non i viottoli guidano alla meta. Il presente disegno di legge - se non dà. le otto ore - nulla dii.e nulla può pretendere dai lavoratori. Appena possono salvar– sene i precetti più ovvi d'igiene e il rimedio a taluni abusi più stridenti, quali lo sfruttamento operato dagli intermediari, in danno di tutte le classi; sono questi i doveri' più elementari dello Stato. Tutto il rEsto è inM nocua utopia. FILIPPO rruRATI, (I) Sulla rirorma della legge ctel prO\Jlvlrl - Atti, II sessione or• àlnarla, marzo l\lOll,pag. llO, e appenàlee, pag. 41. (1) Lo presentava Il 16 marzo 1908 ana Camera (ma erano altri templl) l'attuale ministro (lell'Agrleo1tura. GIUSEPPE RIOAMONTI, gerenteresponsabile. Milano, 18/5 1907 • TlpOllt'O.tlaOperai (Soo. ooop,), o,Vltt. Em. 12-16.

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