Critica Sociale - Anno XVII - n. 6 - 16 marzo 1907

SA CRI1'1CASOOtAUl collettivo di cottimo o non abbia estese le sue pro– poste ai piccoli contratti collettivi con salario a tempo. l'n quella proposta, difatti, non sono prese in consi– derazione le esigenze particolari cui dà origine il· cottimo collettivo. Poichè nella vita pratica un tal contratto (o contrr.tto di colonna) richiede provve– dimenti per l'equa distribuzione del prezzo del cot– timo tra i componenti della squadra - ed in genere per tutelare questi dagli sfruttamenti dei capisquadra (ad es., i caporali nella risaia, i picconieri a partito nelle zolfare siciliane, ecc.), e per porli in diretta relazione con l'imprenditore. La Relazione tace su tutto ciò o si preoccupa sol– tanto d'intensificare una responsabilità che, se mai, si può trovare già grave in diritto .comune e che tutto consiglierebbe di attenuare. E noto, infatti, che, se per In. grande industria si arriva senza <lif– tlcoltà a collocare sotto il regime del contratto di la• voro in senso proprio molte forme di cottimo, all'in– fuori di essa non è facilmente attingibile un tuie risultato. Jl che vuol dire che al cottimo S 0 ll;pplicano le gravi responsabilità sancite dagli art. 1635 e sg. del Codice civile, che la politica legislativa dei paesi nventi in materia norme simili allo nostre tende già n diminuire. Però potrebbe sembrare che la Relaziono in questo punto del contratto collettivo di cottimo, in– timamente collegato col cottimo individuale, navighi contro corrente. Del resto, non si può dire che su questa parte la Relazione abbia idee chiare. Per verità, quale sarebbe la differenza tra il contratto collettivo di cottimo e quello di lavoro, che legittima Ja regolamentazione separata delle due figure? E forse che il contratto collettivo di lavoro per eccellenza, a dire della Re– lnzione, non potrebbe assumere la forma del cot– timo? JI criterio discretivo parrebbe dato dalla maggiore o minore importanza dei lavori da eseguire. l\fa allora la Relazione avrebbe dovuto intitolare la prima forma di contratto da regolare "contratti col• lettivi di piccolo cott-imo ,.,. Il titolo l'avrebbe forse convinta dell'inopportunità di dettare nonne speci– fiche su di esso, e dell'inscindibilità della riforma del cottimo individuale da quella del cottimo collct• tivo. Noi siamo ,l'opinione però che convenga sopras– sedere alla regolamentazione legale di tale materia. fj nutriamo lo tìtesso avviso circa la riforma del con– tra.tto collettivo cli lavoro, che, se mai, dovrebbe in– voca.rsi per dare consistenza giuridica al nesso obiettivo che hanno tra loro i contratti individuali di lavoro della maestranza di uno stesso opificio o di una stessa intrapresa industriale. Nè una tale limitazione dei còmpiti legislativi at– tuali sarebbe irrazionale. Poichè - e così conclu– diamo - il nostro discorso precedente ha assodato che il concordato di tariffa è, complessivamente con– siderato, un metodo di contrattazione collettiva.; capace di dettar norme tanto a contratti individuali quanto a contratti collettivi di lavoro; tanto a contratti di cottimo, quanto a contratti con salario a tempo. Sic– come un tal metodo richiede almeno l'intervento di una. pluralità di prenditori di lavoro, così esso prov• vede a que!Pequilibrio economico tra le parti con– traenti, per statuire il quale sono sorte le diverse far• mc di contrattazioni collettive relative al lavoro. Raggiunto, e consolidato legalmente, un tal pareggio di forze, si può ben lasciare agli interessati la de– terminazione del contenuto dei contratti individuali o collettivi di lavoro. Ciò risponderebbe ad un ben– inteso favore della libertà delle contrattazioni, e per– metterebbe di dare al contratto di lavoro, volta per volta, quel contenuto che meglio risponde alle cir– costanze di tempo, di luogo e di persona. Un programma minimo legislativo, che si propo- uesse quindi di regolare i concordati cli tariffa, assi– curando l'effettiva osservanza degli obblighi che ne discendono e la salda costituzione delle parti con– traenti, - rappresenterebbe qualcosa di per sò com• piuta e non farebbe violenza alla realtà della vita pratica. Il libero sviluppo di questa segne, i\ di poi a.trazione legislnti"a le vie ulteriori da seguire µer la risoluzione pacifica dei conflitti tra capitale e ln– voro. Prof. ÙIUSl-WPP. MESSINA. (I.a. fin~ al 1Jroui1111'111umero). Politica sanitaria Ilfenomeno d ll'accentramento urbano latubercolo Iu questi ultimi mesi il Consiglio superiore di sauilà ba pubblicato una relazione 1ml problema della tuber– colo~i, considerata sotto i suoi vart aspetti, cosi impor– tante, da meritare la ma.<:simaattenzione. Tra i punti toccati dalla relazione ve n'è uno, schiettamente sociale, che mi porge occasione a taluni rilievi statistici. Si è per molti anni affermato che l'accentra.mento urbano è 1 in tesi generale, un pericolo per Ja salute, e si é rilevato che la possibilità di diffusione delle malattie cresce proporzionalmente all'addensarsi della popola– zione. Ma negli ultimi decennt i dati statistici non hanno confermato questo concetto, e le prove di fatto dimostrano molto bene, che si può avere una città. molto popolosa, con una mortalità molto bassa. Londra, malgrado le sue misArie e la sua eccezionale densità. di popolazione, è il miglior esempio: Ja sua mortalità. ge– nerale oscilla, secondo gli anni, tra il 18 ed il 16 ¼o, in limiti quindi sensibilmente più bas!:lidella mortalità del regno di Italia, il quale 1 e per clima, e per minor accentramento urbano, e per minore sviluppo indu– striale, dovrebbe presentare una mortalità. teoricamente inferiore. Nel fatto concreto ognuno sa come il nostro quoziente di mortalità sia sempre superiore al 2-2 °/ 00 • Però anche da noi si dà Pesempio (ripugnante ad una opinione radicata) del fatto che la mortalità nei grandi centri urbani tende a ridursi notevolmente sotto alla media generale, non ostante il disagio dell 1 abitazione 1 e non ostante Paumentato pericolo di contagio. Cosi 'l 1 orino, ad onta del auo rapido e imponente sviluppo industriale, presenta la quota più bassa di mortalità. dello Stato (ID 0 /o0) ed anche Milano (18 °/ 00) è notevol– mente favorita in confronto alle cifre di mortalità ge– nerale. Ma Lil ragionamento muta per intero se, invece di considerare globalmente la mortalità, noi scendiamo all'esame di taluni coefficenti della mortalità, come ad es. la tubercolosi. Se ricorriamo ai dati statistici francesi, si vede che la mortalità per tubercolosi nelle città con almeno 50,000 abitanti è del 49,9 ¼oo; ed è del 81,7 ¾oo nei piccoli comuni rurali. Le statistiche germaniche depongono a. un dipresso per un identico fenomeno. Esse rivelano che tra t-5 anni la mortalità per tubercolosi è del 14 1 04c°looonei grandi centri urbani, mentre è appena del 7 nelle cam– pagne. La diffcffenia non è più cosi spiccata negli adulti, però, mentre le città popolose, per gli individui oltre i 16 anni 1 danno una quota annua di mortalità. tubercolare del 27 °looo,nelle campagne la quota corri• spandente è del 25 O/WJ•

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