Critica Sociale - Anno XVII - n. 6 - 16 marzo 1907

90 CRITICA SOCIALE ziooe del lavoro, delle industrie, degli ambienti di la– 'Vorazione, sicuri di tutelare in tal modo l'igiene anche nei rapporti colla tubercolosi, ma sarà. facile dimostrare che il fenomeno sociale dell'agglomeramento per sé stesso, quale !\Imeno si ha uelle grandi ciUà odierne, è di mediocre influenza sulla tubercolosi, la quale sola– mente sta in rapporto colla natnra del lavoro industriale moderno. E. 8ERTAREl,U, Le conseguenze sociali delatifondismo siciliano Carattere feudale della possidenza e della vita pubblica. - Abbiamo visto nel corso di questo studio (') come l'assenteismo padro• nale nella coltura dei latifondi siciliani, sia il portato, non \ii speciali caratteri morali dei feudatarì> ma di un alto tornaconto a mantenere la produzione agri– cola per virtù delle sole forze spontanee della na– tura e del semplice lavoro delle braccia. '!'aie sistema di produzione poteva 'soddi:!fare la socitltìl a.nffica e quella feudale, come Ja semplice raccolta dei frutti spontanei della terra soddisfaceva l'uomo pri– mitivQ. Perdurando tale sistema, in un'epoca in cui il capitale ha dovuto assumere la funzione di prin– cipale fattore produttivo, perdurano inevitabilmente rapporti feudali di vita, in mezzo ad un mondo che va ognora più industrializzando la produzione. u F; indispensabile - osserrn il Dottor Vacirca nel citato suo scritto: Il pl'Oble,nQ n(Jmrio siciliani), pag. 101 - che la ricchezzo, che si estrae dalla terra con la produzione, vi sia in parte restituita per spingere una produzione ancora maggiore. Ma quando la produzione della terra, invece di rimanere per alimenta1·0 la stessa terra, emigra per lidi lontani, questa ricchezza è una vera distrazione di territorio 1 è un vero malanno, per– chè non contribuisce ad alimentare coloro che la fanno produrre, peggiora le condizioni ftsico-chimiche della tcrra 1 e rende disagevole la vita alla popolazione agri– cola.:, La condizione fortunata di vigneti ed agrumeti nelle brevi valli aperte sul mare non muta che di poco la condizione generale del\' Isola: i quattro quinti del territorio siciliano, tenuti a squallidi lati• fondi e barbaramente coltivati, esercitano un'in– fluenza preponderante anche in quelle fortunate zone, dove fiorisce assieme all'arancio il peggiore malan– drinaggio che sgorga continuo dal confinante latifondo. Le invettive contro i proprietari e i gabetloti di Sicilia mostrano leggerezza di giudizio, e contri– buiscono a Mreditare sempre più ingiustamente l'Csola, facendo credere davvero che i suoi mali derivino dall'indole e dalla educazione dei suoi abi– tanti. Bastano poche frasi convetrnionali contro i prnprietarì e i gabello/i per passare per liberali e magari per socialisti. Non si saprebbe trovare la ragione perchè i proprietari di Sicilia più di altri conservino le abitudini feudali, quando le tradizioni della feudalità sono tanto maggiori in Inghilterra, in Francia, in Germania, e perchè nella stessa Si– cilia i proprietarì della. regione dove il latifondo si mantiene intatto debbano essere più egoisti di quelli dove il latifondo si è spontaneamente frl\zionato e inten~amente coltivato. Per spiegare ciò, attribuen– dolo, secondo il suddetto pregiudizio, al carattere per.:1onale anzichè alle contingenze materiali di vita, si dovrebbe ricorrere alla stupida affermazione di una differenza di razza. (I) Nolla c,·iUca Soctalt del 1906, passim. La legge del 1903 per I~ bonifica dell'Agro ro– mano, quantunque sembn dare un buon colpo al diritto assoluto della proprietà privata e affermi il diritto pubblico contro i danni dell'individualismo, conserva il pregiudizio individualista di ritenere colpevole il propriolario che non bonifica per mala– voglia personale la sua terra e di dichiararlo passi– bile di espropriazione per cedere la stessa terra ad altri acquirenti più volonterosi. Ma è oramai .~fatato H preo-iudizio che l'Agro romano sia irreditizio: l'Agro~ invece, così com'è, rende molto al proprieta– rio i e la sua infruttuosità va solo considerata dal punto di vista dell'interesse sociale; per cui il pro– prietario trova un alto tornaconto a lasciarlo per il semplice pascolo brado. Come potrà mai bonificarsi l'Agro romano mutando proprietarì, che avranno sempre lo stesso interesse? Alla infruttuosità, social– mente considerata, non si potrà contrapporre che la produzione intensa e miglioratrice provocata dal - l'interesse collettivo col mezzo delle Associazioni di lavoratori, liberi padroni dell'uso della terra. E vero che 1 per selezione naturale, la grande pos• sidenza si ferma nelle mani di ,uomini insensibili all'interesse sociale e crudeli riguardo all'interesse dei Javoratorii perchè gli uomini di cuore fallireb• bero; ma tale egoismo non è la causa ma l'effetto del latifondismo, che prospera sulle condizioni natu– rali e storiche locali, sfruttate dal diritto di pro– prietà privata. I~ contro l'assenteismo dei contadini che, invece, devesi lottare, per tirarli ad associarsi ed educarli a gestire collettivameute la produzione agricola nella terra resa collettiva. Oggi essi, dannati a fecondare l'altrui solco, sono socialmente assenti dal control– la.re la produzione, essi che vi sono i più interes• sati, sono macchine umane, a cui può rivolgersi il verso virgiliano: sic vos non vobis fertis aratra, boves. L'intervento loro, con le Associazioni economiche e con la partecipazione alla vita politica, non è solo un fatto di giustizia sociale, ma la pill poderosa forza per ricavare dalla. terra ricchi e sicuri pro• dotti, per la felicità, non di un solo signore e di pochi intermediari, ma di tutti. La produttività, nel corso della storia, si accrebbe vie più col crescente intervento di un maggior numero d'interessati, e sarà massima col controllo interessato di tutti. L'abolizione della feudalità in Sicilia, convertendo in proprietà allodiale il possesso dei feudi, e con– servando nei feudatari i titoli nobiliari, tolse ali' a– ristocrazia quella pur utile funzione che avea nel– l'ordinamento produttivo sotto il regime feudale, mt.rntre le conservava il privilegio fondiario più camonistico e più violento e le maggiori distiozioni. L'ia.ristocrazia si fossilizzò nelle fWJliglie che ultime erano venute in possesso feudale dei latifondi, men• tre prima. la vecchia Tavola, di corto degenere, si rinsanguava attingendo per vie diverse alla sor– gente perenne delle energie popolari. In un popolo, come il siciliano, iu cui la distinzione nobiliare è tenuta in grande rispetto, l'aristocrazia mummificata riesce duplicemente dannosa: per il fa~to stesso che una qualsiasi aristocrazia trova considerazione in un tempo che dovrebbe far cadere in ridicolo il chiamarei barone o conte o duca o marchese o prin– cipe, e il fregiarsi di stemmi con uccellacci gl'ifagni ed altre bestie feroci per simbolo della origine ra– pace della ricchezza nobilesca i e per il fatto che quella stessa aristocrazia non ha. nulla di aristocra• tico, e non fa servire il privilegio della nascita ad una vita nobilmente operosa e socialmente utile. Quando al titolo di barone corrispondeva la baronia, e si poteva toglier il feudo a colui che se ne era reso indegno per fellonia e da.rio ad un nuovo investito, il patriziato siciliano potea contare qualche perso~ nalità di valore, secondo si addicea ai tempi; e potè

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