Critica Sociale - Anno XVI - n. 23 - 1 dicembre 1906

CRITICASOCIALE 361 crescere artificialmente il prezzo dei grani nazio– nali i questo aumento si converte in aumento delle ycibelle dei latifondi seminativi; e la maggiore gabella riesce, come vedemmo, ad allontanare di più i pro - prietarì e i capitali dalla terra. 1l dazio, è vero, è concorso ad estendere la col– tura del frumento nei terreni di più bassa produt– tività: ma ciò non compensa il danno delle mancate honifìche nelle vecchie terre seminative, e quello della cessata produzione di legno e della insufficiente pastorizia brada. Non compensa esso, infine, la man– Cfda industrializzazione dell'agl'icoltura dei latifondi con l'impiego in grande di macchine, concimi, CO· struzioni, piantagioni e lavori di rinnovo del suolo agrario. Non è mica un minchione il latifondista, che si vede accresciuta la rendita o~iosa, per impic– ciarsi d'industrializzazione agl'icola. Non è affatto vero che il contadino non guadagna e non perde nulla sul grano che mangia e che egli stesso produce. In Sicilia quasi tutto il grano è pro– dotto sulla terra presa in affitto o a colonìa par– ziaria nei httifondi: è poco il g1·ano che si produce nei proprì fondi del ceto piccolo propl'ietario o del borgesato. Il colono, adunque, eccetto il raro caso che sia anche proprietario della terra seminata, paga al padrone, sul grano che mangia, l'aumento della rendita prodotto dal dazio cli L. 7 1 50 al quintale, sia con la gabella in danaro, sia con il terratico in natura, sia con tutte le soverchierie nella divisione del grano sull'aia. Ma i signori della terra s'i11fischiano cli questi ra– gionamenti e di queste prove provate: hanno anche dalla loro una parte del socialismo più quotato, che ne sostiene la protezione doganale; e non c'è che fare, finchè, per l'assenza del proletariato, i riformi– sti non fanno riforme, i sindacalisti non fanno Sin– dacati, e i compagni giocolano o con gli scioperi per impossibili patti agrari o con le borghesucce u questioni mornli ,,, 0 1 per sgranchirsi dalla man– cata attività organizzatrice, a dilaniarsi fra loro. L'imposta fondiaria. - Una delle men– zogne più accettate è quella che, ritenendo general– mente alta l'imposta fondiaria sui terreni, le attri– buisce un'azione impeditrice della trasformazione agricola meridionale, e sostiene che bisogna ridurre il carico tributario ugualmente per tutti, piccoli e grancii possidenti. Conservatori, riformisti e rivolu• zionari Phanno proclamata verità indiscutibile: e chi 1 in tanta unanimità di giudizio, potrebbe soste• nere il contrario? Ma proviamoci. Nell'ex Stato delle due Sicilie le impo~te erano tonui; e nonpertanto il latifondo incolto non riusciva ad atth·are, più che non avvenga ora, i capitali nèlle migliode agricole. Anzi, allora la Sicilia non aveva coscl'izione, non .concorreva alle alte spese militari odierne, e quasi non aveva debito pubblico. Eppure Jo stato tl'iste dei latifondi siciliani era lo stesso di oggigiorno. Il dazio sul grano estero, con sfacciata menzogna, fu predicato necessario al risorgimento agricolo, ed è riuscito, com'era da prevedersi, di premio all'ozio latifondista. Lo stesso avverrebbe se pur si togliesse tutta la imposta fondiaria al latifondismo ,,ampiro. La rendita. fondiaria, divenendo più netta di ogni peso e rischio, darehbe un maggior tornaconto a tenere la terra nuda, per il godimento esclusirn delle forze gratuite naturali, senza alcu1t impiego di lavoro e di capitali da parte del proprietario. Un grosso errore, ognora affermato con !:lllssicgo scientifico, è quello che attribuisce ad u1ùtlta tassa- 11,ionefondiaria la mancanza di capitali necessari al miglioramen1:o dell 1 arretrata agricoltura meridionale. Come! può dirsi manchi il capitale per i migliora– menti agricoli, quando in ognuno lii essi 1 che si è potuto attuare con nuove e piì1 rimunerative col– ture intensive, si è avuto anzi eccesso con conse– guenti crisi? La coltura del cotone si era diffusa rapidamente, nell'epoca della guerra di secessione americana, con non pochi capitali per la. irrigazio11e naturale o con le sènie, e poi ha dovuto di botto cessare; gli agrumeti, che sono una delle colture più intensive, oltrepassarono i bisogni del commer– cio, ed ora il loro prodotto restft invenduto a mar– cire sulle piante; il s6mmacco 1 finchè era largamente richiesto, aveva coperto tutte le costiere meno al.te ad altre colture; la vigna poi ha tale tendenza a diffondersi, con l'accumulazione di vasti capitali creati dallo stesso lavoro agricolo, da mutare, come vedemmo, la terra di Cerere in quella di Bacco. L'imposta non fu di ostacolo. I capitali non accor– rono ugualmente a trasformare Io stato orrendo dei latifondi, non perchè proprio per questo solo uso mancano, ma perchè l'interesse padronale non li accoglie. l~ssi, applicati ai latifondi seminativi, fa– rebbero crescere il reddito lordo; invece l'interesse padronale richiede un minore reddito, sul quale pro• levi la maggiore gabella netta' possibile. [I prezzo di affitto delle terre si è, in mezzo se• colo di vita, accresciuto enormemente. Quale premio maggiore poteva darsi al latifondista, perchè egli mettesse a coltura intensi va la terra? qua.le com– penso maggiore di tutte le imposte pagate? quale credito più gratuito e pili largo? Eppure, tutto que– sto bene gratuito, magg-iore di ogni possibile dimi– nuzione tributaria, non è servito a rendere vera• mente industriale la produzione agricola nei latifondij anzi è servito a pl'0miare il più laido assenteismo. Nei prospetti statistici del!' Inchiesta agraria pe1· la Sicilia si dà a conoscere come nel 1880 su 2.924.127 ettari era distribuita sui terreni: l'imposta erariale di la sovraimposta provinciale di . la comunale L. 8.752.254,23 , 5.108.946,88 , 2.215.085,68 Totale L. 16.076.286, i9 cioè L. G,25 in media all'ettaro, riducendo la detta superficie erronea alla vera geografica di 2.574.000 et– tari. La sola imposta erariale grava per L. 3,40 in media all'ettaro. Nello stesso fascicolo dell'lnckiesfa, si lamenta che la imposta fondiaria preleva generalmente dal 30 al 50 e anche al 60 ¾ del reddito netto, e che nelle annate cattive il ricavato non basta alle imposte. Or ciò sarà vero per alcuni fondi, ma non per la generalità. La più bassa gabella delle terre semina– tive, che formano nel loro insieme la metà della su– perficie geografi~a, arriva alle L. 25 all'ettaro, e son molte f)Uelle che raggiungono le L. 75; le terre per vignn. nella gabella ventennale vanno anche oltre le L. 200; gli orti e gli agrnmeti dànno un reddito netto anche di 2500 e 3000 lire l'ettaro; anche il più magro pascolo naturale può darsi in fida per piìt delle L. 6 1 25. Con quale aritmetica, aclunque 1 l'imposta media. di L. G,25all'ettaro è valutata dal 30 al 50i se non il 60 °/ 0 dell1attuale medio reddito fondiario di tutta l'fsola? li reddito imponibile è ancora quello determinato nel catasto semplicemente descrittivo del Governo horbonico, nel quale furono prese a norma le ren– dite denunziate, le contrattazioni in atti autentici e le produzioni del decennio dal 1 9 gennaio 1821 al 31 dicembre 1830, quantunque la formazione cli quel cabtsto non fosse terminata che nel l852. La rendita imponibile, secondo i valori del decen• nio 1821-1830, fu accertn.ta in ducati 16.658.934,47 1 pari a J,. 70.799.198,19. Ora però nbbiamo in Sicilia una media produzione agraria lorda di circa 600 mi– lioni di lire. Ammettendo che il reddito netto padro• nale arrivi a soli 200 milioni, l'imposta fondiaria

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