Critica Sociale - Anno XVI - n. 18 - 16 settembre 1906

274 CRITICA SOCIALE ciale, è affare che, pel momento, ci interessa quanto la cenere della nostra sigaretta, e nel quale - trat– tandosi cli previsioni remote - potremmo anche, senza imbnrazzo, cadere d'accordo coi sindacalisti. Quatricluani cadaveri, costoro ballonzano sopra un in– sipido gallicismo per parer gente nova; nessuno piì.1 di noi, un po' prima che i sindacalisti fossero slat– tati, additò nelle Leghe di resistenza una delle forze capitali della lotta prolctflria. Soltanto, lavo– rammo a. fondarle e a nutrical'le di buono alimento, nnzichè a disfarle ed a esinanirle, come qucglino fauno. Nulla è più buffo della lite, che si tende a far di nuoY0 imperversare, fra camiciotto e giacchetta, fra lavoratori del braccio cd intellettuali. Il cor– porativismo, inumato al Congresso di Genova sono ormai due sethrnnl, appnrtiene, per noi 1 all'età della pietra non lavorata. Nessun movimento operaio, che intenda essere serio e venir preso sul serio, si priverà orni dell'intelligenia aiutatrico e complice; e, vedete ironia!, quelli che, per faro il solletico a un istinto bestiale, si danno l'aria di spingere a CO· testo, sono tutti - manco a farlo apposta - se non degli i11tellige11ti, dei prettissimi intellettuali! Anche la contesa della violenza, se accettabile o no, se raccomandabile o meno, e del !egalitarismo ad oltranza, è, in astratto, un illuminello o uno spec• chiotto per confondere i t,:"Onzi. In l'egime di relativa libertà, di regola, la legalité tue i ceti reazionari, e l'offenderla nuoce (ò banale!) ai proletari anzitutto, che sono i meno armati. :Ma nm1suno, in date con– tingenze, ricuserebbe il vindicc e acceleratore colpo di pugno. È questione di momenti storici. I chia– mati (lor malgrado) riformisti non sono dei procedu• risti o dei legulei. E la forza, che tutti aneliamo, ò anch,essa, in certo senso, violenza i soltanto, ò violenza. organizzata, salda, durevole e vittoriosa (1). Meno ancora. ci preoccupa sapere quale, fra i con– tendenti, sia erede più legittimo e diretto dei padri, più ligio ai mottetti degli evangeli del partito, pili autorizzato a dirsi socialista o comunista o col– letti vista nel senso originario e purissimo delle pa– role. l padri sono ,•onerahili fin tanto che non levano il fiato ai figliuoli ; gli evangeli, perchè erano al principio, quando i fatti erano scarsi, e le idPe per conseguenza mal differenziate, fllosofeggiavano estro– logavano a perfidiato, e hanno frammenti e parabole indulgenti per tutte le opinioni. Noi siamo assai vo• lontieri d'accordo con Marx anche nel non voler essere, o nel non voler essere sempre, marxisti. La socializzazione dei mezzi di produzione è certamente una tendenza obiettiva e una bussola subiettiva, senza riconoscere la quale e valersene non si è so– cialisti; ma il collottivismo, come sistema chiuso, perfetto, assoluto, matematico, senza eccezioni 1 nou rimane, oggi, che un'ipotesi. m le ipotesi non fanno farina da impastare il pano quotidiano. Ciò che fa oggi l'essere o il non essere del socia• lismo non istà in coteste bubbole astratte, in coteste evanescenti farneticazioni. Socialismo è ciò che me– glio avvantaggia il proletariato, come classe militante e marciante alla nuova civiltà; socialismo è l'impiego più intero, più sapiente, più efficace della lotta di classe prolotaria, di tutta, largamente intesa, questa lotta di classe. Noi non siamo antisindacalisti per dispetto al Sin– dacato (che, se, come di fatto, è la Lega, è tutta roba nostra), o pel' odio implacabile alla violenza, o por tenerezza dottrinnlo di un nome o di nna formula. Noi non siamo antisindacalisti perchè i sin- (') l>Im!nl1ter111.11smo ed anu, eti\,-oll11.,1ier esempio, 11011 01 occu• plamo. l,fl questione fu mera'flglloeamente de1uo1d11.tada Enrico t'erri, Il cui <1/to tu anche JllÙ smagliante della sempre smagllanlls• &Ima parola. dacalisti vogliano qualche cosa di più o di diverso da quel che vogliam noi; anzi, perchè vogliono - e sopratutto raggiungono - assai meno, troppo di meno! Siamo antisindacalisti per questo: che coloro, che clrappeliano il labaro sindacalista, hanno, della lotta cli classe, rinnegata la miglior parte; l'han ri– dotta, a un dipresso, alPurto inorganico, meccanico, inintellig-ente dello sciopero, parziale o generale, che, come strumento di lotta flUOtidiana, è il più pronto a logorarsi e può dirsi, nella fase presente, già. quasi superato; l'han ridotta a un clamore vacuo e assor· dante, a un armeggìo di gesti spaventapassere, che isolano il movimento proletario nell'ambiente piit ostile, pii, asfissiante, pii, venefico ad esso, che armano contro cli esso tutte quelle forze sociali che potrebbero e dovrebbero essergli aiutatrici. E così del socialismo hanno fatto una caricatura, goffa, grot– tesca e risibile, che, alla lunga, aliena da sò tutti - primi i socialisti - senza vulnerare nessuno - tranne chi l'adopera. Noi non siamo coi sindaculisti perchè non amiamo stare in combutta cogli organizzatori della sconfitta sistematica; perchè non ci garba che il movimento proletario, secondato da noi, resti perpetuamente becco e bastonato. r compagni di Arturo Labriola attenueranno, certo, la sua conclusione, che " il socialismo operaio è tutto nello sciopero generale "; smozzeranno o sconfesse– ranno, leticando fra loro - autentici ladri di Bre• scia - le formule bresciane del colpo di mano nella fabbrica, del sasso nella macchina, ecc. Sul terreno delle ciarle, il loro hegelianismo piedigrottesco ci menerà a bere tutti quanti, come un solo contadi– name. Alla babele, se occorre, daran mano quegli integralisti, cui piacciono le astuzie bertoldine del Sempre Avanti! e le fantasie, lugubremente allegre, di Oddino Morgari intervistato dal Momento. :Ma il sindacalismo, dio mercò, ha fatto le sue prove. Le ha fatte specialmente in Milano, dove fu il quar– tiere generale del suo memorabile sciopero capola– voro, dove si annidò per ferire, con tutte le armi più proibite, noi e i nostri amici, dove del nostro lavoro rude di oltre vent'anni ha tentato di fare ogni lu<librio - e dove, alla prova degli eventi, s'è ti-agi· corni11amente così ben liquidato! E perciò che ai " Gruppi milanesi "' prima e meglio che ad altri, spettava di porre, al Congresso, sola e tutta intera, Ja questione - non di ciarle ma di sostanza. E sulla sostanza e sulla esperienza. delle cose - non suIIe aprioristiche e multivoli ciarle - per la dignità di sè medesimo, il Congresso - che non ò un Concilio - dee giudicare. LA CRITICA SOCIALE. IL SENNO DI POI(') È tanta la gioia entrata nel cuore dei compagni pii1 timidi <lacchè il diavolo s'è fatto frate e il ma– nipolo sindacalista getta la spada per il cilicio, che le comari fanno pace e tutti si mescolano in un ( 1) Il pensler nostro eun'lnlegrallsmo fu detto e ripetuto. Olamo Orll o&pllallià a quello deli'amlco Cauola, che - ncll'anallsl del fatti - ool1lma col nostro. No! tOJLcmmosoltanto a rllevllrO, molto csvrcssameute, non SOio lll lluonll lodo e la buona lnte111;lo110di moltlss\ml nostri amici ln– togra11st1 di vcceh!R data {di quelli dOIII\suta giornata, 1\1 qunli p1ù 8J)CCll\lmento Si ,·olgo l'll'Ollh\ dOI noetro oonabor&.tore, nou cl OCCII• 11lamo), ma. altreBÌ, noi Mmpo - ohe più premo - dell'azltme rwa– tlca, nrnlgrado la ch·etterlll di un eoletusmo verb11.le, la tffetttva e compftl(I cot11cwen::a della loro Ctzlone colla 11ostra. svetterà ad cui, al Congresso, ammacslrati dnll'Clll)Crlenza e di fronte all'avversarlo comune, mettere 11li1nettamente d'accordo I tatti eone 1mrolo, Nota deHa CIUf!C.t.),

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