Critica Sociale - Anno XV - n. 20 - 16 ottobre 1905

312 CRITICA SOCIALE non ebbe queste lotte, gli è che non ebbe la fede che altrove le rese possibili, e non ne raccolse neanche i risultati. E non l'ebbe perchè l'imperia– lismo romano prima, la sua tradizione indi, e il cat– tolicismo da ultimo, approdarono alla estinzione di ogni energia non conforme alle tradizioni e all'au– torità. Ripeto: ciò che forma la forza del 1>rotestantesimo non è il suo colorito religioso: è il senso di fede in sè dell'individuo: è la serietà con cui la vita è scrutata e riguardata; serietà che non retrocede di fronte ai propri risultati, per quanto proceda con ogni cura di conservare ciò a cui è giunta; serietà conserva– trice, che ci dà rivoluzionari del pensiero come Kant, Hegel, Darwin. Ed è la mancanza di questa fede seria in noi stessi, di questo alto apprezzamento elci valore del nostro pensiero e dell'altrui; è questo prender Ja. vita e il pensiero come un gioco più che come un problema e un affare, che, se ci ha evitate le sòtte religiose e le loro lotte, se ci ha decretata una monotona uniformità, ci ba reso anche uno dei popoli meno istruiti e piil poveri. * * * Ora, il secondo aspetto del problema della politica ecclesiastica consiste, dicemmo, nel mettere in moto il pensiero ora immobile dell'Italia religiosa, perchè è solo movenclosi che l'Italia religiosa cattolica at– tuale può cessare cli essere quello che è; ed è solo superando razionalmente la sua posizione attuale - non già dissolvendosi per via d'un processo di scet– ticismo invadente e non ricostruttore - che essa può arrivare a superarla in modo sicuro e perenne. l~d ò solo di questo aspetto che io trattavo nel detto mio articolo, convinto che nel medesimo tempo c'è tutta un 1 opera educativa ed economica di Stato che deve mirare a costituire la mentalità nuova in co– loro che poterono essere smossi dall'antica. Si è voluto vedere in esso una tendenza di conciliazione con democrazia e chiesa. Il vero è che in esso si affermava, come risultato fatale, se anche non im– mediato, dell'introduzione di metodi democratici nel– l'amministrazione della Chiesa, la morte del Papato e il frantumarsi della Chiesa in molte sètte, preludio al ritorno della credenza alla condizione di fatto meramente indiYiduale. Naturalmente io partivo dal presupposto che Pevo• luzione del pensiero non si affretta artificialmente e che per, uscire da un dato stadio, bisogna pensarvi su. E, siccome di tratto in tratto accade che qualche villaggio si appassioni per avere un parroco che non è quello assegnato dal Vescovo, si suggerh'a che, se si facesse entrar nella testa di quei buoni·villici che in diritto essi possono nominarsi il loro capo spiri– tuale e che quindi possono ricorrere alla legge, un po' alla volta l'andamento della Chiesa sarebbe, non conciliato alla nazione, ma subordinato ad essa e dallo spirito nazionale inspirato. Questo, un po' alla volta, eliminerebbe tutti gli clementi caduci e svilupperebbe i vitali, ossia gli elementi di un ideale conforme alla nuova vita col– lettiva. Senza grandi ideali collettivi la vita dei po– poli è impossibile; l'autorità che un ideale può avere varierà, a seconda che si ha della vita una conce– zione filosofica piuttosto che un'altra, ma l'impor• tante è che esso sia generalmente accettato. Noi abbiamo visto che lo Stato moderno s'inspira già, ne' suoi tipi migliori, ad un'etica, che gli dà il diritto ad una devozione superiore a quante devo– zioni esisterono nel passato; devozione che si estrin– seca - o clovfebbe - in una condotta tale che dia luogo all'impiego, più proficuo per noi e per la col– lettività, delle qualità che lo Stato tende con la sua opera gigantesca a sviluppare in ogni suo membro; devozione insomma che si risolve in una restituzione di ciò che fu speso pel nostro sviluppo. Ove l'indi– viduo non compiesse in qualche modo questa resti– tuzione e non fosse animato dallo spirito cli respon· sahilità. collettiva, che essa implica, ogni progresso è impossibile e la rovina comincia. Nel mio articolo sulla Città-giardino ho accennato a molte circostanze che rendono probabile una cre– scente estensione delle funzioni di Stato, indipen– dentemente da ogni corrente dottrina socialistica. Se così è, diviene di somma importanza che si pro– muova in ogni modo Ja formazione, nella psiche generale 1 del nuovo ideale, del nuovo senso di dovere, che risponde a queste venienti necessità, e la con– quista della Chiesa da parte cleflo spirito nazionale e democratico potrebbe essere un ottimo avviamento alla trasformazione di quoJla in un organo di elabo– razione delle nuove idealità sociali. La passione di parte può farci desiderare la morte della Chiesa ; ma se si potesse trasformare quest'ultima in un Or• gano di educazione progréssiva; se, a poco a poco, se ne potesse disporre per fìni più cònsoni alle nuove necessità di vita sociale; O guadagno sarebbe enorme e la gloria non poca. Si potranno deridere gli anglosassoni fin che si vuolH pel loro conserva– tivismo; ma io trovo che il non buttar via nulla di ciò che può essere usato ancora in qualche modo, e fin che non si sia dimostrato che un qualche nuovo uso ne sia proprio impossibile, ò la sola maniera per assicurarci contro ogni sperpero di energie, è la economia per eccellenza del progredire. Gli altri metodi saranno esteticamente più seducenti; disgra– ziatamente la politica non è l'estetica. . . Tutto ciò parve ad alcuni utopia. Questo è ciò che solo l'avvenire può decidere. Per mio conto non so come astenermi dal pensare che, se l'uomo s'avvia, anche in materia etico-relig·iosa, a pensare sempre più con la propria testa e sempre meno con la testa degli altri 1 tra lo stadio attualo, in cui il prete pensa o crede di pensare per 30 milioni di persone, a cui impone un credo e un culto non già di ideali attuali o nazionali od umani 1 ma di cose credute o avvenute venti secoli or sono ed ordinato a costituzione di fede superumana e supernazionale, e lo stato limite in cui ognuno pensi per sè, vi dovrà essere una serie di stadi intermedi, risolYentisi prima in una e poi in più fedi e chiese, nel seno della stessa nazione. Kant, Strauss, Sclileiermacher, Comte, Spencer, Guyau 1 tutti ammisero in forme diverse questo processo. In secondo luogo noi vediamo sotto i nostri occhi la Chiesa obbligata, dalle condizioni fattele in altre nazioni e dal nuovo stato di cose fattole in Roma dal 1870, a mutare sensibilmente il suo atteggia– mento e a trasformarsi io Comitato elettorale del partito conseL·vatore. 'l'utto ciò non sarebbe se i no· stri padri non avessero avuto fede nelle idee, che, conducendo a Roma, prepararono questa situazione. Abbiamo noi fede che si possa fare un passo più in HL e preparare uno stato di cose, che spazzi via la cattolicità. della Chiesa, e, magari, nello stesso mentre che il conservatorismo ]a domina 1>e'suoi fini da un lato, la democrazia la domini dall'altro provocando un dualismo tra la parte più democratica e la più autoritaria., che produca in tal modo tutti gli effetti d'una concorrenza per la supremazia sugli spiriti? La questione è di fede, cioè di forza. Se la fede non c'è, In. cosa resterà un'utopia e i preti ringrazieranno il fine scetticismo pagano. Se, viceverst1, crediamo nel progresso dello spirito nazionale sulle vie della critica, della scienza, del self-government intellettuale, e se crediamo che si debba lavorare a questi scopi, e che essi non possano essere raggiunti che per mezzo di qualche lavoro e non per mezzo d'una scet• tica aspettazione apocalittica, allora non vedo come

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