Critica Sociale - Anno V - n. 23 - 1 dicembre 1895
364 ORITIOA SOOIALE vetri che paiono spiriti cristallizzati in anfore az– zurre ed in coppe smaltate. La lettera del « principe degli artisti pittori » parla dei sedicenti critici buongustai che presu– mono guidare ed illuminare le masse cieche su territorii che non conoscono essi medesimi, e su cui camminano come se li avessero studiati a fondo. Deploro anch'io che ci siano di simili cri– tici, e, al caso, ne rido 1 ma senza fiele. Quelle masse, che essi pretendono suggestionare, non li ascoltano mica nemmeno essi: quelle masse saranno ben fatte in maggioranza di bestie: ma di bestie dal naso fine e dall'istinto sicuro, docili verso chi merita seriamente di imporsi alla loro intelligenza, ma riottose e recalcitranti contro i pastori ine– spe1•ti. Del resto, questa della competenza é un'altra grossa questione, che si dibatte eternamente sopra un equivoco. C'è una competenza tutta tecnica, la quale riguarda i particolari procedimenti pei quali è passata l'opera d'arte, che tocca alle intenzioni riposte dell'artefice, ai mezzi da lui tenuti per in• carnarle nel suo lavoro, agli effetti conseguiti in relazione a quei mezzi e a quelle intenzioni: e questa competenza non si raggiunge che a costo di lunghi studi specializzati, e raramente si trova in chi non sia esperto cultore di quella medesima determinata forma d'arte di cui s'impanca a discu– tere. E c'è poi un'altra competenza tutta estetica, la quale si riferisce esclusivamente all'opera com– piuta qual essa si presenta allo spettatore, e che non va oltre all'effetto di lei sui suoi sensi e sul suo spirito, senza minimamente aver bisogno di giungere fino all'anima dell'artista e di sviscerare gli elementi dei suoi prodotti: e questa competenza può esser• di tutti: di tutti quelli che vedono e sentono bene, e che sono abituati a guardare o ad ascoltare con attenzione anche dove gli altri assi– stono distratti ed indifferenti. Quest'ultima compe– tenza non si fa nelle gallerie dì belle arti, non nei musei, non nelle esposizioni, non nelle acca– demie, non nei conservatori, non negli studi dei pittori e degli scultori; ma per le strade delle città e per i sentieri delle campagne, ma fra il rumore degli uomini e fra le verdi solitudini, ma nel ful– gore cocente del sole e sotto l'umido scintillio delle stelle: si fa vivendo, ammirando ed amando; si fa, sopratutto, innalzandosi al disopra di tutti i me– schini dibattiti dei partiti artistici e delle simpatie personali, ed abbracciando con occhio parimente benevolo e attento tutte le manifestazioni naturali ed artificiali della bellezza: ciò che non sarà. mai possibile ad un artista di professione, e tanto meno, poi, ad uno che tiene un posto cosi deciso di com• battimento, come quello occupato dal • principe dei pittori ~ secessionisti. Del resto, due fi11isoltanto, oltre a que1li a lei esteriori e complementari, morali, politici, dida– scalici, filosofici o religiosi, due soli moventi suoi propri ed essenziali, posson determinare la crea– zione ar•tistica: uno è lo srogo del bisogno interno irresistibile d'oggettivare in immagini belle i bei fantasmi che si disegnano spontaneamente nella nostra immaginazione, e che fanno ressa alle soglie dei centri e degli organi d'espressione: e questo è movente inferiore, istintivo, primitivo, animale, egoistico; l'altro movente, è il bisogno espansivo e simpatico di far partecipare i nostri simili, ren• dandole loro visibili in forme e percettibili in suoni, alle gioie che abbiamo provato nella contemplazione tenera e devota alla natura, alle ebbrezze che ci hanno estasiato nei luoghi co1loqui col Dio pro– fondo ch'è in noi: e questo è movente superiore, umano, civile, moderno, altruistico; è il movente di quegl'ignoti operai, che, disinteressati e sublimi, lavoravano con indefesso fervore per la gloria della corporazione e non per la loro, per la gioia di tutti gli occhi, e non per quella degli occhi di pochi cospiratori dell'ar•te. Ma i nostt•i superuomini diranno che anch'essi lavorano per i loro simili: ma che questi sono po– chissimi eletti, pochissimi tocchi dalla grazia divina di poterli comprendere. Resta però a dimostrarsi se non siano essi, invece, che non sanno spiegarsi; se non sia il loro gergo di socielà segreta, che vieti ai non iniziati di comprendere cose che per sé stesse sarebbero alla portata di tutti, o di quasi tutti; se la loro mente di solitari non sia guasta ed indebo• lita da cotesta specie d'onanismo spirituale a cui s'abbandonano, e non sia invece sana e normale quella di chi vive in mezzo a tutti gli scambi di sensazioni e di idee della vita ordinaria. Questo io so, che le più sublimi visioni del mondo e del– l'anima, miti e leggende, epopee e filosofie, tutto è uscito dal grande crogiolo della psiche collettiva, e che da esso hanno attinto tutto ciò che di grande essi ci hanno lasciato sintetizzato in formule eterne, Budda e Mosè, Cristo e Maometto, Omero e Dante, Shakspeare e Goethe. Il solo, il grande, l'instancabile creatore, fu, è e sarà. sempre il popolo. Gli artisti più.superbi e più. originali, scienti od inconsci, in buona od io mala fede, non hanno mai fatto, non fanno ora, e mai non sapranno far altro, se non plagiarlo, se non copiarlo, se non scrivere, come amanuensi ad un tanto la pagina, sotto la sua dettatura. Io, per me, vado lieto e super•bo d'avel'lo avuto necessario e generoso collaboratore in quanto di meglio sia uscito da questa mia povera penna. MARIO PILO. GLI ULTIMI ATTI DELL'INTERNAZI (Co11trlbato •Ila eompllailoae d~gll 1erlttl eompltitl t1l F, Bageh) Dobbiamo alla cortesia dell'amico Enrico Bignami le due lettere seguenti, scritte da Engels sullo scorcio del 1872 da Londra, dove egli fungeva da segre– tario dell'Internazionale per l'Italia e per la Spagna, e pubblicate nel g10rnale La Plebe, che, sotto la direzione del Bignami, usciva allora in Lodi, e che fu uno dei primi, forse il primo gior– nale socialista che si pubblicasse in Italia. La col· lezione della Plebe, che da Lodi trasre1•ita poi a Milano mutò spesso periodicità e forma, ma, grazie alla tenacia del Bignami, ebbe vita lunga quanto avventurosa, è ormai irreperibile in commercio e non facile a trovarsi anche presso privati. Queste let– tere dunque possono quasi considerarsi come scritti postumi di En$els, che le scriveva appunto come segretario-corrispondente dell'Internazionale, e la morte del loro autor•e attribuisce lor-o oggi una certa importanza di documento storico. Comunque, noi siamo lieti di otrrirle come nostro contributo alla compilazione, che si sta allestendo in G01•mania, delle relicla letterarie del compianto maestro. Non sarà dimenticato dai lettori che il Congresso dell'Aia, tema della prima di queste lettere e un po' anche della seconda, fu l'ultimo Congresso della vecchia Internazionale. Il trasporto del Consiglio generale da Londra a New-York fu in realtà un trasporto funebre, l'ordine del giorno che lo deli– berò fu la stesa dell'atto di morte della ~rande associazione, la cui compagine non era piu ade– guata ai nuovi bisogni del proletariato militante ; fu insomma per l'Internazionale un modo decente di passare a miglior vita. Ma questo non era certo chiaramente consaputo agli autori stessi di quella (
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