Critica Sociale - Anno IV - n. 3 - 1 febbraio 1894

42 CRITICA SOGJALE A un anno solo di distanza dal)'ultimo discorso della Corona, annunziante il pa,·eggio per virtù mi,•ifica di semplici operazioni aritmetiche, la p,·o– fezia parve esagerata. anche ai meno ottimisti. 1-: vero che l'inasprimento dei cambi e il precipitar della rendita, autorevolmente confermati tra calici a D1·onero, avevano s1>ento •mol1i entusiasmi e de– stato molte incp1ietudini; ma fino a quel punto nessuno mai s'era arrischiato di giungere. Si disse da alcuni che Sonnino metteva le mani avanti per non cascare sotto la croce del potere; altri risposero che egli preparas e l'ambiente e gl'isti·umenti, per fareal pubblicouna nuovacavatadi sangue il giorno che le vicende parlamentari lo portassero, benchè 1·iluttante, dal banco di deputato a quello di mi– nistro. A questi ultimi i fatti han dato ragione. Il cam– biamento di posto è avvenuto. L'on. Sonnino è da pocopiù di un meserìnanzie1·e cassie1·e maggio1•e dello Stato. Egli ha studiato, ha raccomandato ai colleghi la lesina ad ogni costo, ha fatto molte cii·– colai·i,ne ha fatta una anche sulla c.·u·ta, le penne, l'iuchiostl·o e i tempei·ini che si sprecano nelle pubblid10 amminist1~1zioni,ha distillato tutti i ca– pitoli dell'eut,·ata cd assai più quelli della spesa, ed ha messo insieme il suo p1·ogramma finanzial'io. Questo p1--og1-amma, fino al momento che scriro (22 gennaio), è ancora ignoto, ed é probabile che non venga mai alla luce per una strana ratali1à che pesa sul capo del suo autore. Dicono, che ne abbia tenuto discorso in gran segreto all'on. Crispi, e non sia rimasto contento dell'accoglienza. La voce, benchè smentita, si può c1·edere vera, e già si an– nunzia prossima una crisi. La cosa non dee farci meraviglia. Tanto, l'on Orimalcli è sempre dispo– nibi1e e il buon Perazzi non ha rinunziato al di– se8'no di terminar la sua lunga carriera ministi--o del ,·egno in attività di servizio. Ma a noi di questo non cale nè punto nè poco. Il ro,·te è che l'on. Sonnino, pe1· nuovi studi e più diligenti ricerche, si è persuaso e~ ·ere il disavanzo molto maggiore che prima non avesse creduto, e dover crescere ratalmente per parecchi anni ancora. , lancio insieme cogli altri governanti, e!fli si è accorto che i colleghi, teneri e solleciti pe bisogni dei rispettivi ministeri, non si dànno pensie1--oal– cuno dei bisogni dell'erario. A furia di mettere l'occhio da per tutto o di esercitare il suo spirito critico e sottile, egli ha scoperto altri buchi, e un buco più grosso ha scoperto nel Ministero dei la,,ori pubblici. Questa beneme1·ita amministrazione, che ha fatto la fortuna di tanti appaltatori e di tanti impiegati, ha un debito di 10G mìttoat per altret– tanti lavori eseguiti, e nei capitoli del suo bilancio non riesce a ti·o, 1 are un centesimo nè pure a pa– garlo una lit-a. E dire che in 'essa oggi regna e go,•erua quello stesso Saracco, che nel 1888, colle nuove Convenzioni, addossò allo Stato il \'eso di un altro miliardo, per aver modo di regalare a Oenova– Ovada-Acqui agli elettori del suo collegio senato– riale. Sicchè, facendo i conii, si arriva a questo risul– tato. Jt disavanzo del bilancio di competenza pe1· l'esercizio 1894-95si deve prevede,·o in una somma non minore di 120 milioni, o il debito del 'l'eso1--o clono\ crescere cli alt,•i 100milioni, oltre quelli che si sono spesi e si spenderanno per ristabilire l'or– dino in Sicilia e in Lunigiana. Condizione brutta, come si vede, la' quale non potl'à per sapiente ma– giste1·0 di cirl·e essere attenuata nè dissimulata, od è resa. pii, grave dal fatto che gli uomini, che sono al governo della cosa pubblica, o quelli che sareb– bero destinati a raccoglierne quando che sia l'ere– dit..l, nou vogliono, non possono o non sanno tenerle tesla. L'1u ,u,c-..d Grno Biarco Pure io sento dire intorno a me: - Altre pro– celle pili aspre superammo in condizioni non meno difficili. Nei primi anni della costituzione del regno d'Italia il disavanzo raggiunse enormi altezze (oltre 400 milioni) o fu debellalo. Perchè dovremmo ora disperare della saluto della patria 1 Sissi11nori.In altl'i tempi il disavanzo fu vinto e la patria salvata, perché ci era molta 1--oba da tas– sare, più ignoranza e meno disonestà, perchè in tutti c·era Ja convinzione che la tempesta non· po– tesse cansarsi e c'era la speranza e la fede che dopo la tempesta il sole dovesse risplendere indubbia– mente, lie~,mente. E in questa rectesi visse lunithi e ti·isli anni, duran<lo, lavorando e pagando. Ma quando si credette che il sole dovesse splendere alfine, l'asti--ofiammante apparve ai cangiati occhi nosfri come un fuoco fi1tuoche ha bisogno del buio d'intorno per rivelare la sua pallida e fantastica esistenza, e non du1'Ò nè pm· tanto che la medaglia d'oro decretata al ministr-o Magliani per l'abolizione del corso rorzoso si potesse conia1·e. C1·udele ironia delle cose, che avrebbe dovuto ope,·are su di noi come l'urto di due navi veleggianti in opposte di– rezioni ope1·a sui na,·iganti as.sonnati. Av1·cbbe do– vuto e non fu. La na\,e nostra, rotta in pil'1parti o disalberata, 11011 tol'llò indietro nè toccò te,.,.a al più preslo. Continuò invece la sua rotta fatale, piuttosto spinta da' ,•enti che guidata dagli uomini, i <1ualierano solo affaccendati a cavar acqua dalla stiva con fo,·za di braccia e di pompe perchè non affondasse. Il lungo lavoro immane e infruttuoso ci ha quasi esauriti. Ora le braccia cadono inerii, e il porto è lontano, e su11a vasta solitudine del .mare non si scorge nessuno che ci soccorra. Ora la condizione nostra è molto peggiore che non fosse trent'anni fa. La Francia, che allora ci proteggeva per torna– conto e ci fu larga di denari per averci soggetti, ci muove una guerra spietata e senza quartiere. Indebitati fino a· capelli, tassati peggio, col cambio al 16 ¼ e la rendita al 72 sui mercati forestieri, t,·avagliati da ogni sorta di crisi divenute malattie endemiche come la malaria, noi invochiamo ad alte g1·ida mi salvato1·e, lo invochiamo da tutti, ruorchè da noi stessi. E ancho l'invoca1·lo da uoi sarebbe vano. La nosti·a scienza, buona a farci ve– dere i pericoli, non ser"e a trarcene fuori. Essa 11011 ha impedito che due potenti istituti di credito, dopo avei· lottato con ogni specie di armi, abbiano dovuto abbandonare il campo, vittime dell'avversa fortuna non più che della 111sipienza dei capi e dei loro smodati dcside1·'ì. E non cor1·e acquo migliori la Banca d'Italia, che doveva simboleggiare la for– tuna e ìa ricchezza della terza Roma. Il nuovo istituto, sorlo su detriti di vecchi capitali e per metà logorati, pericola da ogni pa1·te, e la le~ge che Jo mise al mondo, ma non poté dargli la vita, alll·o non seppe o non volle fare che concedergli venti anni di moratoria e il mezzo per ammazzare, se ne avesse tempo come n• ha senza dubbio ta– lento, i banchi me1·idionali. In questo marasma torpido languono le industl'ie, langue il commercio, langue l'agricoltura, e il get– tito delle imposte, già da un pezzo stazionario, decresce giorno per giorno in maniera allarmante. Una sfiducia glaciale, fatta più 1Jaurosa dall'insor– gere di plebi affamate e da voci di guerra fo1'Se diffuse ad arte, certamente non mai smentite, ha invaso tutti quanti, e i ricchi più de' po,•eri, e il capitalo chu anco1· ci rimane si ritira dalla mischia e si nasconde sotte1·ra.. 'rriste spettacolo, e prova evidente che la salute della patria si riduce in de- 0nitiva alla salute della borsa.

RkJQdWJsaXNoZXIy