La Critica politica - anno VI - n. 6 - giugno 1926

LA CRITICA POLITICA RIVISTA MENSILE ANNO VI GIUGNO 1926 I e::::::, I FASC. 6 La • • cr1s1 • economica inglese La crisi economica che sta attraversando l'Inghilterra ha formalo argogomento - in occasione dell'ultimo sciopero generale - di molte discussioni e dei più s1'ariati commenti da parte della stampa del nostro paese. Abbiamo c,eduto per ciò che potesse riuscire giovevole e opportuno che sulla nostra rivista ne riferisse in modo obiettivo, e cioè indipendentemente da ogni passione e interpretazione di parte, un chiaro economista che i lettori di « Critica » da tempo conoscono ed apprezzano come nostro collaboratore. Smentita dai fatti l'opinione artificiosamente diffusa che lo sciopero generale inglese fosse la prima manifestazione di un programma politico rivoluzionario o fosse per lo meno l'indice di uno stato di profondo disor• • dine sociale; ridotto il fenomeno alle più modeste, ma pur grandiose, proporzioni di un tentativo, illusorio fin che si vuole, di risolvere la spinosa questione mineraria con ùn atto di volontà collettiva, esso resta tuttavia l'indice di una situazione economica estremamente critica, che, nonostante la tregua sopravvenuta, non cessa per questo di essere oscura e minac- . c1osa. La crisi economica, di cui oggi soffre la Gran Brettagna, risale a cause che avevano cominciato a manifestarsi prima della guerra mondiale. Tutto il movimento dell'opinione pubblica che, tra il 1897 ed il 1902, fu guidato dal Chamberlain e mirava a creare un più stretto legame economico fra madrepatria e colonie ed una più efficace difesa dell'industria inglese, traeva origine appunto dalle preoccupazioni. che aveano cominciato a diffondersi per il confronto sconfortante fra la rapidità dei progressi e la forza di espansione delle due nuove potenze industriali, Germania e Stati Uniti, ed il rallentamento nella espansione britannica. La resistenza ed il trionfo dei liberisti ed il nuovo periodo di floridezza, di cui l'Inghilterra potè godere, quasi ininterrottamente; nel successivo decennio 1903-1913, sembrarono smentire quelle preoccupazioni. Eppure anche in quell'epoca di prosperità i segni minacciosi di una futura perdita del primato economico del Regno Unito non erano scomparsi. Alcùne - è vero - delle ·· grandi industrie inglesi, la cotoniera e la laniera, conservavano intatta a iblioteca Gino Bianco

218 LA CRITICA POLITICA antica superiorità; la marina britannica seguitava a dominare su tutti i mari ; Londra era sempre il più grande mercato finanziario e commerciale del mondo ; il capitale inglese non solo bastava largamente ai bisogni nazionali, ma penetrava, e spesso dominava in tutti i paesi vecchi e nuovi de la terra. Ma di fronte a questi elementi positivi, non mancavano gli indici di una stazionarietà o di una lentezza di sviluppo e di trasformazione, che potevano destare serie preoccupazioni. Tutte le industrie nuove, l'industria elettrica, l'industria chimica e l'industria automobilistica sopra ogni altra si sviluppavano in Germania e negli Stati Uniti con una rapidità e una grandiosità che in Inghilterra erano del tutto sconosciute. Nell'industria del fen·o, considerata come la dominatrice del grande industrialismo moderno, l'Inghilterra, che per un secolo ne aveva goduto il primato, doveva lasciarsi superare e distanziare dalle due grandi rivali. Nell'industria meccanica e nella stessa industria cotoniera, che seguitava ad essere la sua massima industria, l'Inghilterra conservava il primato per la qualità, ma non riusciva ad assicurarsi tutta la clientela minuta, che ricerca il prodotto a buon mercato, e che essa, da gran signora, abbandonava ai concorrenti . . m1nor1. Nelle forme dell'organizzazione della grande industria capitalistica, nel la standardizzazione cioè dell'industria, nella formazione delle grandi concentrazioni industriali, nei legami strettissimi fra banca èd industria, essa non voleva mettersi sullà strada su cui con grande audacia si erano avviate la Germania e gli Stati Uniti, e restava attaccata alle forme tradizionali, prevalentemente individuali, dell'industria, ed alla netta separazione fra attività bancaria e attività industriale, con cui essa era arrivata alla enorme prosperità presente. Con questa fede serbata ai vecchi sistemi di -maggiore prudenza essa si assicurava la fama ben meritata di una grande solidità ; ma rinunciava anche ad un fattore potente di una rapida espansione, per cui le sue rivali, in due o tre decenni soltanto, potevano avvicinarsi minacciose alle posizioni che essa aveva faticosamente conquistate in un secolo e mezzo di lavoro e di progresso quasi costante. La guerra mondiale, di cui secondo le apparenze il Regno Unito sarebbe stato il massimo profittatore, ha invece accelerato in misura superiore a qualunque previsione quello spostamento delle forze economiche e dei mercati mondiali, che nel 1913 appariva ancora come una lontana ed incerta minaccia. Per un paese come la Gran Bretagna, dove la terra non permette di alimentare che un quarto od al massimo un terzo della sua popolazione, e dove questa popolazione è ormai abituata ad un tenore di BibHoteca Gino Bianco

LA CRISI ECONOMICA INGLESE 219 vita molto elevato, l'equilibrio economico si· fonda sulla possibilità di esportare una massa ingente di prodotti finiti : ed è appunto a questa possibilità, finora illimitata, di esportazione, che la gue1Ta ha portato un colpo gravissimo. La guerra, è vero, ha prostrato le forze di quello che nel 1913 poteva sembrare il concorrente più temibile dell 'indushia inglese, ma nello stesso tempo ha diminuito il potere d'acquisto di quello stesso paese, che era uno dei suoi clienti migliori, ed ha chiuso quasi del tutto all'esportazione dei suoi prodotti un grande numero di altri mercati, sui quali finora essa aveva potuto mantenere il suo predominio. Se la Germania, almeno temporaneamente, ha dovuto rinunciare alla sua mÌnacciosa politica di espansione, la guerra ha ~ontribuito ad accelerare la trasformazione industriale di molti concorrenti minori (del Giappone in primissima linea); ma sopratutto essa hà determinato il rapido e imponente trionfo degli Stati Uniti, i quali non solo strappano alla vecchia rivale il primato in quasi tutti i campi dell'attività economica, ma riescono, per molti lati, a lasciarla a grande distanza. Pochissime cifre bastano a dare un'idea della enorme superiorità che essi si sono assicurati: gli Stati Uniti han prodotto, nel 1925, 530 milioni di tonnellate di carbone e ne hanno consumati 520: la Gran Bretagna, su 248 milioni prodotti, non ne ha consumati che 180. Ma infinitamente più disastroso · è il confronto per le altre 2 fonti, modernissime, .di energia: di petrolio la Gran Bretagna non ne produce affatto, mentre gli Stati Uniti han potuto triplicare in un decennio la loro produzione, rag· giungendo nel 1925 la cifra enorme di 106 milioni di tonnellat~ (su 148 prodotte in tutto il mondo) e destinandone 90 milioni al consumo interno; nè meno schiacciante è il confronto per l'energia elettrica, di cui il Regno Unito ha una produzione poco più che insignificante, mentre gli Stati Uniti dispongono di 8 milioni di kilowatt installati (su 26 milioni disponibili in tutto il mondo). Se da questi del consumo di energia, che sono gli indici più significatici per un paese ...industriale, passiamo a quelli di alcune delle cosidette industrie chiavi, incontriamo sempre la stessa superiorità : la produzione dell'acciaio, di 45 milioni di tonnellate negli Stati Uniti, non è stata che di 7,5 milioni nella Gran Bretagna. Fra le industrie tessili, gli Stati Uniti non solo han lasciato ad enorme distanza tutte le altre potenze del mondo, almeno per la quantità, nella tessitura della seta naturale e artificiale, ma nell'industria stessa del cotone, in cui il primato dell'Inghilterra fino a pochi anni fa non sembrava nemmeno d~scutihile, essi sono riusciti a superarla almeno per la quantità della materia greggia consumata dalle loro filature. Biblioteca Gino Bianco

220 LA CRITICA POLITICA L'enumerazione potrebbe continuare, mettendo in evidenza l'enorme superiorità dell'industria automobilistica americana e di molti alb·i rami del1' industria meccanica; ma basterà notare, come conclusione, che la conseguenza di una così rapida espansione si manifesta nella mutata situazione degli Stati Uniti nei loro rapporti con le grandi potenze capitalistiche di Europa; mentre nel 191O si calcolava che essi fossero debitori verso l' estero per almeno 30 miliardi di lire oro, attualmente i loro crediti non devono essere inferiori ai 60 miliardi ( 1) . Conseguenza fatale di questa mutata situazione dei mercati è la forte diminuzione nelle esportazioni dei manufatti inglesi, e la contrazione che ne è derivata nell'attività di molte fra le sue industrie. Senza parlare della crisi, troppo nota, dell'industria mineraria, basta ricordare che gli operai cotonieri inglesi sono obbligati da 5 anni alla giornata di lavoro ridotta (30 ore settimanali invece di 44), e che in altre industrie, dove non si può adottare il regime del lavoro ridotto, la disoccupazione imperversa, mantenendosi intorno ad una media giornaliera di 1.20 0.000 disoccupati, superiore di circa 800.00 alla media dell'anteguerra. I colori del quadro pos~ono sembrare troppo neri quando si osservi la meravigliosa solidità finanziaria rivelata dal Regno Unito, che in pochi anni ha potuto risanare il suo bilancio, iniziare il pagamento del debito ve~so gli Stati Uniti, e ritornare alla valuta aurea; e quando si tenga presente che la marina, massimo fattore della potenza mondiale dell'Inghilterra, conserva tutta la sua attività ed il suo antico primato. Ma nonostante tutto ciò e nonostante altri segni di forza e di solidità dell'economia inglese, il fatto che la sua industria non sia riuscita, dopo 8 anni, a riconquistare le antiche posizioni e che essa abbia anzi seguitato a perdere terreno di fronte a vecchi e nuovi rivali, giustifica le preoccupazioni sullo àvvenire economico dell'Inghilterra, che sarebbe poi minacciato in forma anche più grave e definitiva da un probabile spostamento del centro dei traffici mondiali dal Mare del Nord verso la riva opposta dell'Atlantico. Se queste previsioni pessimistiche. dovessero avverarsi, potrebbe ripetersi per la Gran Bretagna nel secolo XX, quello che è avvenuto per Ve- ( 1) Ricavo la maggior parte di queste cifre dalle ottime Prospetti11e economiche per il /926, in cui GlORGtO MORTARA continua e perfeziona il suo prezioso e riuscitissimo ten• tativo d( inquadrare le noti-zie sulle condizioni economiche dell'Italia nel disegno più vasto della situazione economica mondiale. La lettura dei volumi del Mortara dovrebbe essere la miglior cura profilattica contro la malattia del provincialismo, gretto e miope, di cui ancora soffriamo, e contro certi sogni di indipendenza e di isolamento economico, in cui sembra fatale che dobbiamo periodicamente ricadere. Biblioteca Gino Bianco

LA CRISI ECONOMICA INGLESE 2 21 nezia nel sec. XVI e per l'Olanda nel sec. XVIII: eh' essa cioè conservi la sua grande rie chezza, che seguiti ad essere una grande potenza finanziaria, ma che perda ogni forza di espansione, che non sappia più trasfor- . marsi e seguire il passo delle altre potenze, che ormai la precedono o minacciano di precederla sulle vie delle nuove conquiste economiche. Che la Gran Bretagna si trovi a questo punto critico della sua evoIuzione, sembrerebbero confermarlo il suo ritorno al protezionismo doganale e la propaganda che si è andata intensificando per il richiamo dei capitali e della mano d'opera ali' agricoltura. Se il protezionismo è soltanto un espediente temporaneo, inteso a permettere ad alcune industrie di superare la crisi ed agguerrirsi per la conquista di nuovi mercati, può darsi che esso non rappresenti che una semplice sosta nello sviluppo economico dell'Inghilterra. Ma se esso dovesse diventare stabile e sistematico, se esso, completato dal ritorno dei capitali e della mano d'opera alla terra, dovesse condurre ad un nuovo equilibrio economico, per cui le industrie mirassero sopratutto ad assicurarsi il mercato nazionale e l'aumentata produzione agricola riducesse a proporzioni assai modeste la necessità delle esportazioni industriali, in tal caso si potrebbe concludere che il periodo della grande espansione britannica è chiuso definitivamente e che si prepara per essa un destino non molto diverso da quello dell'Olanda. Ma vi è un punto su cui la situazione dell'Inghilterra si differenzia da quella di tutte le altre potenze che l'han preceduta sulla via del ·primato e della decadenza mercantile e industriale ed è quello della situazione demografica profondamente diversa. Anche prescindendo dal fatto che nella storia non si ricordano esempi di grandi esodi della popolazione dalla città verso la campagna per ritornare dal lavoro industriale a quello dei campi, non vi ha dubbio che, per quanti sforzi possa fa re l'agricoltura inglese, essa non riuscirà ad alimentare che una metà o poco più dell'attuale popolazione dell'isola. Perciò il nuovo equili~rio, a cui abbiamo accennato, non si potrebbe raggiungere che a due condizioni : o che la massa operaia, in buona parte costituita da operai specializzati, si adattasse ad abbassare, fino ai limiti della miseria più squallida, il proprio tenore di vita, oppure eh' essa riprendesse, in vastissime proporzioni, la via dell'emigrazione. Lo sciopero dei minatori e lo sciopero generale dimostrano chiaramente che la classe operaia non intende seguire nè l'una nè l'altra delle due vie, ma intende fare ogni sforzo per mantenere l'antica situazione. In questa netta manifestazione della sua volontà noi vediamo appunto la grande ibliote a Gino Bianco

222 LA CRITICA POLITICA importanza storica di quel movimento. Poichè infatti non è possibile che milioni d'operai seguitino a vivere per molti anni dei sussidi governativi, poichè è assurdo che le industrie esportatrici seguitino a conservare il dominio del mercato mondiale in virtù di dazi e di premi, la ferma volontà della classe operaia di non essere sacrificata costituirà l'ostacolo insuperabile allo stabilimento di un nuovo equilibrio, che a quel sacrificio dovrebbe inevitabilmente condurre, e lo stimolo più poderoso per indurre governanti e capitalisti a cercare ogni via per trasformare l'industria e per renderla adatta alla rinnovata conquista dei mercati. Se lo stimolo riuscirà efficace nessuno può oggi prevederlo; ma è certo che in esso si deve vedere l'unica forza che possa spingere l' economia inglese a conservare l'antica forza di espansione. G. LUZZATTO RURALI E PODESTA' Quando sei mesi addietro, per i primi, segnalammo nell'ingresso dei rurali il fatto nuovo, imp<:>rtantissimoe pieno di conseguenze, della vita pubblica europea, non potevamo sospettare che a così breve distanza di tempo ai rurali sarebbero andate, come vanno in questi giorni, tutte la parole di ammirazione, di solidarietà, di esaltazione degli uomini del governo e del partito. « L'Italia è rurale e il suo avvenire fè nell'agricoltura » : finalmente I La cosa ci fa piacere anche perchè siamo convinti che la valorizzazione dei rurali, comunque e da chiunque si compia, sarà destinata ad avere risultati politicamente utili per il nostro paese. Sol che chiunque (governo, partiti o uomini politici) vorrà trarre profitto dalle forze rurali, che si affacciano solo ora alla vita pubblica ma che presto o tardi si faranno valere con tutto il loro peso, deve molto preoccuparsi di penetrarne lo spirito, d'intenderne gli interessi, di assecondarne le tendenze e le aspirazioni. Altrimenti - per riferirci ad un apologo molto noto - la biscia.•• si rivolterà contro il ciarlatano. Non sappiamo se il direttore del Popolo d'Italia, occupandosi tempo addietro dei rurali e dei podestà nei Comuni, avesse presente quel che il nostro diret- ' tore ebbe a scrivere su « i rurali e lo Stato ». E comunque importante che egli abbia avvertito una verità che non sembra sia stata sempre tenuta presente, specie in occasione di recenti provvedimenti: che cioè i contadini ripugnano da tutto ciò che è spirito d'imposizione rigida e pedantesca. Di qui la sua vivissima raccomandazione ai Podestà di non comprimere od umiliare le vergini forze dei rurali, di non essere in mezzo ad essi col bastone del comando, ma di aiutarli invece ad aprire il loro animo, d'intendere i loro bisogni. Insomma il direttore del Popolo d'Italia ha qualche preoccupazione per la istituzione dei Podestà che riguarda appunto la total.ità dei Comuni rurali. E non a torto I Noi diciamo che sono, le sue, preoccupazioni giutificatissime, quanto mai. Bibfioteca Gino Bianco

Il vecchìo ed il nuovo nell'azione pòlitica (:Breve coda ad un articolo molto chiaro) Un amico di « Critica Politica» mi ha diretto. una lettera a proposito di quanto ebbi scrivere nell •articolo « La sconfitta dei Partiti » pubblicato nel numero passato. Mi domanda, con particolare riferimento al partito repubblicano, nel quale milita egli pure : cosa è che tu vuoi? Cosa si dovrebbe fare? Quali le tue proposte pratiche? In sostanza - mi osserva - le tue critiche, giuste, giustissime, che abbiamo volentieri sottoscritto, valgono meno che nulla, se tu non dici anche cosa, in pratica, si potrebbe e si dovrebbe fare. Fuori il rimedio, insomma I Non ho nessuna difficoltà a rispondergli, pubblicamente come egli desidera. Anche l'ammalato al medico non chiede la diagnosi. Ciò .non toglie che l'ufficio del medico sia importante e le sue qualità si vedano, non già nella indicazione del rimedio quanto invece nella sua capacità a fare la diagnosi del male, a stabilirne la natura e le cause. Stabilite del male le cause e la natura si può pure trovare il rimedio e se non il rimedio assoluto (vi sono malattie inguaribili) il rimedio relativo, ossia la medicina che agevoli la risoluzione del male o che, per lo meno, ne attenui la gravità ritardandone le conseguenze. E a questo punto il medico poco ha da inventare o da ricercare : gli basta consultare un qualunque ricettario. Per la cura delle malattie politiche ricettari belli e formati, purtroppo non esistono, nè io mi propongo di fabbricarne. Capisco che ciò sarebbe molto comodo, specie << per le masse che anelano ad essere dirette » e per quei dirigenti che non sapessero altrimenti come dirigere, ma credo che sarebbe senza nessuna efficacia. Intanto io non mi riconosco l'autorità o anche solo il dovere di dettare le regole da seguire. Del resto non ho nel mio partito alcuna carica direttiva che me lo imponga, nè potrei essere chiamato ad assumerne per ragioni che è_meglio I.asciare da parte. Se poi avessi una carica direttiva ecco quel che farei: trarrei, nella mia linea di condotta, norma dalle convinzioni che mi sono formato sulle deficienze e sugli errori della politica seguita nel passato, dal nostro come dagli altri partiti. Giacchè non è vero che quegli scritti miei non avessero e non abbiano una conclusione e che non siano sufficientemente chiari. Al contrario f Nella azione politica pratica poi essere convinti di una cosa piuttosto che di un'altra ha una grande importanza. È anzi il fatto che esista o meno una data convinzione che determina una azione piuttosto che un•altra, e non già gli « ordini del giorno » i quali cont~no meno che nulla, specialmente quando non sono usciti da una convinzione radicata e diffusa. Ma bisogna che quella convinzione ci sia. Bibliotec~ Gino Bianco

224 LA CRITICA POLITICA ========================-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=--=-=--==-~...::::- A darne la dimostrazione pratica basteranno alcuni esempi : Una organizzazione politica la quale ad un dato momento si sia sul serio convinta che in una certa organizzazione politica non solo non ci sia più niente da fare ma che essa stia diventando dannosa, non esiterà un momento solo a romperla. Se invece tergiverserà e temporeggierà vuol dire che quella convinzione non l'ha. Se poi contribuisse in qualche modo a prolungarla si renderebbe, in certo modo, partecipe e responsabile dell'ulteriore male che quella situazione avrà potuto fare. Una organizzazione politica la quale sia convinta che· la funzione politica della rappresentanza parlamentare sia esaurita, potrà anche non rinunziare (ai fini delle «immunità» e dei « viaggi gratuiti.») ai suoi mandanti, ma farà tutto come se tale funzione fosse effettivamente finita. Non adoprerà più il suo gruppo in funzione politica : non lo convocherà e non lo farà muoverere in quanto tale. Nella sua stessa organizzazione interna conoscerà degli iscritti, non già dei deputati. Una organizzazione che fosse convinta che la disfatta dei vecchi partiti sia dovuta alle cause, che io, modestamente, ho cercato di diagnosticare rinunzierà in modo definitivo a ristabilire con quei partiti, sia pure con una parte di quelli, rapporti ed intese per azioni comuni: penserà insomma ad altro, regolerà diversamente la sua condotta. Ma se tale convinzione non ha ricadrà senza fallo nelle illusioni e negli errori del passato. E se poi la convinzione ~on c'è, sarà del tutto inutile volerla fabbricare con un ordine del giorno. Una organizzazione la quale sia persuasa che la questione politica istituzionale va posta al primo piano, punterà intanto i piedi risolutamente ed esclusivamente su quella e non andrà proprio ora a sollevare - nel proprio e nel1'altrui campo - altre questioni che, per quanto importanti, sono meno attuali e possono essere argomento di dissensi e di divisioni interne e di diffidenze fuori. Una organizzazione che non voglia rimanere confinata fuori della realtà, cercherà, infine, nella realtà stessa i mezzi e le forze per operare. Ma per trovare gli uni e le altre deve avere anzitutto formato in tal senso, favorevolmente, la propria mentalità e il proprio spirito. 1 miei scritti sui rurali possono valere come una indicazione. Per me i rurali sono la grande forza dell'avvenire. Ne sono convinti gli stessi bolscevichi russi (ai quali il senso della realtà non manca, come hanno dimostrato) che stanno estendendo ovunque le file della loro penetrazione nelle campagne, in Italia come altrove. Ma se quell'organizzazione politica non è orientata in tal senso, se la sua opinione sul valore politico e sociale dei rurali resta quella che un giovanissimo ha potuto manifestare sulla « Voce » , e che purtroppo è quella di una parte dei repubblicani, allora sarà inutile pensare che essa possa come che sia conseguire in mezzo ad essi risultati utili. Una organizzazione, infine, che è venuta formando la propria struttura interna in vista di necessità elettorali e possibilità di azione, di riunione e di pubblico dibattito che oggi :aon esistono più, si condannerebbe semplicemente alla nazione, o a qualche cosa di molto simile, se si ostinasse a conservare il suo vecchio sistema di organizzazione e le pratiche ad esso inerenti. Essere convinti ·Biblioteca Gino Bianco

IL VECCHIO E IL NUOVO NELL'AZIONE POLITICA 225 di ciò, ma intimamente convinti nel senso di non sentirsi disposti a rendersi prigionieri delle consuetudini e della pratica acquisita, è già risolvere a tale riguardo. E a questo punto chiudo colle esemplificazioni che tuttavia potrebbero continuare. Il nuovo al quale io ho inteso sempre di riferirmi non è insomma, in una serie di proposte ordinatamente elencate in un ordine del giorno da approvare o da respingere con regolare votazi~ne; è, ripeto, nello spirito, nello stato d'animo, nella mentalità di chi dirige e di chi deve seguire. Se lo spirito. è legato al passato ·anche l'opera ripeterà inutilmente il passato. lo cerco da mia parte di lavorare a mutare lo spirito e· la mentalità. E mi sembra che, praticamente, sia già qualche cosa. OLIVIERO ZUCCARINI PAROLE DI SAGGEZZA {Messaggied onori) Messaggi, pensieri, fotografie, dediche : c• è chi nel campo fascista incomincia a manifestare per tutto ciò un certo senso di fastidio. Si osserva che sarebbe proprio il caso di far punto fermo. E, veramente, non a torto. Appunto in un giornale oggi fascista, anzi nazionalista, (La Tribuna) poteva leggersi il 6 corrente a tale riguardo una nota vivace e, a nostro modo di vedere, piena di verità e di saggezza, contro una delle forme retoriche maggiormente in uso. · « Il messaggio - scriveva il giornale fascista - è come il manifesto : discende per li rami giù giù attraverso le gerarchie intermedie fino al modesto segretario che si crede in diritto di moltiplicare questa mediocre letteratura fatta generalmente di rimasticature e di luoghi comuni. < In ogni ricorrenza infatti le cronache sono piene di tali saggi di più o men? bello scrivere. « E nell'annuale dei fasci, come per la nascita di Mazzini, nel giorno dello Statuto come per l'onomastico di un segretario federale, le pagine dei giornali ospitano a centinaia proclami e saluti di illustri incogniti che recano così un efficace contributo alla storia politica dell'Italia. e Ma noi crediamo sia perfettamente superfluo che un medio o un piccolo gerarca fascista esprima la sua opinione su questo o quell'avvenimento una ventina di volte all'anno: come pure riteniamo che, ad esempio, un nuovo giornale o una nuova rivista (ve ne sono già tante, ma ne nascono ancora 1) non abbia affatto bisogno per affermarsi al pubblico di quella serie di pensierini buttati giù in fretta tanto per levarsi di torno un rompiscatole e corredati delle relative fotografie di uomini alcuni ilfustri, alcuni no ». Occorre abbandonare - afferma il giornale fascista - questo genere tronfio e vuoto « che trasforma spesso i giornali e· le riviste di cui sopra in una vetrina di esibizioni personali rendendoli assai simili a certi fogli di un tempo che uscivano in periodo ~elettorale ad uso dei candidati a corto di altri buoni argomenti e smaniosi di pubblicità ». Genere di pessimo gusto in- , tanto - secondo il giornale fascista - e niente affatto educativo. D'accordo. E quel che pensiamo anche noi. Biblioteca Gino Bianco

La situazione finanziaria e i pericoli di uri ottimismo eccessivo Colle limitazioni alla libertà di stampa hanno preso particolare sviluppo le Agenzie di notizie. Purtroppo queste Agenzie, molte delle quali si danno una certa aria di ufficiosità, rendono spesso cattivi servizi al Governo e ali' opinione pubblica italiana. E ciò alle volte quando, per troppo zelo, credono di rendere un servizio. Così, per esempio, con certi comunicati ultra ottimistici diramati da certe Agenzie intorno alle condizioni della finanza e della economia pubblica in Italia, che mentre nel pubblico possono determinare uno stato d'animo facile alle depressioni e allo scoraggiamento appena si avverta una realtà diversa o si presentino delle difficoltà, negli osservatori (tanto peggio se stranieri) danno l'impressione che certi problemi gravi e complessi e oggi preoccupanti per tutti gli Stati siano trattati da noi troppo leggermente. Qualche tempo fa ha fatto largamente il giro dei giornali un comunicato dell'Agenzia romana «Volta», nel quale erano portati alle stelle i risultati della finanza italiana : 668 milioni di lire di avanzo, cioè di eccedenza delle entrate sulle spese effettive dello Stato per i primi 1O mesi del bilancio 1925-26, che si chiuderà il 30 giugno corrente. A fare meglio apparire codesto « miracolo finanziario », il comunicato in questione riportava anche il seguente specchietto di confronto coi risultati definitivi dei quattro precedenti esercizi: Esercizio 1921-22 )) 1922-23 » » 1923-24 1924-25 Disavanzo 16 miliardi di lire » 3 » » » » Avanzo 417 )} » » e ricordava che il massimo avanzo registrato nel bilancio italiano sotto il passato ·regime, dal 1862 al 1924-25, fu quello di 99 milioni di lire del- . l'esercizio 1902-03, che « al cambio dell'oro non arrivano a 500 milioni di lire attuali » • Nella sua esposizione finanziaria fatta il 3 giugno corrente alla Camera dei Deputati, il Ministro delle Finanze, Conte Volpi di Misurata,. Biblioteca Gino Bianco

LA SITUAZIONE FINANZIARIA E I PERICOLI DI UN OTTIMISMO ECCESSIVO 227 • ma con un tono più misurato, confermav~ quest~ avanzo imponente di 668 milioni di lire al 30 aprile u. s., « in confronto di 582 milioni del precedente mese di marzo, ed in confronto di un deficit di circa 226 milioni del1' aprile 1925 ». . Sui 40 milioni e mezzo di Italiani che oggi vivono in ltalià saranno, a mettere grosso, alcune migliaia quelli che hanno il modo di controllare direttamente la realtà di questo avanzo nel Conto riassuntivo del Tesoro al 30 aprile 1926, che con lodevole sollecitudine il Ministero delle Finanze ha pubblicato in un supplemento della « Gazzetta Ufficiale » del 20 mag- . gto u. s. In un certo senso, il compilatore del comunicato dell'Agenzia « Volta » potrebbe dire che egli si è limitato a copiare questo avanzo di 668 milioni di lire da una delle tabelle di cui consiste il citato documento ufficiale. Il Ministro, però, pure confermando l'avanzo di 668 milioni, ha avuto l'avvertenza e la preoccup~ione, di riconoscere per la verità che a determinare un simile avanzo « ha giocato favorevolmente l'economia sulla spesa prevista pei debiti stranieri ». . Le cose stanno effettivamente nel modo che risulta da alcune note apposte al Conto riassuntivo del Tesoro al 30 aprile 1926, che, evidentemente, l'affrettato compilatore del comunicato dell'Agenzia « Volta » non ha avuto il tempo di consultare, per non supporre che volontariamente abbia trascurato di tenerne conto. Nei precedenti esercizi finanzari, il Governo attuale aveva, con ençomiabile previdenza, stanziato tra la spese effettive dello Stato una somma annua di un miliardo e 190 milioni di lire in conto del servizio degli interessi e dell'ammortamento de_id~biti di guerra verso gli Stati-Uniti e la Gran-Bretagna. Tale spesa di fatti non avveniva, ed alla fine di ogni esercizio essa passava.-..,ineconomia, in aumento del fondo di cassa del Tesoro ed in diminuzione del debito generale dello Stato. Il detto stanziamento di Lire 1.190.000.000 era pure stato riportatò nella previsione delle spese effettive dello Stato per l'esercizio finanziarioin corso 1925-26, e ad esso corrispondeva una somma di 290 milioni di lire nelle entrate effettive, per proventi previsti delle riparazioni di guerra pagate dalla Germania in esecuzione del ·piano Dawes. Dopo 1·accordo coi Governi americano e britannico per il regolamento dei debiti di guerra, si è creduto opportuno dal Tesoro italiano di istituire a tale scopo un apposita Cassa di ammortamento con contabilità distinta e separata da quella generale dello Stato. I Biblioteca Gino Bianco

• 228 LA CRITICA POLITICA E così, nel mese di marzo 1926, è stata modificata la contabilità dello Stato per quello che riguarda l'esercizio finanziario in corso, trasferendo alla nuova Cassa di ammortamento da una parte la spesa già accennata di un miliardo e 190 milioni di lire, e dall'altra parte questa entrata prevista di 190 milioni di lire. Non è qui il caso di discutere i calcoli, del resto non ancora resi di pubblica ragione, per cui gli attuari del Tesoro italiano hanno potuto determinare il funzionamento della nuova Cassa in modo da essere convinti che essa potrà fare fronte agli impegni assunti dal Governo italiano verso gli Stati--Uniti e la Gran--Bretagna, alimentandosi colle sole risorse delle riparazioni tedesche nella fondata fiducia che esse abbiano da crescere notevolmente nei prossimi anni. Quello che qui importa notare è che le previsioni dell'esercizio finanziario in corso 1925-26 sono state per effetto della variazione contabile effettuata lo scorso marzo diminuite di un miliardo e 190 milioni di lire nella spesa effettiva, in modo che ne risulta un miglioramento contabile, come ha riconosciuto lo stesso Ministro nel suo discorso a1la Camera dei deputati, di 900 milioni di lire, di cui occorre tenere conto nel determinare l'avanzo dei primi . 1O mesi dell'esercizio. " E ovvio di fatti che, se la mutazione di contabilità non avesse avuto luogo, nella situazione del bilancio al 30 aprile 1926, invece di un avanzo di 668 milioni di lire, si sarebbe dovuto registrare un deficit, o disavanzo di 232 milioni di lire, la differenza cioè fra codesta cifra di 668 milioni e quella di 900 milioni di lire al netto di spese effettive diminuite per l' inero esercizio 1925-26. Ma il conto riassuntivo del Tesoro al 30 aprile 1926, e la stessa esposizione finanziaria del Ministro Volpi rivelano anche un lato molto preoccupante del nostro bilancio, sul quale i comunicati delle Agenzie ufficiose tacciono completamente. Intendo parlare della rapida progressione delle spese effettive dello Stato, le quali nei primi dieci mesi dell'esercizio finanziario in corso risultano aumentate col mezzo di decreti reali di ben 3 miliardi 278 milioni · di lire, così ripartite tra i vari Ministeri : Milioni di lire Finanze . . . . . . . . . . . . . 1 5 36 Giustizia . . . . . . . . . . . . 82 Affari esteri . . . . . . . . . . . 67 Colonie . . . . . . . . . . . . . 97 Istruzione pubblica . . . . . . . . . 150 Biblioteca Gino Bianco

LA SITUAZIONE FINANZIARIA E I PERICOLI DI UN OTTIMISMO ECCESSIVO 229 Interno . . . . . . . . . . . . . Lavori pubblici . . . . . . . . , . Comunicazioni . . . . . . . . . . . Guerra . . , . . . . . . . • . . . Marina . Aeronautica • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Economia nazionale . • • • • • • • • 310 143 32 598 92 104 67 Totale . • • • • . .3278 Ci sarebbero da fare su questo argomento considerazioni di carattere finanziario e politico, che val meglio lasciare da parte. Ci sia solo permesso di esprimere la speranza che nei Ministeri dello Stato non siano stati del tutto dimenticati e cancellati i solenni ammonimenti che l' on. Mussolini aveva con tanto vigore proclamati nella memorabile cerimonia celebrata il giorno 7 marzo 1923 al Ministero delle Finanze, quando alla direzione di questo era l' on. De Stefani, dicendo fra le altre . . ' queste coraggiose ver1ta : « ••• Bisogna portare nel nostro spirito un senso di severità assoluta. Bisogna considerare che il denaro dell'erario è sacro sopra ogni altra cosa. Esso non piove dal cielo, e non può essere nemmeno fatto col giro del torchio, che, se potessi, io vorrei spezzare. ' « E tratto dal sudore e, si può dire, dal sangue del popolo italiano, che lavora oggi, che lavorerà di più domani. Ogni lira, ogni soldo, ogni centesimo di questo denaro deve essere considerato sacro, e non deve essere speso, se non quando ragioni di stretta e documentata nece5sità lo im-- pongano ». « La storia dei popoli dice che la severa finanza ha condotto le nazioni alla salvezza. Penso che ognuno di voi sia partecipe di questa verità ampiamente documentata dalla storia... » { 1)• Sarebbe anche desiderabile che nella pubblicazione mensile del Conto riassuntivo del Tesoro fossero meglio specificate e chiarite alcune impostazioni di cifre, le quali hanno negli ultimi mesi avuto degli sviluppi molto grandi, che non appaiono per nulla spiegati. Ad es., mentre il Ministro delle Finanze si è dato il vanto di. avere,. come di fatti risulta da una delle tabelle dell'ultimo Conto riassuntivo del Tesoro, diminuito la circolazione totale dei biglietti dello Stato e delle Banche di emissione di oltre un miliardo di lire dal 30 giugno I925 al 30 aprile 1926 ( esattamente da miliardi 21 e I 17 milioni a miliardi 19 (1) Testo del discorso pubblicato nel « Popolo d'Italia » dell'8 marzo 1924. Biblioteca Gino Bianco

230 LA CRITICA POLITICA e 998 milioni), in un'altra tabella è documentato che l'ammontare complessivo dei vaglia del Tesoro, i quali, in un certo senso e per determinati usi, sono dei sostitutivi della carta moneta, si è accresciuto nello stesso periodo di oltre 7 miliardi di lire. Non vi è dubbio che una parte di questa cifra aumentata in misura così cospicua, alla quale corrisponde un aumento di poco inferiore nei co· sidetti « Crediti del Contabile del portafoglio per pagamento all'estero per conto di diversi Ministeri e per operazioni finanziarie e di tesoreria », è costituita da scritturazioni di ordine puramente interno, specialmente in rap· porto colle operazioni relative ai debiti esteri ed a quelle molto rilevanti che il Tesoro fa ogni giorno per regolare il mercato dei cambii, per modo che si può sperare che la maggior parte dei vaglia del Tesoro così aumentati non esca fuori delle casse dello Stato e delle Amministrazioni che ne dipendono, e quindi non abbia da essere computata in aggiunta alla circolazione monetaria agli effetti inflazionistici da questa esercitati. Ma si comprende che cifre così ingenti stampate nelle tabelle dei nostri Conti del Tesoro senza alcuna nota giustificativa non siano fatte per consolidare ali' interno, ed all'estero, l'assoluta fiducia... nei comunicati, con cui troppo zelanti Agenzie dipingono, in regime di stampa severamente controllata, le condizioni della nostra finanza statale. Che importa, intanto, che i colori adoperati siano i più rosei quando poi si nuoce, col fatto stesso di adoperarli, al credito e alla considerazione del Paese ? EDOARDO GIRETTI P, S; Mentre questo articolo sta per essere impaginato, la «: Gazzetta Ufficiale> ha pubblicato il decreto-legge del 5 corrente mese, col quale e è data facoltà al Governo del Re di destinare, prima della chiusura definitiva dell'esercizio finanziario 1925-26 ed in conto delle competenze medesime, non oltre i 3/4 dell'avanzo effettivo Fer provvedere a spefe aventi per fine la ricostruzione economica e la difesa militare della Nazione ». A questo modo, anche contabilmente, l'avanzo, che sarà accertato a fine dell'esercizio 1925-26, cesserà per 3i4 di essere un ... avanzo, per diventare una spesa effettiva, che non era stata calcolata nel bilancio di previsione 1925-26, ma che si è dovuta aggiungere in seguito. La ricostruzione economica e la difesa militare dell~ Nazione sono per eccellenza funzioni alle quali lo Stato deve provvedere coi suoi mezzi normali di bilancio. Si può discutere sulla misura e sulla forma di queste spese, ma non sulla loro natura e necessità. E. G. La migliorepropaganda, presso gli indifferenti e presso gli avversari,sifa facendo conoscere e diffondendo ovunque la nostra rivista. Biblioteca Gino Bianco

• Orientamenti conservatori e depressione industriale Da qualche mese gli indizi di malessere economico si vanno facendo più frequenti e più acuti. Esso si annunzia, naturalmente, come iniziale disagio delle industrie.. Le industrie sono la zona più sensibile della piramide dell'economia, di cui costituiscono come il vertice oscillante. A differenza dell'agricoltura, che riposa su dati naturali lentamente modificabili, l'attività industriale è emanazione diretta di mobili fattori individuali. Nei due o tre anni scorsi essa, agevolata da questi elastici elementi umani, ha potuto dar prova di vivacissimi incrementi. La maggior parrte delle industrie ha lavorato in pieno. Ma ciò potrebbe contar anche poco. Una impresa, cioè un'associazione di uomini può essere in completa e ordinata attività, senza che, perciò, essa sia un'impresa economicamente organizzata e redditizia. Il grande valore che noi abbiamo attribuito a questo fatto, puramente estrinseco, della piena attività industriale può indicare un'altra cosa: che il giudizio del paese era fondato più su criteri di formale disciplina sociale, che di sostanziale produttività. Era un giudizio, si potrebbe dire, di natura più militare che economico, e, in questo senso, attestava dell'arretratezza, o, in ogni caso, della non pertinenza delle nostre valutazioni. In concreto, però, questa - formale disciplina delle fabbriche si accoppiava, in certa parte, ad una effettiva efficienza economica. Se non tutte le industrie, un buon numero di esse avevano anche felicemente risolto il problema finale ed essenziale di ogni attività economica : qualla degli sbocchi. I mercati esteri sono stati ottimi assorbitori àei nostri prodotti, sopratutto dei prodotti finiti, buoni per il consumo definitivo. Dall'altro canto il mercato interno ha ben funzionato. Esso funziona bene quando la domanda di prodotti di una industria agisce come uno sbocco per l'offerta d prodotti di un'altra industria, e questa attività circolare si è svolta con un bel ritmo rapido e intenso. Tirando le somme si può dunque dire : che, nel recente passato, la macchina economica aveva molto lavorato, e, anche, aveva ben lavorato. Ma a un certo momento, che è quello che attraversiamo, il profilo delle cose muta d'aspetto con notevole rapidità. Il mutamento era stato già preannunciato da parecchi mesi, dal persistente orientamento al ribasso dei titoli industriali in Borsa. È vero che tale ribasso, distribuito nel giro di molti mesi, non può essere qualificato di vera e propria crisi borsistica. Vero è anche che non sempre una crisi di borsa si accompagna ad una crisi delle industrie. Non si Biblioteca Gino Bianco

232 LA CRITICA POLITICA può negare, però, che i due movimenti procedono abitualmente nello stesso senso sia pure con diversa velocità, e che, quindi, il deprimersi dei corsi segnalava una almeno iniziale depressione dell'attività industriale. Passati, infatti, alcuni mesi, ecco che questa si annunzia con indizi, che, pur non essendo al... larmanti, non sono più dubbi. Le dichiarazioni ufficiali in questo senso sòno ormai abbondantissime, e, si potrebbe perfino pensare, esorbitanti. Ed esse hanno già conchiuso alla indicazione e alla invocazione dei rimedi, che sono classici in consimili situazioni. Tre vie sono state additate. La prima propugnata dal Governo, ente relativamente impersonale e disinteressato, riguarda la produzione. Date, cioè, le crescenti difficoltà di smerciare il prodotto, si invitano i produttori a ridurre i costi di produzione, mediante un migliore ordinamento tecnico della fabbrica: il tylorismo in tutte le sue forme. La seconda e la terza, adottata dai produttori stessi personalmente interessati, riguardano invece la circolazione dei prodotti: ovverosia il modo per vendere a più alto prezzo il prodotto, fabbricato a costi invariati. Il senatore Silvestri, in un suo articolo << Nubi ali' orizzonte» molto' discusso, ha avuto in vista principalmente gli sbocchi interni: egli ha concluso, naturalmente, per un inasprito protezionismo. Un altro grande industriale invece, il Borletti, ha puntato direttamente sul problema degli sbocchi esteri: e ha richiesto, copertamente ma inequivocabilmente,· un rinnovato inflazionismo monetario. Ed egli ha poi anche accennato alla possibilità, accolta da qualche grosso organo conservatore, di venire a una riduzione dei salari operai. Sarà soddisfatta anche questa richiesta? La risposta verrà data dal prossimo contegno, che assumeranno le Corporazioni Nazionali. Però la mancata realizzazione della Corporazione integrale, ossia la libertà d'azione riserbatasi dagli mprenditori, fa ritenere che qualche tentativo non imbelle di riduzione ci ' sara. Frattanto l'ulteriore protezionismo domandato dal Silvestri è in via di effettuazione: sono di ieri gli aumenti doganali per lo zucchero, per la carta, per le automobili e per la seta artificiale. Oggi che scriviamo, poi, i cambi sono· rapidamente, e alquanto inesplicabilmente, peggiorati. E si hanno, a darne, forse, una spiegazione, le dichiarazioni importantissime del ministro Volpi . Egli ha fatto sapere che non combatterà ad oltranza questo ribasso della lira: perchè, egli dice, comperando lire ad ogni costo, si verrebbe a far di comoda contropartita agli eventuali venditori al ribasso della lira. Ciò è vero. Ma così stando le cose, il peggioramento del cambio si consoliderà, ossia la lira si stabilizzerà al corso,, mettiamo, di 135 invece che di 120 alla sterlina. E, in questo modo, anche la richiesta del Borletti di un restaurato premio ali' esportazione, traverso il gioco dei cambi perdenti, potrebbe essere esaudita; con in più, last but noi le'ast, una indiretta, ma automatica diminuzione delle mercedi. *** Ora questa situazione, nel limiti in cui ha aspetto di crisi industriale, si sostanzia in un eccesso del ritmo della produzione sul ritmo del consumo, e si Biblioteca Gino Bianco

ORIENTAMENTI CONSERVATORI E DEPRESSIONE INDUSTRIALE 233 tratta quindi qui di comprendere quali siano le cause che hanno portato al lo squilibrio in questione. I Non le cause remote, generali e che, più o meno, operano in tutte le condizioni. È cosa nota che l'attività industriale procede a ondate: i periodi di slancio si alternano con quelli di contrazione. Essi sono come le due p areti di un mantice. e sono entrambe necessarie, in una economia individualistica , perchè il fatto della produzione e della circolazione si determini. La storia de lla crisi industriale è, infatti, una storia ormai due volte secolare. D'altronde l'economia postbellica di tutti i paesi d'Europa - della Russia solo si hanno poc he notizie ; e sarebbero proprio le più interessanti : perchè in quel paese non vige una . economia propriamente individualistica - ci presenta, poco o molto, l o stesso aspetto ciclico. E neanche le cause troppo vicine, immediate, aderenti al fatto stesso della crisi, e che, in un certo ~enso, vi ineriscono. La politica monetaria, ossia l'allargarsi e il restringersi della circolazione, ha, certo, un rileva ntissimo peso, e, anzi, in fin dei conti, è decisiva. Ma essa però, è alla mercè, o quasi, degli stessi ceti industriali dominanti, che sono anche quelli politicamen te predominanti. E non può quindi essere presa, essa che è la determinata, co me una delle cagioni determinanti di quel fatto complesso, di cui è essa stessa un aspetto. Lo stesso si dica della politica creditizia, tributaria, bancaria, dogana le, ecc. ecc. Anche tutte queste attività sono, in buona parte, regolate da quei gruppi produttori, che poi vengono a subire la crisi. Non è pertanto possibile imputar loro di essere la causa dei malanni venuti poi che ad un patto: di dire , cioè, che tutte quelle diverse politiche furono viziate dall' « errore » • Ma questa nozione di «errore» è, in economia, una nozione astratta e sradicata dalle forze collettive reali che agiscono, e che, come tutte le forze collettive, opera no con larghe dosi di irrazionalità. E qui tocchiamo il punto. ~Le cause dell a crisi. quelle almeno che è qui utile investigare, si trovano in una sfera di co se, che non è razionale, calcolata e utilitaria in senso stretto. Esse sono piutto sto, di natura irrazionale, impulsiva, volontaria, e operanti alla cima. Sono stati d 'animo generiche aspettative del futuro, tensione del volere ecc. ecc. dei gruppi sociali che comandano la produzione. È facile capire come queste disposizioni dello spirito di una intera classe siano strettamente subordinate alla situazione politica generale. Ora il fa scismo sulla base della sicurezza che ha dato alle classi possidenti e del din amismo propugnato in tutti i campi, ha fortemente inHuito sui ceti produttori. In questo senso, e sopratutto in questo senso, esso non ha tutti i torti di ritenersi un moto, o, almeno, un impulso rivoluzionario. Il successo politico delle classi lav oratrici aveva determinato quella energica propulsione verso il futuro, che si· chiamò massimalismo. Se una più solida vittoria avesse arriso alle classi operaie, molto probabilmente ci avrebbero mostrato anch'esse (naturalmente sulle loro proprie direttive : e cioè a incremento dei prodotti ·di consumo popolare) un grande slancio della produzione. L'industrialismo ad oltranza, praticato dalla nos tra borghesia respirante nell'atmosfera fascista, può essere definito come il suo massi- • Biblioteca Gino Bianco

234 LA CRITICA POLITICA malismo produttore. L'amore per il grandioso, la proiezione nel futuro, il desiderio di lasciar traccia di sè nelle cose, in un certo senso d'inclinazione alla gloria economica ecc. ecc,, sono semplici attitudini dello spirito. Ma esse, però, non tardano, quando sono favorite e incitate dalle circostanze, a tradursi nel mondo dell'economia e a determinarvi una particolare congiuntura. Gli impianti a utilizzazione illimitata, e cioè a realizzazione remota, sono la concretizzazione di questo spirito. Così pure le intraprese poste su un piede gigantesco, e pertanto aleatorie. Egualmente le iniziative che stanno fra l'economia e il fastoso, ossia fra l'economia e la politica, e che risentono in grado eguale di entrambe. In realtà anche il fascismo, come tutti i regimi, ha avl!to ed ha la sua particolare economia, ossia quella economia, che coincide con i gusti dei ceti, che in esso predominano. I reggimenti popolari inclinano a una economia sperperatrice a favore delle classi umili, i cui gusti non vanno molto oltre la casa e il cibo a buon mercato. Quelli conservatori, per quanto più facili a identificarsi con gli interessi futuri della collettività, lo fanno anch'essi, ma soltanto lo fanno conforme alle predilezioni degli strati di popolazione che più particolarmente essi esprimono. Entrambe queste economie, che in fondo sono parziali, sono assurde, di fronte a una economia pura, e cioè ipotetica. Sono, si direbbe « errori », tanto l'una quanto l'altra, e quindi la sola questione praticamente seria, che ci si può proporre, è quale delle due sia, a conti fatti, più costosa. Ma, se si vuol mettere in conto ai regimi conservatori la più larga preparazione alle eventualità guerresche, con tutto ciò che essa comporta di spese dirette, indirette e collaterali, propedeutiche ecc. ecc. la risposta non può lasciare ecc~ssivi dubbi. *** . E incontestabile che la molla ultima, ché ha dato movimento al fascismo, è da ritrovarsi nell'idea di nazione. Questa idea costituisce il suo fatto fondamentale e, nello stesso tempo, per naturale iperbole, la sua rettorica. Opposta- .mente a quanto si ritiene, però, è appunto la rettorica dei partiti quella che ne esprime, almeno subiettivamente, la più profonda verità. Ora che i partiti socialisti sono atterrati si vede bene se, alla fin dei conti, essi erano o non erano i partiti dei lavoratori. Nella stessa maniera il fascismo, avendo per sua idea centrale l'idea di nazione (che, per la logica dell'economia, è poi preminente sui ceti abbienti e conservatori) la ha trasmessa al dinamismo produttore eccitato ·nella borghesia. Esso non si è però risolto in una semplice agitazione indistinta, vacua e vagabonda, ma ha subito avuto alcune direttive precise, e i propri obiettivi ; e sono stati obiettivi a direttiva nazionalistica. La loro prima fase di sviluppo coincide con la presenza al governo del1'on. Destefani e potrebbe essere detta nazionalistico-liberista. .Il Destefani era e si proclamava, infatti, « tendenzialmente liberista», ma il suo liberismo era fortemente impregnato di spirito nazionalista. Questo vuol dire che egli concepiva gli scambi da paese a paese non come una occasione a transazioni equitative e mutuamente utili, m'a come un'occasione a sopraffare il contraente e a Biblioteca Gino Bianco

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