" DALLA COOP. COATTA ALLA COOP. LIBERA NELLA FABBRICA 281 Nelle trattative per porre termine agli scioperi, gli operai mettono come prima condizione che tutti gli scioperanti indistintamente siano riammessi nella fàbbrica, con le stesse funzioni che disimpegnavano prima: riesce agevole spiegarsi la richiesta, senza ricorrere alla generica solidarietà, pensando che gli operai sentono di formare un corpo collettivo. È stato detto che gli operai con questa domanda vengono a vantare un diritto al posto: e si è sostenuta la giuridicità della pretesa, dicendo che gli operai, mettendosi in isciopero, non manifestano la volontà di rompere i contratti co.n I' industriale, ma solo di modificarli, dal momento che si sono modificate alcune delle condizioni dei contratti anteriori (lavoro più intenso - maggior costo della vita - aumentata produttività dell'impresa). In molte sentenze probivirali è stata accolta questa tesi. Però sembra che gli non operai consiclerino il rapporto da questo punto di vista. In una intervista pubblicata dal Matin dell' 11 marzo 1907 un segretario del sindacato degli elettricisti parigini si esprimeva in modo da far pensare che gli operai considerino i loro rapporti giuridici con l'impresa in modo ben diverso : < Ma forse noi non siamo i comproprietari delle officine del signor Sartiaux? Non ci abbiamo noi incorporato il nostro lavoro? 1È una ricchezza che noi abbiamo contribuito a creare, a sviluppare>. Questo concetto, espresso meno chiaramente in altre dichiarazioni di operai, può essere riportato, se gli si vuol dare una base economica, alla attiva partecipazione degli operai al processo della produzione, accompagnata da questa coscienza di unità del corpo collettivo dei salariati anche fuori della fabbrica. La esclusione dal lavoro degli operai non sindacati, può in alcuni casi ricollegarsi a questo vincolo interno. Alle volte la esclusione stessa è un mezzo per assicurare il monopolio del lavoro a operai aventi certi requisiti: in Inghilterra alcune Trade Unions sono organizzazioni chiuse che ammet-- tono come soci solo operai che abbiano fatto per un determinato numero di anni un regolare apprendissaggio: operai tecnicamente capaci quanto gli organizzati non sono am1nessi nella unione, e vengono esclusi con questo mezzo dal lavoro qualificato. In questi casi non può parlarsi che di un monopolio e di un mezzo per mantenerlo. Ma quando l'organizzazione è aperta nel senso che non si richiedano per esservi ammessi nè proibitive tasse di ammissione, nè la prova di aver fatto per un determinato numero di anni l'apprendista in quel mestiere (è la regola generale in Francia e in Italia), l'esclusione dei non unionisti può avere un caratte,re del tutto diverso, ed essere connessa al vincolo interno tra gli operai di una stessa fabbrica. Nella fabbrica il lavoro viene generalmente eseguito da gruppi di operai: la produzione di ognuno di questi gruppi è tanto migliore quanto più grande è l'affiatamento fra gli operai che lo compongono. La presenza in uno di questi gruppi di un operaio non gradito dagli altri si risolve in un danno per la produzione. L' industriale esci udendo l'operaio non unionista, elimina una delle difficoltà di questo affiatamento. Nella fabbrica si ha una cooperazione: quanto più nell' interesse della produzione si richieda uno spontaneo accordo delle volontà degli operai per il ra-ggiungimento di un fine comune, tanto più la fabbrica si avvicina a una cooperativa di produzione, nella quale sarebbe inconcepibile l'ammissione di un operaio non gradito agli altri. iblioteca Gino Bianco
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