La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 36 - 17 settembre 1908
18 mente ferito, che spirò appena tratto entro la casa; Papazzoni che aveva ricevuto una palla al malleolo esterno e poi un colpo di baionetta alla schiena; Moruzzi, pavese, che soffriva atroci spasimi per una spaventosa ferita; la palla era entrata a metà della coscia destra e, girando posteriormente il corpo, era venuta ad appiattarsi sotto l'ascella sinistra. Fu necessario impiegare più di un'ora per trasportarlo fino alla casa, percorrendo tutt' al più venti metri di strada. Poi raccogliemmo Musetti, triestino, ferito alla gamba sinistra, con frattura dette ossa e lesione delle arte- rie; era quasi esanime per la grave perdita di sangue; lo con- fortai con rhum, mentre con bagni freddi procuravo scemare l'e- morragia. E così soccorremmo tutti gli altri, più o meno grave- mente feriti. Di Giovanni Cairoli, che si sapeva ferito, nessuna traccia. Tutta notte non feci che prestare quei servizi che potevo, aiutato da Febo e da altri. Così giunsero le tre circa del mattino. 24 Ottobre. — Intanto i compagni, radunati nella sala a piano terreno, attorno a un gran tavolo, tutto ingombro di armi, con- certavano sul da farsi. Rimanendo là era inutile pensare ad una resistenza: nella gior- nata il nemico avrebbe certo riattaccato e allora non si poteva a meno di rimanere tutti prigionieri senza, alcun vantaggio per la nostra causa. Il modo poi col quale saremmo stati trattati, non era dubbio per noi, perché sorpresi come briganti, colle armi alla mano, alle porte ai Roma. D'altra parte, che fare? Non si poteva pensare alla possibilità di uscire di là, uniti in drappello, poiché Il confine era lontano, e saremmo stati certo presi prima di rag- giungerlo. Il nostro capo naturale, mancando i Cairoli, era divenuto Ta- bacchi, il quale concluse che, in quegli estremi frangenti. ognu- no diventava libero di agire a suo modo. Venne allora stabilito di uscire alla spicciolata e di buttarci ove meglio fosse il caso di salvezza. Ci demmo convegno al primo posto ove si incontrasse Garibaldi, e poi a gruppi di tre, di quattro, si incominciò ad ab- bandonare la casa. Alcuni, sfiniti dalle marce e dalle fatiche del giorni antecedenti, dichiararono che non potevano seguirci e che sarebbero rimasti a custodire i feriti: e rimasero. Erano circa le sei del mattino quando, col dolore di dover stac- carmi dai poveri compagni feriti, uscii io pure da quella casa as- sieme a Febo, ad Angeli di Vicenza e a Chiap di Venezia. Ci get- tammo dalla parte opposta di Roma, attraverso la campagna ro- mana, colla speranza di riuscire a passare il confine e raggiun- gere il Generale Garibaldi
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