La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 9 - 12 marzo 1908
3' po' d'indugio, come se fosse stata in forse di dirmelo o non dirmelo. — Io non so se li ho imitati. Un uomo è un'altra cosa. Non è una fanciulla. Una fanciulla ha il dovere di andare al letto nuziale pura. Se mia madre si fosse trattenuta e avesse avuto più rispetto di se stessa io non sarei un ignoto. — Mi fai la morale e mi secca. Credevo di trovare un compagno che mi aiutasse a uscire dalla mia di- sgrazia e trovo un brontolone, anzi un ipocritone. Tu mi dici quello che non pensi. Tu sei caduto, io sono caduta. Ecco la morale. — Caduta, dove? — Non ti ho detto che sono una donna-? -- Ebbene? — Dovevo dirti che sono madre. Io non volevo credere. Non l'avevo mai veduta con alcuno. Le più belle ore di ozio le aveva consumate con noi. Ella si burla di me, dicevo mentalmente. E la guardavo e più la guardavo con gli occhi sul pancino e più mi convincevo ch'essa era pronta a diventare mia anche a rischio di una gravidanza. Me la strinsi per la prima volta fra le braccia, tirandomela vicina, premen- domela, dicendole fra un lungo bacio e l'altro che non stava bene a farmi tanta paura per dirmi che mi voleva bene. Ella mi lasciava fare abbassando lentamente le palpebre come sóprafatta dalla delizia, abbandonata alle mie mani che l'accarezzavano febbrilmente un po' dap- pertutto. Era mia. Voleva essere buona. Prendimi e fa di me quello che vuoi. Il mio corpo è tuo come la mia anima, pareva mi dicesse, allungando pigramente le mani al dorso per sentirmi tutto per lei con la bocca che baciava e si lasciava baciare come in un sogno. Avrei potuto rove- sciarla senza che ella facesse un tentativo pudibondo di respingermi e impadronirmene e portarmela nel mio let- tuccio come una sposa. Ma mi alzai indignato di me stesso, scotendomi la testa come per liberarmi della follia che stavo per commettere, respingendola brutalmente per farla uscire dall'ebbrezza in cui pareva assorbita.
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