La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 7 - 27 febbraio 1908

LA "NUOVA COMMEDIA UMANA,, A TEATRO 7:5) Fischi per un fiasco <> Un buon " Padre „ Credere e non credere, martedì scorso al Manzoni alla prima della Nellina di Roberto Bracco non volevano che si fischiasse. Intendiamoci bene; io non sono di quelli che zufolano come Vipere nel bosco, appena un passante le sfiora col piede; non sono di quelli che per un nonnulla, per ogni prete sporcaccione o per ogni onorevole camorrista, tirano fuori le chiavi di casa, o si cacciano in bocca le dita a forchetta, per sibilare quindici mi- nuti di seguito come vaporiere. Per niente! conosco le buone regole e so le norme del vivere civile; non ignoro Che il fischio è un'arine delicati, mordente e corrosiva da riservarsi per le grandi oc- casioni: per i Crispi dopo Abba Garima, per lo czar se avesse il toupet di scendere in Italia, o per Ottone Brentari — anche una riserva di uova fradicie per costui! il giorno che inten- desse ancora commemorare Garibaldi. In teatro, invece, il fischio non può essere che un'arma di reazione. Un pennarulo qualunque fa rappresentare una sua porcheriola in atti ed in scene; io mi annoio, e sto zitto; mi inquieto, e sto zitto, mi irrito e sto zitto; divento giallo come un mandarino, ma sto sempre zitto: Sto zitto perchè riconosco che se l'autore è una bertuccia, sono stato bestia la mia parte anch'io; all'ingresso del teatro non c'era la Sirena incantatrice ad invischiarmi e ci rosse anche stata, dovevo, come i compagni d'Ulisse, incerarmi gli orecchi, suggellarmi gli occhi e tirar diritto. Se invece ci sono cascato, mio danno. Sto dunque torvo e tranquillo, a gllia di leon quando si posa magari, o tutt'al più — se proprio la pièc& non mi squadra — cr.;110 la testa sconfortato come un magot di porcellana. Ma per lo spirito di Garithamo , Buddho, che non mi si strizzirli, che non mi si venga a pestare i calli, che non mi si facciano sberleffi sulla punta del asso! Perchè io sono come lo Scià dei due Orsi, buono, due volte buono, tremila volte buono, ma guai a toccarmi dentro, guai a sfiorarmi colla punta del mignolo, guai a fermarmi sopra gli occhi, allora divento una belva, una furia, un cataclisma; non vedo, non sento, non parlo, non ragiono altro.... Martedi sera, dunque,. lui ero trovato, a fatica, un posto di fianco in galleria, da dove sporgevo il capo in giù come un r olio nella stia quando adocchia il becchiine. Una battuta dopo l'altra. (facevano paese di novautasette secondi ogni parola quelle gioie d'attori!), una scena dopo l'altra, il primo atto finisce.

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