Quando il mercato internazionale è in crisi, e parallelamente i governi sono costretti a comprimere il mercato interno per contenere l'inflazione, l'economia italiana risente più pesantemente di questa situazione in quanto le misure restrittive sono assai più severe e le aziende non hanno la possibilità di riconvertirsi al mercato interno, che ovviamente è ancora più contratto rispetto ai momenti di espansione. Il risultato di questa struttura è quello descritto all'inizio: in pochi anni una parte considere;o le della ricchezza prodotta in Italia (capitale e lavoro) è emigrata all'estero senza nessuna contropartita, accentuando gli squilibri geografici e settoriali del paese, spostando sempre più all'esterno i centri decisionali economici e politici della struttura sociale italiana: le decisioni riguardanti settori come la navalmeccanica e l'agricoltura, l'industria nucleare e quella tessile, vengono sempre più prese a Bruxelles che a Roma. È in questo contesto internazionale che si sono venuti accentuando gli squilibri interni italiani: fra Nord e Sud (in quanto gli investimenti si sono spontaneamente spostati verso le aree settentrionali, più vicine agli altri paesi del MEC); fra industria ed agricoltura (quest'ultima fungendo da principale riserva per la proletarizzazione e per l'investimento parassitario statale) ; fra i vari settori industriali (settori esportatori e settori esclusivamente orientati al consumo interno, tipico quello dei beni di investimento). La stessa concentrazione industriale si è trovata rafforzata dall'esposizione verso l'estero, ribadendo anche in questo campo il «dualismo» di dimensioni e di produttività . Nel '70 l ' l,7 % degli operato ri (pari a 561 unità) ha realizzato il 60% degli affari con l'estero. Le grandi imprese, che contribuiscono al 40% della formazione del reddito, coprono più dell'80 % delle nostre esportazioni, mentre le imprese artigiane e le piccole industrie, che producono il 60% del reddito nazionale coprono solo il 15% delle esportazioni. La divisione internazionale del lavoro ha dunque caratterizzato la formazione sociale italiana come un abbastanza atipico caso di « subimperialismo » con rilevanti riflessi nella struttura sociale interna: lo sviluppo del settore edilizio conferma questo rappor to fra « interno » ed «esterno». "Stante il livello altissimo della concentrazione finanziaria, la struttura produttiva arcaica ed in buona parte inefficiente dal punto di vista del profitto, un grado altissimo di apertura commerciale e finanziaria, si è venuta accentuando, all'int erno del capitale italiano, 41 Biblioteca Gino Bianco
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