Classe - n. 7 - luglio 1973

ropci finanziassero (almeno nella stessa misura del governo americano) alle imprese le spese di ricerca, marketing ecc., assicurando commesse statali, protezione doganale, facilitazioni finanziarie; ma ad una politica di tal fatta (sognata da molti tecnocrati europei e da qualche illuminato capitalista nazionale) osta il dominio politico ancor prima che economico esercitato dagli USA sui governi europei. La stessa politica ne~olonialista del capitale europeo verso alcuni paesi a medio sviluppo capitalistico (Algeria, Jugoslavia, Argentina, Zambia ecc.) e verso i paesi che stanno restaurando il capitalismo, rimane pur sempre marginale e subordinata, nella sua applicazione pratica, al volere del Dipartimento di Stato. In questa struttura di dominio americano l'Italia costituisce la pedina più importante per mantenere lo statu quo. Sebbene l'afflusso di investimenti americani sia stato in Italia inferiore a quello di altri paesi del MEC - concentratisi prevalentemente in Germania ed Olanda -, dal punto di vista militare e politico il governo italiano è stato e continua ad essere il ferro di lancia dell'espansione americana in Europa: negli ultimi anni, anzi, al dominio del capitale americano nei settori chiave della nostra economia si è affiancato, in coabitazione, quello del capitale tedesco. Negli ultimi dieci anni uno dei due motori dell'espansione economica italiana non è stato l'allargamento del mercato interno, ma lo sviluppo delle esportazioni: il rapporto fra importazioni ed esportazioni e reddito nazionale è in It alia fra i più alti di tutto il mondo imperialista; il fenomeno inverso è successo nello stesso periodo di tempo nel Giappone. La crescita del mercato estero più rapidamente di quello interno è già un indice della distorsione dello sviluppo, in quanto sposta all'esterno i poli dell'accumulazione; se a questo si aggiunge una politica liberistica senza paragone con quella degli altri paesi imperialisti dal punto di vista del mercato finanziario, avremo una riprova della fragilità e vulnerabilità dell'economia italiana nel contesto internazionale. Ogni qualvolta il mercato mondiale « tira », le aziende italiane tendono a comprimere il mercato interno per contenere i costi e presentarsi con prezzi inferiori alla esportazione; inoltre gli incentivi statali nel finanziamento alla esportazione, sui quali si è in massima parte costituita la presenza delle merci italiane all'estero, sono veri e propri disinvestimenti della Pubblica Amministrazione del settore industriale ed in particolare dal mezzogiorno (dal '64 al '69 a ciò è attribuibile circa il 20% delle esportazioni di ·capitali) 23 • 40 Biblioteca Gino Bianco

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