Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978

bibli questo momento una difficoltà per acettare le sedi critiche, pur riconoscendo la necessità della critica. Ciò vale sempre nella logica del tempo. Non mi in– teressa tanto criticare la politica teologica, per di così, dei vescovi e nemmeno la teologia politica dei teologi ( anche se i nomi non sono qui significativi delle cose, perché la politica teologica dei vescovi è politica, credo cattiva, ma non teologia, e la teologia politica dei teologi è teologia, credo cattiva, ma non è politica). Quello che ci interessa qui è aiutarci a essere cristiani. 6. - L'essenza della vita cristiana A che cosa è chiamato, in fondo, il cristiano, ogni singolo cristiano? Noi siamo essenzialmente chiamati a vivere, a stare alla presenza di Dio, a vivere l'ora escatologica: a vivere qui sulla terra come in cielo, il che vuol dire, appunto, vivere come singoli innanzi a Dio e guardando gli altri attraverso Dio. Questo credo sia l'esercizio costante; di stare innanzi a Dio e di stare nel mondo dell'essenza dell'uomo che è la divina umanità, che è l'immagine di Dio in noi. E' il singolo cristiano, come singolo ad essere chiamato alla sequela di Cristo: «vieni e seguimi». La comunità si fonda sulla comunione di questi atti, ma non li sostitui– sce. Il singolo è chiamato a vivere interamente la sequela del Cristo come condizione storica; i singoli, infatti sono, come tali, mandati in missione ad annunziare che è giunto il Regno. Certo questo annunzio può essere detto con molti linguaggi e, per esperienza, posso dire che è più facile parlare di queste realtà a quelli che stanno nelle tenebre, nell'ombra della morte, a quelli che non hanno neanche l'illusione di avere la speranza, a quelli che sono fuori dell'orto cattolico. Perché è duro tra i cattolici riconoscere che non è qui la città, ma occorre cercare la futura. Non importa lasciare una traccia mondana nel mondo, importa invece la traccia dell'uomo nel Regno di Dio. Ma, per questo, non ha valore quello che si fa, ma appunto, quello che si è. L'uomo abitualmente vive facendo ogni cosa in vista del futuro, ma vivere nell'es– sere di Dio vuol dire vivere nell'eterno presente; non fare questo per il do– mani, ma fare questo perché è eterno. In questo senso, ritorno a certe parole del Vangelo: ad esempio: «non siate tristi per il domani» è una esortazione che vuol farci comprendere come quello che noi siamo chiamati a fare è vivere non il domani, ma l'eterno. Un atto umano non è strumentale a quello che viene dopo, ma è assoluto; è un atto che si inscrive nella città di Dio dove troverà il suo compimento così come ogni esperienza; ogni rapporto di carità con l'altro è un rapporto che si fonda per l'eternità. Il cristiano deve abi– tuarsi a vivere l'eterno. Questo è il distacco: è il segno di una vita che nella essenza, si è posta oltre il limite del tempo. L'annuncio agli altri è invitarli all'eterno. Questo è l'essenziale della fede. Mentre, in sostanza, siamo più propensi a ritenere che l'essenziale sia, alla fin fine, l'inserimento ecclesiale e quindi la frequenza alla messa domenicale, al sacramento. Tutto questo, certo, ha 14 ginobianco

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