Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 6 - dicembre 1977

ora vuole amn1onire i fedeli, i suoi discepoli, gli eletti, alla vigilanza. Molte volte il Signore drammatizza la situazione per colui che deve attendere in modo che risuoni l'appello alla vigilanza. Certo il Signore ha promesso che le porte dell'inferno non prevarranno, ma questa promessa è data a vasi di coc– cio, a fiammelle sottili, si tratta di una indefettibilità continuamente rischiata e rischiosa che deve continuamente essere rivificata. È questa realtà a farci venir meno l'immagine di una chiesa come società solenne la quale ha soli– dità nella sua compattezza storica; contro questa sicurezza del cristiano il Van– gelo di oggi ci ammonisce, perché può essere che nessuno invochi -più la ve– nuta del Figlio dell'Uomo sulla terra. Siamo poi tanto lontani da questa situa– zione? La ~econda venuta del Signore non rischia forse di diventare una pa– rola vana, una retorica pia? Può darsi benissimo invece che queste parole ab– biano un significato nel nostro tempo. Quando il cristiano cresce nelle opere, nelle sue azioni, quando la sua dimensione ecclesiale si manifesta eminente– mente come dimensione esteriore sociale, allora svanisce l'attesa della seconda venuta. Ugualmente ciò accade quando la Chiesa fa centro a se stessa. Il venir meno dell'attesa nella seconda venuta, può manifestarsi in tutti i modi, sia- in forma secolare: che in forma clericale, sia ponendo l'accento sulle lotte per la giustizia nel mondo, che sul carattere di perfezione sociale della Chiesa, può avvenire a sinistra come a destra, con linguaggio totalizzante, con linguaggio moderato, con linguaggio di ieri o con linguaggio di oggi. In realtà è sempre l'accentramento della Chiesa nella storia a togliere l'invocazione alla seconda venuta; ciò accade perché noi confidiamo sulle opere e non sul diventare, come persona, orazione e preghiera. La preghiera stessa diventa la cosa peggiore quando si manifesta come opera. La preghiera perde allora ·1a potenza di inter– cessione perché fida su se stessa, quando diventa una cosa separata, particolare, quando cioè non fluisce costantemente dal cuore, ma è una interruzione, un'o– pera affiancata alle altre. Tutta la vita invece acquista un senso per rispetto alla seconda venuta, in quanto attende dalla seconda venuta la soluzione di tutta la storia universale e propria. In tal caso il singolo diventa l'uomo uni– versale, diventa un'anima ecclesiale, perché guarda e considera le cose dalla prima alla seconda venuta, dall'inizio alla fine del tempo cristiano, dalla fine all'inizio del tempo storico ed umano; allora la sua preghiera ha in sè l'onni– potenza dell'intercessione, la sua intercessione è veramente universale. Quando Paolo dice di essere venuto a Corinto non nella sapienza, ma con la potenza, è appunto a questa potenza dell'intercessione che si riferisce. Ma queste parole non si possono quasi più annunciare nella Chiesa di Dio, per il fatto che sono parole desuete e il nostro popolo accetta soltanto le pa– role che ha già ascoltate, perché si attende dal predicatore non il crescere della verità, ma l'essere confermato nella sua sicurezza, non vuole la ricerca del divino, ma la vittoria sull'angoscia temporale, vuole le cose vecchie, ma sicure e note, come le suppeliettili di famiglia, che guardate rassicurano; è per questo che è quasi impossibile predicare tutta la verità senza incontrarsi nell'indifferenza o nella meraviglia, o infine nell'assenza che è poi il modo abituale con cui la predicazione viene ascoltata. Questo indica il limite della nostra condizione ecclesiale. Se ritorniamo alla parola del Signore: « Il Figlio dell'Uomo quando verrà troverà la fede sulla Terra? », dobbiamo dire che la fede nella seconda venuta oggi il Figlio dell'Uomo non la troverebbe. Di fronte a questa realtà, quale poca cosa di- bibliotecaginobianco

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