Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 5 - giugno 1977

consiste nel credere che c'è la vita divina dopo la morte, mentre qui ab– biamo solo la legge. Si dice ancora « fate queste cose, e il Signore avrà misericordia» e non di più. Per que– sto par lo di religione pagana; per es– sa il dare al dio la propria obbedien– za significava averne la protezione. Questa è, in fondo, la religione che diamo al popolo. Se gli si dà qual– cosa di diverso, esso si trova di fron– te a un linguaggio che non sa inter– pretare, mentre è sempre lo stesso Vangelo. Il rischio di non essere com– presi quando si dicono cose non det– te abitualmente, è che la gente non ti crede; crede di sapere quello che è scritto nel Vangelo, mentre non lo sa. Il limite di fraintendimento è ine– vitabile. Se tu spieghi a questa gen– te le cose della fede che non sono sta– te insegnate loro, non afferrano nul– la, ti dicono che vuoi fare l'intellet– tuale. In genere può accadere che qualcuno capisca, specialmente quan– do la novità si fa scaturire dal testo biblico; attraverso la liturgia, la pre– ghiera, i prefazi per esempio, si pos– sono dare concetti nuovi sulla vita divina che viene comunicata all'uo– mo. La lingua volgare è servita a po– polarizzare questi concetti, quindi ad arricchire il patrimonio linguistico. Se non ci fosse questo, la gente non ti capirebbe per nulla. D'altra parte c'è un rischio anche ad andare oltre il testo biblico, poi– ché si ricade nelle critiche che dice– vo prima. La gente non è più sicura che si dicano cose che vengono dette dalla Chiesa e non si espongano in– vece le proprie idee; su questo pun– too è appoggiata dal clero che tende a fare una lettura di tipo moralisti– co. Di fronte ai testi biblici sia il clero moderno secolarizzato, sia quel– lo che ne tenta una lettura moralisti– ca rimane un po' imbarazzato, per– ché non sa cosa dire; l'uno non può bibliotecaginobianco risolvere i testi biblici in termini so– ciali, l'altro in termini moralistici. I DEUG SU: Ti chiedo qualche parola in più sul superamento della differenza tra monaco e laico. GIANNI BAGET: La distinzione tra monaco e laico riproduce in chia– ve cattolica la distinzione che vi era tra sacro e profano nelle religioni pa– gane; significa che il diventare figli di Dio, la divinizzazione, poteva es– sere vissuta solo da una condizione particolare, quella del monaco, men– tre il laico rimaneva escluso. Ora in– vece il superamento del monaco è anche il superamento del laico, e l'u– na e l'altra figura sono superate as– sieme; infatti, se cancelli la separa– zione, la distinzione sacro-prof ano non ha ragione di esistere. I DEUG SU: Un'altra domanda: tu dici che nel paganesimo la reli– gione è distinta dalla morale, mentre per la mia esperienza del mondo pa– gano, nell'estremo Oriente, le due cose sono connesse. La religione è pura osservanza delle norme, forma– lismo vuoto senza convinzione inte– riore; forse dipende dal fatto che non c'è distinzione tra religione e mo– rale? GIANNI BAGET: Abbiamo forse di fronte due diversi paganesimi: nel nostro paganesimo, quello ariano - greco, latino e germanico - il rapporto con la divinità è in fondo come il rapporto con la natura, con il Signore della natura, e conseguen– temente va sempre visto come un'of– ferta per ottenere in cambio una protezione che è nell'ordine natura– le cosmico e corporeo. Ora, pur non conoscendo la religione cinese, trovo però che la religione pagana sempre, in questo senso anche quella cinese, sottintende sempre Dio al di là della natura, mentre il rapporto con la morale è diverso perché riguarda in- 15

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