Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 5 - giugno 1977

Ma, in relazione al titolo di questa comunicazione, debbo aggiungere qui un ricordo personale. Il titolo è di un dattiloscritto che io scrissi nel 1952, e che diceva, in modo più semplice ed entusiasta, le cose che, venticinque anni dopo, esprimo più acculturato. Se ricordo bene, quel testo è riferito a una pagina di Dostojewski, che è molto nota: quella in cui lo staretz Zosima (pensato sulla figura del grande staretz s. Serafino o di Sarov, che la Chiesa russa beatificò poco prima della ri– voluzione d'ottobre) invia Alioscia Karamazov nel mondo. E nel mondo Alio– scia annunzia la resurrezione. La fine del secolo scorso è densa di figure pro– fetiche, che tutti abbiamo trovato nel nostro cammino: Dostojewsky, Nietzsche, S. Teresa di Lisieux, Péguy, Soloviev, Bergson ... Questo cammino passa anche per le nostre storie, le nostre mani, i nostri cuori. Vorrei che gradualmente il relativo monopolio della parola di cui ho be– neficiato in questi anni venisse meno e che insieme potessimo meditare sulla condizione del cristiano che attende la venuta del Signore, che ama questa venuta nella misericordia e nella pace del Signore. Ma non penso a nessun mutamento nella struttura delle nostre riunioni, nè ad alcuna sollecitazione unilaterale di « partecipazione ». Ciò con cui concludo questa breve introduzione è una comunicazione circa la mia proposta sulla società. Essa si concretizza in due domande: a) di non fare più ammissioni di nuovi soci; b) di ammettere all'elettorato attivo e pas– sivo tutti coloro che sono invitati alle nostre riunioni. Propongo cioè lo sta– tuto formale di un gruppo aperto, rimanendo la Regola non come norma, ma come fine aperto, ciò a cui vogliamo adeguarci. È mai stata del resto altro che questo? Il punto di vista da cui si è posta questa comunicazione è anche, mi pare, almeno in parte per me nuovo: all'interno di essa possono essere esaminate tutte le diverse questioni che oggi si agitano nella Chiesa. Tale posizione ha come proprio di considerare la realtà non come dato ma come segno, cioè non in quanto è opera anche dell'uomo e del demonio, ma in quanto è opera di Dio. Qui « tutto è provvidenza, tutto è bene, tutto è via di grazia». È tale visione di pace quella che ci è data se guardiamo le cose dalla Fine. E questa è la carità, la gioia e la pace di cui Gesù ci parla, nel segno dello Spirito Santo, nell'ultimo discorso in Giovanni. GIANNI BAGET 13 bibliotecaginobianco

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