Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 2 - aprile 1975

cioè della scelta operativa della «virtù». Il che è anche la base di una scienza politica. Si potrà dire che ad alcuni o a tanti la scienza politica, non interessa: ma a chi interessa, tutto ciò serve. E non c'è qui nulla di anticristiano: se la lotta tra bene e male è all'interno di ognuno, e se nel contempo la politica è complessità di azioni e reazioni, sta alla rispondenza ( o alla contraddizione) che ogni operatore politico trova tra tensioni ideali e pratica, il decidere sul da farsi. Ma, dirà subito Baget, questo rimanda subito a quell'errore morale che sta nel « ridurre tutto alla coscienza». Indubbiamente. Ma chiediamoci ii perché. E perché in Machiavelli la mistura tra bene e male, che si rifiette an– che nelle « opere pensate», era troppo sbilanciata a favore di Satana ( e ver– rebbe da chiedersi chi ce lo può dire); o perché di fronte a un tentativo di creare scienza, non si è risposto da parte nostra, come con Aristotele e poi pur con diverse « contraddizioni », con Galileo, ricreando la continuità della scien– za contro la fede? O perché si è invece evitato di ricreare questa continuità, rifiutato Machiavelli, giustificati, o meglio « spiegati » dal momento storico di crisi e di transito per la cattolicità per l'Europa, per l'Italia, in cui Machiavelli scrisse, abbandonando nel contempo ogni capacità nostra di agire nella politica? Lascio la questione al livello tentativo e interrogativo, perché qui nasce– rebbe, e forse dovrà nascere con gli anni, un nuovo lavoro; ed è questa una buona scusa per farla corta. Mi pare però che valga una considerazione. Ari– stotele nella «Politica» pone la città prima della famiglia e del singolo (Po– litica 1-1-12-13); e afferma la naturale immutabilità di liberi e schiavi (Poli-. tica I, 2, 1253-5 ). La teoria dello stato e dei rapporti sociali che nacque da S. Tommaso rovesciò queste posizioni, pur « mediando » con Aristotele. Nulla di simile è successo con Machiavelli e la nuova scienza politica mo– derna. Il perché va trovato, secondo me, in un peccato di omissione, fatto da una cultura cattolica, male abituata, che trovava più comodo discutere di agio– grafia, e sulla morte « iniquamente » consumata da un papa corrotto al frate di Ferrara. Il che era anche un ponte, -un « compromesso storico » si potrebbe dire, verso l'eresia luterana: ma questa è pura malignità. Certo, anche la ma– lignità qualche volta . .. L'unica risposta che vorrei escludere è che Aristotele era più vicino al Cristianesimo di Machiavelli: già, perché S. Tommaso lo ha avvicinato. Se non ci fosse stato il lavoro tomista, l'uno sarebbe lontano quanto l'altro. Per concludere provvisoriamente credo di dover tornare al disagio che ho denunciato al principio. Disagio che in fondo dà il senso di questo dibattito, precario e approssimativo. Il fatto è che quando ci si immerge in una tecnica ( e questo è il proble1na di tutti i machiavelliani), e in una tecnica che appas– siona, come la tecnica politica, si perdono spesso di vista i princìpi, le ragioni ultime e prime del nostro fare. Aprire un dibattito è il modo per ricordarsene: è un richiamo perenne, che a scadenze date va ripreso, e che serve a tutti, sempre. A me per il tempo che vivrò e alla parte dell'umanità che si occuperà della città terrena fino alla fine dei tempi. PIERO UGOLIN1 bibliotecaginobianco 35

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