ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. III/70% ~lLBIANCO l.XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Chinonsceglienonprendevoti di Pierre Carniti - 121 novembre il centro si è liquefatto. Al secondo turno potremo me- I glio valutare se la frana che si è verificata sul suo fianco destro si sarà trasformata in slavina. Comunque vada un dato è certo: non risorgerà - il 5 dicembre. Ci sono inoltre buone ragioni per ritenere che il miracolo della risurrezione non si realizzerà nemmeno alle ormai imminenti elezioni politiche. Innanzitutto perché il crollo del vecchio sistema politico ha travolto (come era inevitabile) i partiti di centro ed in particolare la Democrazia Cristiana che, nel bene come nel male, di quel sistema è stata l'archi46/47 ANNOIV0 • NOVEMBRE/DICEMBRE 1993• L.7.txXl
Pierre Carniti Gian Primo Cella Vittorio Foa Antonio Giolitti Ermanno Gorrieri Gianni Mattioli Franco Monaco Rosy Bindi Luciano Benadusi Luigi Borroni Lorenzo Cantù AnnaCarli Luigi Covatta Mauro Del Giudice Francesco Giuliari Gianni Italia Franco Monterubbianesi Massimo Palisi Laura Rozza Giuntella Vittorio Sammarco Pietro Scoppola Walter Veltroni Paolo Trombin Ilaria Macconi Stefano Ceccanti Pietro Merli Brandini Gabriele Olini Antonia Carlino Cristina Nespoli I testi diplomatici Giovanni Gennari Elio Toaff Giovanni Gennari AviPazner Giovanni Gennari David Meghnagi IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Chi non sceglie non prende voli ATTUALITÀ Polo progressista? Sì. Ma tra il dire e il fare ... Sulla via del «Polo»: due semplici premesse Alleanza pluralista per un programma di riforme Un Polo per la riforma delle politiche sociali Chi dentro jl Polo? La risposta al «Programma» Non c'è Polo di progresso senza i cattolici democratici Per il futuro: patto politico nazionale ed equità sociale Contro gli estremismi incombenti la tradizione Cristiano sociale Oltre l'alibi dell'unità: solidarietà e valori Cristiano-Sociali: una sfida per il futuro Cristiano-Sociali: impegno per una «rivoluzione» individuale e collettiva Cristiano-Sociali? No, grazie. Per questa crisi ci vuole altro Il ruolo dei Cristiano-Sociali nello schieramento progressista Da cristiani riconoscibili sul versante progressista Cristiano-Sociali per ricomporre un soggetto davvero progressista Il polo progresssista ha bisogno di cristiani autentici Dc indecisa, Pds irrigidito. Qualche domanda sui Cristiano-Sociali Cristiano-Sociali: per dare forza ad un progresso autentico Cristiano-Sociali: una scommessa per la speranza condivisa Perché Cristiano-Sociali? Per coniugare valori e progresso Cristiano-Sociali: oltre il blocco Dc per arricchire la sinistra intera I Cristiano-Sociali nel gorgo dei media Cristiano-Sociali: il precedente diverso (l 939-1948) Verso le elezioni politiche con una legge ancora imperfetta Misure concrete e mirate per sostenere l'occupazione Per una nuova politica dei tempi di lavoro Biogenetica e clonazione. Una questione da affrontare seriamente Obiezione di coscienza speriamo sia la volta buona DOSSIER Medio Oriente: la «Pace bambina» reggerà? Israele - Olp. Dichiarazione di principi, Protocolli allegati; Promemoria concordati; Lettere Palestina - Israele. La storia e la memoria. Shalòm, Pace! Una gioia più forte del timore Dopo l'impegno ufficiale l'Olp attende i patii nuovi (Intervista a Nemer Hammad) È ora che l'Europa torni nel Medio Oriente La Pace bambina ha ancora molti nemici (Intervista a Igor Man) Finalmente una speranz . Ora servono atti concreti L'EUROPA E ILMONDO Conferenza Mondiale dell'Onu sui Diritti dell'uomo (Vienna, giugno 1993) Diritti umani: i principi in 39 punii Le illu11trazioni di questo numero riproducono disegni di Federico Fellini pag. pag. 5 pag. 9 pag. 10 pag. 12 pag. 13 pag. 15 pag. 18 pag. 21 pag. 23 pag. 25 pag. 27 pag. 29 pag. 31 pag. 33 pag. 35 pag. 37 pag. 39 pag. 41 pag. 42 pag. 44 pag. 46 pag. 48 pag. 51 pag. 55 pag. 56 pag. 58 pag. 60 pag. 62 pag. 66 pag. 72 pag. 76 pag. 77 pag. 79 pag. 81 pag. 83 pag. 85 pag. 86
D!LBIANCO ~ILROSSO trave. In secondo luogo, poiché a seguito dei referendum abbiamo deciso di adottare un sistema elettorale prevalentemente maggioritario. Ne deriva la conseguenza che la politica è spinta a ristrutturarsi sulla base di uno schema bipolare. Chi contesta la tendenza alla bipolarizzazione non può comunque ignorare che la legge elettorale uninominale presuppone che si superi la soglia del 30/35 per cento per sperare di essere eletti nei singoli collegi. Allo stato delle cose, salvo sorprendenti ed imprevedibili eccezioni, questo risultato è fuori dalle concrete possibilità delle forze centriste. Anche nel caso che ai superstiti del vecchio centrismo si aggiungano i neo-centristi di Segni. Si deve considerare infine che poiché (anche nella più illusoria ed improbabile delle aspettative elettorali) il centro non ha la men che minima possibilità di conseguire, da solo, la maggioranza in Parlamento, esso è costretto a dire con chi pensa di coalizzarsi. Punto essenziale questo. Ma sul quale Martinazzoli non dice nulla e Segni dice una cosa che non significa nulla. Dice infatti che le coalizioni e le alleanze lui le vuole fare con la gente. Proclamare la propria equidistanza, come fa Segni, tanto da Bossi e Fini che da Occhetto, tanto dalla destra che dalla sinistra, significa soltanto: o l'esplicita ammissione della propria irrilevanza nella formazione dei futuri equilibri politici, o un inganno verso gli elettori. Chi scende in campo per competere al governo del paese, se vuol avere quQlche possibilità di successo, le alleanze le deve fare prima, non doGentile lettore, po il voto. Certo, nel nuovo sistema elettorale si può anche correre da soli contro tutti, ma se non si ha la maggioranza in partenza non si arriva da nessuna parte. Perciò le forze che si ostinano a presidiare il centro come autonomo spazio elettorale e politico conservano la logica e le «astuzie» della proporzionale in un sistema che però, nel frattempo, è diventato maggioritario. Questo non significa, naturalmente, che sparirà l'elettorato di centro. Cioè quello più moderato. Ciò che si vuole sottolineare è un semplice dato di fatto. Vale a dire che, mentre nel sistema proporzionale il centro era l'area dell'equilibrio politico e della mediazione, nel sistema maggioritario esso diventa soprattutto il terreno del confronto e della competizione tra una prospettiva di centro-sinistra ed una di centro-destra. Questo significa che, se anche non è assolutamente vietato rimpiangere o «guardare con fiducia al passato», le forze politiche vecchie e nuove possono aspirare a giocare un ruolo solo se sanno intervenire sul presente e prefigurare il futuro. Questo induce a ritenere che, al centro (in generale) e nella Dc (in particolare), diventa ormai ineludibile un chiarimento tra chi vuol andare verso destra e chi, al contrario, considera necessaria una alleanza progressista. Fuori da questa prospettiva non è arbitario pensare che, soprattutto l'esperienza dei Cattolici-democratici, finirebbe per concludersi con un ripiegamento in quanche «ridotto della Valtellina». Nella malinconica illusione che sia ancora possibile una estrema difesa di un «centro»che non c'è più. con il prossimo numero «Il Bianco ed il Rosso» inizia il suo quinto anno di vita. In questi quattro anni «Il Bianco ed il Rosso» ha coinvolto forze del cattolicesimo democratico e sociale e della sinistra riformista in un impegno di analisi, di ricerca collettiva e di proposta politica. Anche per questo gli è stata riconosciuta una funzione formativa, culturale e politica di quadri che, nell'ambito della democrazia dell'alternanza sono impegnati nella costruzione del polo progressista. Ciò è statopossibile per la nostra libertà di posizione (fuori da ogni schematismo ideologico) nell'ambito dello schieramento progressista. Condizione della libertà è stato anche l'equilibrio economico della gestione che, con grande impegno, siamo riusciti à realizzare, anche se aprezzo di inevitabili rinunce a migliorare. Per continuare abbiamo quindi bisogno, prima di tutto dell'aiuto dei lettori ai quali chiediamo di sostenerci con il tempestivo rinnovo del proprio abbonamento e ricercando nuovi abbonati per il 1994! Solo se potrà contare sul tuo sostegno «Il Bianco e il Rosso» sarà in grado di continuare a far sentire la sua voce nella difficile fase di transizione al nuovo che stiamo vivendo. Un cordialissimo saluto 3
,{)lL BIANCO l.XILROSSO . . . Poloprogressista? Sì. Matrail diree il fare... di Gian Primo Cella orrei dirvi». Così suona uno dei più straordinari incipit della letteratura italiana del nostro secolo. È l'inizio de Il mio Carso di Scipio Slataper. Cosa voleva dirci questo giovanissimo protagonista delle nostre vicende letterarie prima di cadere in guerra sul Podgora alla fine del 1915? Gli sarebbe piaciuto dire di essere «nato in carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo». Ed anche di essere «nato in Croazia, nella grande foresta di roveri». Ed infine di «essere nato nella pianura morava», per correre «come una lepre per i lunghi solchi, levando le cornacchie crocidanti». questo voleva dirci, ma non poteva: «vorrei ingannarvi, ma non mi credereste». Perché, dice Slataper, «capireste subito che sono un povero italiano che cerca d'imbarbarire le sue solitarie preoccupazioni». Questa pagina, non saprei spiegarne bene i motivi, mi è tornata alla mente quando mi è stato chiesto di riflettere su contenuti, discriminanti, strategie di un costituendo polo progressista nel tormentato, e frastornato, sistema politico italiano. Ruberò così il linguaggio allo scrittore triestino, nel mentre ricercava una qualche conferma reale alla propria identità di confine o una correzione alla propria sentita, vissuta, italianità. Vorrei dirvi che il polo (brutta parola, ma 5 non lo chiameremo fronte, d'accordo) si costituisce innanzitutto attraverso la fiducia nelle positive conseguenze politiche e sociali del progresso economico, scientifico, tecnologico. Questo atteggiamento non comporta per necessità una ingenua fede di tipo evolutivo. Identihca piuttosto una riproposizione della correlazione positiva fra sviluppo economico, diritti sociali, democrazia. Vorrei dirvi che il polo, lo schieramento, progressista possono identificarsi con tutto l'arco della sinistra riformista, una sinistra ormai depurata da ogni tendenza massimalista, e da ogni pretesa «egemonica». Dal polo certo rimarranno escluse alcune frange estremiste, ma questo come si sa è inevitabile, fisiologico direbbero alcuni. Vorrei dirvi che il polo non può rappresentare di fatto tutto il mondo del lavoro. Un mondo che, diversificato in superficie quanto si vuole, continua a mantenere alcune importanti omogeneità di fondo. Proprio quelle che vengono rappresentate dal movimento sindacale confederale, il quale come in tutti gli schieramenti più o meno bi-polari sarà portato a sostenere con voti, e risorse, il polo progressista (in tal caso quasi sinonimo di «laburista»). Vorrei dirvi che la transizione italiana sarà breve e che le scelte compiute in occasione delle prossime elezioni politiche (primavera 1994?)
{)!LBIANCO W.ILROSSO Pi•iiliii saranno coerenti con quelle che deriveranno dalle preferenze politiche dei cittadini nel corso della seconda repubblica. Le scelte, per così dire, saranno quelle corrispondenti ad un sistema bi-polare, costruito attorno alla tradizionale, ma ancora solida polarità destra-sinistra. Vorrei dirvi che di fronte alla minaccia per molti aspetti eversiva del localismo politico (una minaccia non solo ai principi costitutivi di fondo degli assetti liberal-democratici, ma anche alla stessa unità nazionale) è più che mai necessaria una contrapposizione netta e unitaria, della quale non potrà che essere protagonista il polo progressista. Un polo che, da questo punto di vista, potrebbe anche assumere la denominazione di «unità repubblicana». Vorrei dirvi che nei sistemi bi-polari (o in via di bi-polarizzazione) le posizioni, o i raggruppamenti, di centro sono destinati alla sconfitta. Quello che infatti otterrebbero al centro sarebbe ben poco rispetto a quello che sarebbero costretti a perdere sulle ali, vista la eccessiva lontananza da queste. Se questo è certo è altrettanto certo però che le competizioni elettorali si vincono al centro, cioè da liste che riescono il più possibile ad assicurarsi voti al centro e a strapparne all'avversario senza allontanarsi in modo irrimediabile dalle proprie posizioni di partenza. Senza cioè subire troppe perdite sulle proprie ali estreme. In questa prospettiva il polo progressista do6 vrebbe configurarsi come un raggruppamento di sinistra fortemente sbilanciato verso il centro. Vorrei dirvi che il polo progressista non potrà perdere la sua fiducia nell'intervento pubblico, specie nei suoi compiti di costruzione e di rafforzamento della cittadinanza. Compiti che continuano ad essere raggiungibili solo in un quadro rafforzato, anche se ampiamente ridefinito e riqualificato, dell'intervento pubblico. Compiti redistributivi che saranno possibili solo a seguito di un adeguato, capillare, rigoroso prelievo fiscale. Su questi piani i progressisti continuan0 a ritenere che le inadeguatezze e i fallimenti del mercato si rivelino superiori ai suoi innegabili meriti. Questo vorrei dirvi. «Vorrei ingannarvi, ma non mi credereste». Questo mi piacerebbe dire, ma non posso. E spero di non aver rappresentato in modo caricaturale questi caratteri per meri fini retorici, di argomentazione. La rappresentazione mi sembra tutto sommato plausibile. Servirà almeno per capire le credenze, o i giudizi, da evitare. A questo punto sappiamo cosa il polo progressista non potrà essere. Non è poco, almeno per questo momento della transizione italiana. Veniamo per prima al nome, alla identità esplicita, al «progressismo». Sappiamo che la corrispondenza biunivoca fra sinistra e progresso non è più scontata. Pensiamo ai fronti di rottura e di conflitto che si aprono su molte vicende, come quelle legate alla difesa di posti di lavoro
{)!.LBIANCO ~ILROSSO iiliiil•li in industrie, settori più o meno obsoleti o in via di ristrutturazione. Sono finiti i tempi d'oro dello «sviluppo delle forze produttive». Per di più nel polo potrebbero confluire forze che mal si accompagnano sia con progresso, che con sinistra. Mi riferisco alle forze cosiddette ambientaliste. Per molti aspetti, dunque, la definizione progressista implicherà costi sulla sinistra, o clamorosi rischi di incoerenza. E non solo. Vedremo. Sui rapporti nella sinistra italiana, è presto detto. La sinistra esplicitamente riformista non è invero tutta tale, nella sua identità culturale profonda. Tanto per essere chiari, la cultura politica di vasti settori del Pds è ancora lontana da una cultura riformista di governo. Privilegia più il rappresentare che il governare, più la sommatoria (fra le richieste) che la scelta, più l'etica della convinzione che quella della responsabilità (per usare la impareggiabile immagine weberiana). Per di più l'estremismo di sinistra ha assunto nelle recenti occasioni elettorali una dimensione inattesa. E fra quella cultura e queste forze dell'estrema i rapporti sono intensi, e la competizione anche, proprio per la loro vicinanza. La prima è tentata di abbandonare qualsiasi prospettiva di «polo» per riconquistare i settori sociali e i consensi politici perduti, la seconda è pronta ad incorporarsi i voti in fuga per un eccessivo spostamento al centro della prima. Per il buon successo del «polo progressista» è sperabile che i voti persi nella seconda possibilità siano 7 ampiamente compensati da quelli acquistati al centro. Comunque sia, anche in questo caso non pochi saranno i costi sulla sinistra. Sulla base sociale dello schieramento, si può dire che il mondo del lavoro rappresenterà la componente prevalente. Ma dobbiamo fermarci qui, non potremmo trarne indicazioni più solide. La frammentazione degli interessi e delle identità all'interno di questo mondo non è mancata. Molti fronti di conflitto attraversano il mondo del lavoro, specie in questi momenti di crisi e di ristrutturazione. Una frammentazione che ha colpito anche il movimento sindacale. Un movimento del resto che, per la sua divisione, avrà non pochi problemi a collocarsi nel suo insieme all'interno dello schieramento progressista. A rendere ancora più incerta e indeterminata la situazione contribuirà non poco la durata della transizione italiana, che non sarà breve. Dovremo perciò abituarci ad adottare una cultura politica della transizione. E questo cambiamento non è di poco conto. Richiede per esempio l'accantonamento, se non l'abbandono, di venerande ma sempre valide dicotomie, prima fra tutte quella destra/sinistra. Una dicotomia valida per competere in un'arena consolidata, meno per un'arena da costruire. Tutto ciò richiederà al cittadino-elettore la capacità di adottare identità politiche temporanee. Il «tutti uniti contro la Lega», non solo come formula organizzativa, ma anche come proposta
{)!.L BIANCO ~ILROSSO iii•iiliii politica è una tentazione più che mai comprensibile, ma che avrebbe esiti elettorali disastrosi. È comprensibile perché le minacce esplicite delle Leghe sono inquietanti, anche se si può credere che il seguito che ritrovano all'interno dell'elettorato leghista sia per il momentq ancora limitato. Nella probabilità remota che una parte di tale minacce si concretizzi (governo del Nord, secessione ecc.) non si potrà però dire di non essere stati avvertiti. È anche per questo che uno scenario siffatto andrebbe preso in considerazione dai politici italiani. Tuttavia la frattura più forte ed efficace sulla quale la Lega richiama i suoi elettori è quella nuovo/vecchio. Un fronte anti-lega potrebbe perciò facilmente essere additato, e interpretato, come l'adunata del vecchio alla difesa del «corrotto sistema partitocratico». Sarebbe la fine. La competizione dovrà essere più sottile, anche se non meno dura e dovrà avvenire specie sulle questioni sopra le quali la Lega gode ormai di un indubitabile avviamento. Se la collocazione di centro conduce di norma alla sconfitta nei sistemi bi-polari, non bisogna tuttavia dimenticare che il nostro è un sistema in formazione, solo destinato in futuro a diventare pienamente bi-polare. Il rischio è che si verifichi un addensamento al centro, in qualche modo favorito, nelle elezioni politiche, dal meccanismo a turno unico. In breve, lo «schieramento progressista» corre il rischio di compiere scelte costose, che non incontreranno il beneficio necessario per battere il rivale sulla destra. In tale prospettiva potrebbe essere necessario accentuare l'opzione di centro, con il rischio di perdite ancor più rilevanti sulla sinistra. Un gioco complicato, non c'è che dire. 8 Sul ruolo del pubblico e dell'intervento statale il polo dovrà scontare non solo la crisi generale dei rapporti fra sinistra e pubblico che ha attraversato tutti gli assetti liberal-democratici. Dovrà fare i conti, nell'ambito italiano, anche con le conseguenze della fine del sistema consociativo, con i suoi effetti sul piano della corruzione politica. Sarà costretto, per molti aspetti, ad adottare posizioni se non anti-stataliste, almeno di forte ridimensionamento dell'intervento pubblico. Ma non sarà facile. Nel medio periodo potrà poi riassumere posizioni più consone a1la sinistra media europea. Dovrà avere l'intelligenza, come diceva Leibniz, di «reculer pour mieux sauter». Ma non sarà semplice adottare una strategia simile sotto la pressione della rivolta fiscale cavalcata dalle leghe. Come si è visto l'identità, la strategia, le definizioni, di uno «schieramento progressista» non sono, non possono essere scontate, o ben determinate. I rischi di perdite elettorali, specie sulla sinistra, sono notevoli. Ma potrà guidare e rappresentare tale schieramento solo chi si assumerà pienamente tale rischio. Compiendo le scelte coerenti sul piano della presentazione della liste e dei candidati. D'altra parte quello che è qui in gioco è il governo della transizione, non un buon esito elettorale. Chi è interessato solo al secondo, si potrà accontentare delle vecchie identità politiche, pur malconce che siano. Ad alcune di esse la sopravvivenza sarà assicurata dal basket nazionale (il 25% dei seggi). A vincere le elezioni, o a dire di averle vinte, saranno come sempre in molti (anche con la nuova, pessima, legge). A governare saranno in pochi. Menodi prima. -
Dl.L BIANCO ~ILROSSO iiiili•Aii Sullaviadel«Polo»: duesemplicipremesse di Vittorio Foa T utti impegnati a difendere il processo di cambiamento dai torbidi tentativi di fermarlo abbiamo lasciato scolorire il nodo di un programma progressista. Eppure vi è una inquietudine diffusa, una incertezza che spesso si presenta con paura e che richiede una sponda sicura, un segnale non equivoco sulla volontà e sulla capacità di governo. Vorrei proporre due premesse per un programma. Prima di tutto dobbiamo scegliere se abbiamo, oppure no, fiducia nella gente alla quale chiediamo il voto. Se pensiamo che tutti pensino solo all'oggi e a sè stessi cercheremo il consenso promettendo di accontentare tutti. Se pensiamo invece che la gente, o almeno molta gente, sappia anche pensare agli altri e al futuro dovremo scegliere nettamente solo chi accontentare ma anche chi scontentare. La seconda premessa è semplice: un programma non può essere un indice di problemi: esso deve indicare le tappe, i tempi e i modi del percorso, gli impegni significativi e verificabili ... Qualche esempio. Lascio da parte i temi sui quali la crescente interdipendenza internazionale lega l'Italia al destino degli altri e mi fermo sui nostri mali storici: la centralità del potere statale, le corporazioni e quello che si chiama assistenzialismo e cioè la prevalenza della tutela dell'esistente rispetto alla promozione al governo di sè stessi. La lotta al secessionismodella Lega non si fa con discorsi enfatici sull'unità nazionale, ma correggendo i mali dello Stato unitario. Non si tratta solo di decentrare il potere, dobbiamo cambiarne la natura sviluppando in ogni modo l'autonomia dei cittadini e delle istituzioni locali. Nel paese che fu di Cattaneo e anche di Sturzo una nuova Italia può nascere dai comuni, dalla loro autonomia impositi9 va e di spesa. Il separatismo non si combatte difendendo Roma come essa è, ma cambiandola. Fin dal suo primo giorno il governo progressista fisserà i tempi e i modi della riforma. Le corporazioni sono il male endemico della società italiana: il protezionismo interno dello Stato italiano crea ovunque, nella produzione, nella distribuzione e nelle professioni, poteri di mercato privilegiati, con gravi effetti sul governo dei prezzi e quindi sui pericoli di inflazione. Un esempio: la grande industria protetta nei suoi rapporti con lo Stato e con le banche, largamente finanziata col denaro pubblico e poi sempre disposta a considerare il lavoro umano come un «residuo», una cosa da prendere o lasciare senza alcuna responsabilità. Non penso a imponibili di mano d'opera, penso al dovere di cooperare coi poteri pubblici e coi sindacati per promuovere nuove occasioni di lavoro. Tutto il regime delle concessioni è da rivedere, sia pure con gradualità, ma con propositi chiari. Penso anche a più nobili corporazioni, all'accademia universitaria, al giornalismo, alle alte professioni. Il rapporto fra la tutela dell'immediato e la promozione del futuro è una nostra storica difficoltà: i tempi della promozione sono medi e lunghi, quelli della tutela sono immediati. Ma la difficoltà deve essere affrontata. La promozione salda il lavoro alla scuola, non possiamo più tenerli separati. Anche qui si tratta di fissare delle tappe ma cominciare subito. Vi sono degli strumenti e altri se ne devono creare. Il mercato del lavoro è cambiato, non è più fisso, ma non può essere lasciato a sé stesso, deve essere indirizzato e governato. Non è vero che in Italia c'è troppo governo, ce ne è di vecchio e di sbagliato. È possibile, è necessario un governo capace di contemperare efficienza e solidarietà.
- I - D lJ, BIANCO Oil, ILROSSO iiiiiiliD Alleanzapluralista perunprogrammadiriforme di Antonio Giolitti n politica le parole sono molto importanti. Si potrebbe dire che la politica è fatta soprattutto di parole; in Italia oggi quasi soltanto di parole e sempre più spesso, ahimé, di parolacce. Perciò mi soffermo anzitutto sulle tre parole nelle quali si concentra la sostanza della domanda che ci propone questa rivista: schieramento o polo progressista. Schieramento non mi piace perché ha un suono un po' militaresco ed evoca la presenza di un nemico. Anche polo mi sembra implicare una contrapposizione, perché stando al dizionario vuol significare, in primo luogo, una posizione antitetica, opposta. Forse nel linguaggio politico che qui vogliamo usare la metafora è più pertinente se s'intende polo magnetico: che attrae, che coagula. Ma allora preferisco alleanza, che evoca ricerca di affinità, di concordia di solidarietà. La contrapposizione viene dopo, è conseguenza non proposito. E per quanto riguarda l'aggettivo progressita, questo mi rammenta il titolo di uno scritto di Kant, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, dove si avverte che una troppo fiduciosa speranza del meglio potrebbe essere dileggiata come «sogno di una mente esaltata». Certamente progresso implica o evoca, magari implicitamente, il raggiungimento di una meta. Pericolosa illusione per il politico che si proponga di progredire col metodo delle riforme. Questo è un processo - e progresso - inesauribile: come lo è la democrazia. La concezione «progressista» e «riformiste» del! democrazia è quella di un percorso senza meta finale. Perciò l'alleanza - meglio che polo - è per la democrazia. Precisamente: «alleanza per la democrazia» (e così si evita la confusione con Alleanza Democratica, che non si capisce bene se voglia 10 essere un recipiente di componenti o una componente essa stessa). Dopo questa pedante, ma a mio avviso opportuna premessa lessicale, vengo alla sostanza. Il problema e l'obiettivo sostanziale, per chi voglia progredire verso il meglio, è quello del buon funzionamento dello stato democratico, in questo paese e in questi ultimi anni del secolo XX, per progredire - riformando - lungo il percorso tracciato nella Costituzione della Repubblica, affrontando tutti gli ostacoli rimasti o sopraggiunti. La Costituzione è «progressita»: basta leggere gli articoli 3 e 4. Vi incontriamo i verbi «rimuovere» e «promuovere»: per avanzare, appunto, lungo un percorso di cui non si precisa la meta perché questa è il progresso stesso. Ma come, con quali mezzi? Con la crescita economica, ad opera dell'iniziativa privata: è questa in sostanza la risposta della destra. Con le riforme: è la risposta della sinistra. Il centro si barcamena, è necessariamente trasformista, ma non è detto che sia irrimediabilmente e compattamente sordo alle proposte della sinistra, tanto più che agli occhi di questa la «moderazione» da vizio è diventata virtù (cfr. i recenti discorsi di Achille Occhetto). Dunque la qualifica di progressista è inseparabile da quella di riformista: la quale si collega a un'esperienza storica ultrasecolare - quella del riformismo socialista e del Welfare State - le cui conquiste in campo sociale sono ancor oggi fondamento del progresso realizzato nella condizione del lavoro e più in generale nella condizione umana. Alla tradizione del riformismo si richiamano tutte le «componenti» che possono e vogliono concorrere alla costruzione di un'alleanza progressista e riformista. E precisamente, stando a
J.)!.L BIANCO ~ILROSSO iiikiilili dichiarazioni attendibili e autorevoli: occorre «elaborare un programma serio che, nel rispetto delle dinamiche di mercato e delle compatibilità finanziarie, rimetta in movimento un meccanismo di crescita e una prospettiva di sviluppo economico, sociale, civile del paese»; e ci si augura che «al tavolo programmatico siano presenti e partecipi anche le forze di un riformismo moderato disponibili a un rapporto positivo con i progressisti» (così A. Occhetto nella relazione alla direzione Pds 3 nov. 1993). Ma attenzione: metto tra virgolette la parola «componenti», perché la uso con circospezione, anzi con diffidenza. Fa pensare a una rivendicazione d'identità originaria, a un rapporto in qualche modo gerarchico o proporzionalistico: penso, per esempio, alla metafora dei cespugli sotto la quercia. Ma no: l'alleanza presuppone e consacra il pluralismo, con rispetto e garanzia dell'identità di ciascuno nell'impegno comune. Questo si verifica e si rende operativo col programma. Programma di governo, non progetto 11 di nuova società o nuovo modello di sviluppo e meno che mai di rifondazione del comunismo o di non so qual altra pur nobilissima e rispettabilissima utopia. È questa - mi pare - la «discriminante strategica»: dettata dal principio di non contraddizione, non da opportunità tattica o faziosità ideologica. Per quanto riguarda, infine, il problema organizzativo, credo che esso vada affrontato in modo coerente con la natura e lo scopo di un incontro che vuol tradursi in un'alleanza e non in un partito, in funzione di un programma di governo e perciò della conquista di una maggioranza parlamentare per realizzarlo secondo le regole della democrazia rappresentativa. Dunque condivido la proposta che l'iniziativa degli incontri per il programma sia assunta da un gruppo di sindaci eletti dalle forze progressite e di Alleanza Democratica e da personalità indipendenti, promuovendo contemporaneamente la formazione di comitati locali per scegliere e sostenere i candidati nei collegi uninominali alle prossime elezioni.
D l.L BIANCO. ~ILROSSO iiiiiil•P UnPoloperlariforma dellepolitichesociali di Ermanno Gorrieri er «schieramento progressista», o per «polo riformatore, non intendiamo la vecchia stra- p da dell'unità delle sinistre, estranea alla tradizione politica da cui proveniamo e comunque oggi non percorribile. Né tantomeno la vecchia logica degli schieramenti, definiti sulla base delle collocazioni ideologiche e delle appartenenze partitiche. Nella realtà del sistema elettorale maggioritario e nella prospettiva della democrazia dell'alternanza, riteniamo che le nuove aggregazioni debbano determinarsi sulla base dei programmi. Ma la credibilità dei programmi non può disgiungersi dalle forze sociali e politiche che concorrono alla loro definizione, vi si riconoscono e s'impegnano a realizzarli. Lo schieramento progressista non è una realtà predeterminata e già esistente. Va costruito verificando appunto la possibilità di una convergenza politico-programmatica, nell'ambito di un arco di forze che abbiano un comune orientamento riformatore e che possano candidarsi in modo credibile al governo della nuova Italia. Queste forze noi riteniamo che si trovino al1'internei dell'area politica che va, per intenderci, dalla Dc di Lavarone al Pds, passando per le espressioni autentiche del riformismo socialista, le correnti «liberal» della cultura laica, l'ambientalismo non fondamentalista e aderenti alla Rete liberati dalla tentazione del massimalismo. Non abbiamo quindi scelto di dare vita ad un nuovo partito, ma di puntare alla creazione di una «componente» che sia in grado di contribuire alla realizzazione di uno schieramento di forze politiche progressiste. Pertanto, in coerenza col significato del referendum elettorale, non intendiamo inserirci nella corsa verso una formazione centrista. 12 Tale componente abbiamo sinteticamente definito «Cristiano-Sociali». Anche se in linea di principio l'operare politico dei credenti deve esplicarsi sulla base di scelte individuali, riteniamo che il radicamento storico, la rilevanza delle esperienze e la ricchezza culturale della presenza dei cattolici italiani nel sociale non debbano andare dispersi, ma richiedano una proiezione anche sul terreno propriamente politico. La nostra iniziativa assume pienamente la dimensione della aconfessionalità e della laicità della politica ed è aperta al confronto e all'incontro con altri movimenti analogamente radicati nel sociale, sia di credenti che di non credenti. L'identità del soggetto politico a cui intendiamo dare vita trova come fattori decisivi il richiamo ai valori, alla tradizione e alle esperienze dell'impegno sociale dei cattolici, oltre alla scelta di collocarci nel!' ambito dello schieramento progressita. Ma non meno essenziali sono, tuttavia, le scelte politico-programmatiche sulle gravi questioni che caratterizzano questa nostra epoca di svolta, sia sul piano nazionale che su quello mondiale. In coerenza con le premesse da cui partiamo, riteniamo di dover concentrare sui temi delle politiche sociali l'apporto che intendiamo dare all'elaborazione programmatica dello schieramento riformatore. A questo proposito giudichiamo condizioni imprescindibili per il rilancio delle politiche sociali la moralizzazione della vita pubblica, il rinnovamento del sistema politico-istituzionale, la riforma autonomistica dello Stato, la modernizzazione della pubblica amministrazione, il rispetto delle compatibilità finanziarie. Sono per noi indisgiungibili riforma sociale e riforma democratica.
{),!J.BIANCO ~ILROSSO iii•iil•ii ChidentriolPolo? Larispostal «Programma» di Gianni Mattioli he cosa voleva 1'83%degli italiani che il 18 e aprile ha votato «sì» al referendum sulla legge elettorale? A loro era stato spiegato che, con l'abbandono della legge proporzionale, i cittadini avrebbero potuto scegliere direttamente chi li avrebbe governati in un limpido confronto tra alternative. Su questo, le forze referendarie - assistite da un forte sostegno degli organi di informazione - hanno chiesto un pronunciamento all'elettorato e la risposta affermativa è stata massiccia. Ora si tratta di onorare la volontà degli elettori, senza frapporre l'alibi che la pessima legge elettorale uscita dal Parlamento non produce direttamente l'alternanza promessa ai cittadini. Per costruire, allora, una proposta «riformatrice per gli elettori, bisogna lavorare alla definizione del programma e trovo inaccettabile che, al contrario - secondo la tendenza tutta italiana di un'esasperata autonomia della politica dai contenuti programmatici - si parli molto di più di quali forze politiche devono partecipare al polo riformatore, già pronti ad intimare esclusioni reciproche. Metodo sbagliato non solo in linea di principio, ma anche perché, costretti al tavolo dei programmi, quei leaders gelosi custodi delle proprie immagini ideologiche e così poco abituati a confrontarsi con la realtà, sono invece costretti a concentrare il confronto sui punti di reale differenziazione. Tutti si chiedono, ad esempio, come si comporrà un accordo tra Rifondazione Comunista e i liberaldemocratici presenti dentro i resti di Alleanza democratica o con i CristianoSociali di Gorrieri e Camiti o, perché no?, con quel Pds con cui si è avuta la rottura sanguinosa? E perché tutti questi dovrebbero essere interessati alla proposta di società sostenibile, proiettata verso il futuro, che avanzano i Verdi, su cui si 13 registra oggi un ampio consenso da parte della Rete di Novelli, Orlando e Dalla Chiesa? Intanto sarebbe bene ricordare che qui si sta costruendo un accordo per una proposta da presentare agli elettori per il 1994, non si sta procedendo alla fusione di forze che hanno le loro culture e perciò le loro differenze. È possibile, oggi, rispetto ai problemi del paese, costruire una proposta comune? Una proposta non per leccare - con orgoglioso piagnisteo - le stimmate del1o' pposizione, ma per governare il paese? Io credo di sì. Non ho mai sentito l'afflato sociale di Rifondazione espresso meglio che nell'intervento con cui Gorrieri presentava la proposta dei Cristiano-Sociali e, del resto, Magri e Garavini - al di là della archeologia demagogica - sono d'accordo che il disax:anzo pubblico va risanato e che le nostre proposte di riforme s'hanno da collocare nel quadro dell'economia di mercato? Io penso proprio di sì. Se si smetterà di pretendere solenni dichiarazioni sulla morte del comunismo e si passerà alle cose da fare, si troverà che la via dell'accordo non è così ardua. Se mai, trovo più difficile l'altro versante quello di Alleanza democratica. La crisi economica italiana, i nostri quasi 4 milioni di disoccupati, si collocano dentro una profonda crisi di carattere strutturale delle società industriali avanzate: 25 milioni di disoccupati nella Cee, 35 nell'Ocse. L'enorme avanzata tecnologica del dopoguerra ha portato la produttività del lavoro a livello di rottura del1e' quilibrio tra espansione della produzione, espansione dei consumi, salvaguardia dell'occupazione e, se si pensasse di risolvere il problema indirizzandosi al resto del pianeta, è la questione ambientale a calare la sua mannaia sui sogni di espansione: malattie «tecnologiche» - tumori, leucemie, sconvolgimenti del sistema immunita-
i)!L BIANCO '-",. IL ROSSO iiiiiil•ii rio - legate ai processi produttivi, difficile disponibilità delle risorse (in primo luogo dell'energia: ricordate la guerra del Golfo?), perturbazioni sempre più insostenibili che le attività antropiche apportano alla stabilità del pianeta, un delicato sistema termodinamico. È questo il quadro dello scontro di Bush con le nazioni del mondo alla conferenza Onu di Rio del '92, su questo è la vittoria di Clinton, il dibattito che anima la politica in Germania, in Giappone e in Gran Bretagna e che è pressoché assente nella «provincia» Italia in cui i politici litigano sugli schieramenti, mentre Abete e La Malfa, ma anche il sindacato, pensano a misure congiunturali per rilanciare l'economia. È questo il vero punto di scontro e di confronto. Credo che è necessario impostare subito una prospettiva di riallocazione di risorse finanziarie e di occupazione, dalle produzioni orientate al soddisfacimento di consumi individuali difficilmente sostenibili, verso attività volte al miglioramento collettivo della qualità della vita: risanamento dei centri urbani, salvaguardia ambientale, assistenza sanitaria, beni culturali, tecnologie avanzate di risparmio energetico, ristrutturazione del trasporto ferroviavio delle merci e dei passeggeri, cantieristica del cabotaggio costiero, riforestazione e agricoltura pulita, risanamento delle zone industriali degradate, conversione a produzioni chimiche pulite. Chi pagherà tutto questo? 14 ,jt.. ""'U\, /.,,...-lr. 1 1/~(,.,..,{., .1_ j _Pc,,,..,,.,., /\o IC..ffa / Sarà inevitabile - scrive Monti, il rettore della Bocconi - dire con chiarezza ai cittadini che dovrà convivere un rigoroso rilancio di efficienza nei settori produttivi tradizionali con lo sforzo di difendere l'occupazione e la solidarietà sociale, non in modo surrettizio, con il rigonfiamento del debito, ma con una limpida politica fiscale. E quanto ai lavoratori dipendenti, essi dovranno accettare prospettive di maggior tempo libero, piuttosto che aumenti salariali. Si apre così una prospettiva in cui i riformatori, piuttosto che battersi per l'eguaglianza di consumi sempre più insostenibili, dovranno garantire a tutti rigorose pari opportunità nella salute, nell'occupazione, nell'educazione, nella casa, nella sicurezza, nel godimento dell'ambiente. Pari opportunità che sono - secondo una felice espressione di Stefano Rodotà - un prerequisito della democrazia e, nel contempo, rappresentano un gigantesco volano di nuova occupazione, secondo la chiara piattaforma avanzata da Lega Ambiente. Sono d'accordo i rampanti lib-lab di Ad su questa prospettiva? Penso che molto è oggi nella mani di quel grande movimento di partecipazione rappresentato dalla Costituente della Strada: il mondo dell'associazionismo e del volontariato sociale e ambientalista. Sta a loro, in gran parte - e sin qui ci sono riusciti - costringere i riottosi partner poiitici al tavolo del programma e ad animare poi in mezzo alla gente la partecipazione allo scontro elettorale che si profila.
{)1.LBIANCO OiZ,,ILROSSO Pi•iil•ii None' è Polodiprogresso senzai cattolicidemocratici di Franco Monaco a qualche tempo, monta una sorta di «ideoD logia dell'anti-ideologia» che va smascherata. Si fa strada - anche perché propalata da grandi media, a cominciare da saccenti opinionisti del «Corriere della Sera» - l'idea, equivoca e fuorviante, secondo la quale il tramonto delle ideologie di matrice ottocentesca avrebbe portato con sé la dissoluzione delle differenze. A questo assunto corrisponde - ancorché non tematizzata ed esplicitata - la prospettiva di una politica appaltata a circoscritte elite tecnocratiche competenti nella buona amministrazione. Vi soggiace, a ben guardare, la deriva sino all'eclissi di una nozione genuinamente democratica della politica, almeno sotto due profili: a) nel suo carattere partecipativo, quale espressione di libertà collettiva, di un popolo che si autogoverna; b) nella sua valenza pluralistica e sanamente competitiva, ove la politica si concreta nella contesa tra forze che diversamente interpretano e organizzano interessi e valori insediati dentro la società civile. E tuttavia, in questo dogmatismo anti-ideologico, si può riscontrare un'anima di verità. Alludo alla consapevolezza dei vincoli. Sia quelli che ci vengono dalle lezioni della storin, che non solo si è incaricata di smentire disegni millenaristici, miti totalizzanti o anche solo velleitarie «terze vie» tra capitalismo e collettivismo, per sanzionare la «superiorità» dell'economia di mercato e della democrazia politica. Sia i vincoli introdotti dalla competizione economica e tecnologica su base planetaria. Sia quelli - differenziali, specificamente italiani - che ci affliggono in ragione del nostro disastrato deficit pubblico. Tutte circostanze che comprimono obiettivamente lo spettro delle opzioni e delle decisioni politiche realisticamente praticabili da parte di chi si 15 candida al governo del paese. Al punto che taluni, esagerando, sostengono che, ancora per un tempo non breve, chiunque dovesse assumere responsabilità di governo sarebbe costretto dalle circostanze e dai condizionamenti a fare esattamente le stesse, medesime cose dei suoi convenzionali avversari politici. In questo orizzonte reale e materiale, si innestano le nuove regole elettorali. Esse, come è noto, nonostante le loro contraddizioni, complessivamente premono nella direzione di una politica per cartelli. Anche perché nessun oggetto politico (tranne forse la Lega al Nord, ma non ovunque) può bastare a se stesso. Certo, il sistema politico ancora non si configura come bipolare. E, al momento, forse è bene che così non sia, perché la tanto auspicata democrazia dell'alternanza non può far perno rispettivamente su Lega e Pds: le democrazie mature, infatti, presuppongono un certo indice di omogeneità ideologica tra soggetti pur tra loro antagonisti sul piano politico, nel segno di una competizione aperta e anche aspra, ma a riparo da esasperazioni suscettibili di incrinare la tenuta del sistema, le regole del gioco i valori fondanti della convivenza. Del resto, il disagio di larghi settori del corpo elettorale a fronte di un'alternativa tanto secca è testimonianza di un vuoto di iniziativa politica da colmare. Sbagliano tuttavia coloro che affollano un centro politicamente indistinto. Perché, se il sistema non è bipolare, esso è tuttavia attraversato da logiche/dinamiche bipolari. Chi, dunque, legittimamente _sicandida a interpretare le istanze di quell'elettorato che si situa tra Lega e Pds (ma anche a contendere ad essi quote di consenso) dovrebbe tuttavia optare e orientarsi nell'una o nell'altra direzione. Inesorabilmente interloquendo con Lega e Pds. Stabilendo con
{)j_LBIANCO 0-Z, ILROSSO iii liii iii essi un rapporto più o meno competitivo o negoziale. In definitiva, chi intende adoperarsi per lo sviluppo della democrazia italiana - oggi esposta alla radicalizzazione del conflitto - dovrebbe istituire sul centro-sinistra piuttosto che sul centro-destra (ci si passi le consunte espressioni tanto per capirci) un coagulo forte e qualificato abbastanza da interloquire e così concorrere alla maturazione, rispettivamente, di Lega e Pds. Affinché la prima evolva nel senso che ogni buon democratico dovrebbe auspicare: quello di un soggetto politico conservatore e tuttavia pragmatico e democraticamente affidabile. E il secondo porti a compimento la sua maturazione di un costume democratico e di una cultura di governo ali' altezza di una società industriale avanzata. Così che i baricentri dei due poli antagonisti - moderato e riformatore - possano convergere verso il centro, riducendo l'esorbitante distanza che li separa. Ma come stabilire e anche dare nome ai due poli antagonisti? L'antica polarità didattica destra-sinistra è troppo ancorata alla stagione politica gravata da una pesante ipoteca ideologica. • Quando la convenzionale ascnz1one a sinistra era strettamente connessa. alla vicinanza-alleanza con il Pci. L'altra, classica polarità conservatori-progressisti solleva, almeno in me, due istintive riserve. La prima ideologica: oggi ci riescono più chiare (e fastidiose) le aporie del mito illuministico di una storia lineare e progressiva. La seconda riserva, di ordine lessicale: lo stesso Camiti ha giustamente osservato che, a rigore, i progressisti devono sempre conservare qualcosa · e i conservatori talora innovano. Per esempio - notava Camiti - i progressisti farebbero bene a conservare due preziose conquiste: l'unità nazionale/statuale e la democrazia. Ecco perché, personalmente, preferirei la dialettica moderatiriformatori per designare i poli o schieramenti. Quali, allora, i parametri, le discriminanti atte a stabilire chi, davvero, a buon diritto, può qualificarsi riformatore? Sgombrando il campo dal sottinteso di un disprezzo o anche solo di un deprezzamento per la dignità (e la utilità) dell'antagonista moderato, se genuinamente liberal-democratico. A me pare di poter fissare almeno due condizioni/requisiti dei veri riformatori: a) \ /1~1uc _... ( '"" ,,a #-. ,~ l"'' lt-\)-.Q/ 16
.{)!.LBIANCO ~ILROSSO •;i kiil•t;i la propensione ad assegnare alla politica un pregnante compito regolativo rispetto all'ambiente. Il rovescio della prospettiva del darwinismo sociale: quello - per dirla con Amartya Sen - contraddistinto dalla «concentrazione sull'adattamento della specie piuttosto che sulla regolazione dell'ambiente in cui le specie conducono la loro vita»; b) la tensione all'uguaglianza in concreto accessibile dentro i vincoli di un'economia di mercato. Che domanda di trascendere il principio liberale dell'uguaglianza dei punti di partenza, che si fa carico cioè di contrastare per via politica le differenze più macroscopiche anche negli approdi. In definitiva, acquisito che, in democrazia, si darà sempre un conflitto tra preferenze che politicamente si organizzano, per stabilire le discriminanti tra i poli e le conseguenti collocazioni, si tratta di determinare quali siari.o oggi i punti, i terreni preminenti del conflitto politico. In estrema sintesi, a me pare di poterne rilevare due decisivi: il primo è appunto quello antico e classico della tensione all'uguaglianza compatibile col sistema economico-politico dato (ma flessibile, riformabile); il secondo è quello, diciamo così «post-materialista», della nozione di persona col suo corredo di diritti inalienabili. È evidente che decisivi sono e sempre più saranno i programmi e i comportamenti, in un tempo nel quale la politica è provvidenzialmente ridotta allo stato laicale. Ma attenzione: i programmi non sono un arido, materiale elenco di cose da fare: essi rimandano a un orizzonte e dunque ad opzioni assiologiche. Diciamo così, meno ideologiche e più etico-politiche. Non è difficile, per esempio, convenire sull'idea della centralità dei problemi del lavoro - del lavoro che manca e del lavoro che cambia, come usa dire - e delle politiche sociali e familiari nelle priorità-programmatiche del fronte riformatore. Ancorché nell'alveo di un programma organico sostenuto da un'affinata, moderna cultura economica e politica, immune da spirito paternalistico e da moduli assistenzialistici. Per la formazione dello schieramento riformatore, qualificante e determinante è l'apporto del cattolicesimo democratico e sociale. Sia in termini di consenso, di mobilitazione, di militanza e di classe dirigente. Sia - e soprattutto - ai fini della qualità della proposta politica. Che si arricchirebbe, per questa via, di elementi quali: 17 a) l'orizzonte personalista, non escludente, dell'et. ... et. ... ; b) il solidarismo cristiano nell'alveo della comprensiva nozione di bene comune; c) il principio di sussidiarietà e dunque la cultura delle autonomie sociali, culturali, territoriali; d) l'apertura universalistica e la tensione alla pace nella giustizia; e) la lucida, pensosa consapevolezza del limite della politica ai fini della salvezza dell'uomo, che rappresenta una garanzia rispetto alle pretese totalizzanti del potere politico. Non è chi non vede come queste istanze, opportunamente elaborate e mediate dalla politica, rappresentino una risorsa preziosa e singolarmente congeniale alle sfide della post-modernità. Del resto, osservando il problema dal punto di vista del cattolicesimo democratico, come non rilevare il suo naturale orientamento riformatore? Sempre che ci si intenda sulla nozione di cattolicesimo democratico: che non coincide con l'intero fronte del cattolicesimo politico, ma solo un pezzo di esso. Anzi, spesso, storicamente ne è stato un'espressione di minoranza. Quello che si ispira alla laicità della politica e che, contestualmente, confida nella pregnanza politico-programmatica (e appunto nella carica riformatrice e solidarista) dell'ispirazione cristiana; quello che scommette sulla fecondità del nesso tra cristianesimo e democrazia, adoperandosi per trascendere la interpretazione meramente formale della democrazia stessa. Mortificare la spinta e l'approdo riformatore del cattolicesimo democratico e sociale produrrebbe (e già produce) un esito schizofrenico: come trattenere entro un angusto orizzonte liberaldemocratico di segno moderato giovani e non cresciuti alla severa scuola dell'associazionismo, del volontariato, della cooperazione solidale, dell'obiezione di coscienza? È problema che quanti portano responsabilità educative entro la comunità cristiana devono onestamente porsi. Delle due l'una: o quelle esigenti istanze di valore predicate e raccomandate nella sfera pre-politica trovano una loro coerente proiezione politica o, inesorabilmente, ne escono delegittimate e svilite quale espressione di ingenua, impolitica retorica. Mi chiedo: è buona cosa colpevolizzare o quantomeno indurre frustrazione in chi ha il solo torto di prendere sul serio la dottrina sociale della Chiesa e di non rassegnarsi a una sua sostanziale sterilità politica?
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