D!LBIANCO ~ILROSSO Miiiiliiki fronto. Noi tutti ci misuriamo con una verità oggettiva: non solo manca sulla scena politica il partito socialista, ma si sente enormemente il peso dei suoi errori. Errori tanto gravi da essere percepiti oggi da gran parte del!' opinione pubblica e dei giovani come errori caratteristici di un sistema politico che la gente, con il referendum del 18aprile, ha deciso di mettersi alle spalle. Di tutto questo faremmo bene a non dimenticarci, mentre abbiamo la pretesa di discutere del futuro di un grande partito che è stato investito e travolto fino al discredito, da una autentica bufera. lo sono qui per spiegare le ragioni delle mie dimissioni e per capire se sarà ancora possibile vivere e combattere da militante socialista dentro questo partito. Nessuna voglia di rivincita, nessuna disponibilità a trattativa. Solo desiderio di chiarezza. _Si è cercato in tutte le maniere, in questi giorni di polemiche, di dare un'interpretazione riduttiva delle ragioni che hanno portato me ed altri autorevoli compagni a rimettere i rispettivi mandati. Mettendola sotto forma di lotta di potere o addirittura di rissa. O sostenendo che io avrei cercato di imporre scelte politiche senza che si sviluppasse un reale confronto tra le diverse posizioni e che avrei, del tutto inopportunamente, drammatizzato il problema della disastrata condizione finanziaria ed organizzativa. Mi limito a ribattere che non ho fatto altro che quello che mi ero impegnato a fare. Che in gran parte coincideva con i punti programmatici che proprio i compagni che ora gridano al tradimento politico avevano sottoscritto a sostegno della mia candidatura. In quel documento si sostenevano, in particolare alcune tesi fondamentali: - la prima, che la «questione morale» fosse la principale questione politica e che, per risolverla, si dovesse procedere ad un rinnovamento profondo del partito ad ogni livello; - la seconda, che bisognava dare grande impulso alla questione sociale e che il Partito dovesse essere ricostruito e rilanciato proprio a partire dal suo ancoraggio al mondo del lavoro; - la terza, che si dovesse prendere atto dell'esaurimento di una fase politica (quella legata all'accordo con la Democrazia cristiana) e che bisognasse impegnare il Partito nella costruzione di una sinistra unita e federata a partire dai membri italiani del Partito Socialista Europeo, guardando nel contempo con attenzione alle for33 ze progressiste dell'area liberal-democratica ed ai movimenti ambientalisti; - la quarta, che il Partito si impegnasse con rinnovato vigore sul terreno della riforma istituzionale. Forse certi compagni pensavano che queste si dovessero considerare parole in libertà, e che una volta eletto il segretario si dovesse preoccupare esclusivamente di garantire la continuità con la precedente gestione del Partito. Peccato che si siano sbagliati. Non hanno capito cosa intendessi dire, già di fronte all'assemblea che mi aveva eletto, quando parlavo di inequivocabile rottura con il passato. Accettavano a parole l'impegno sulla questione morale e però avevano qualcosa da ridire sul fatto che mi fossi recato a Milano, a Roma e a Palermo per dire ai giudici che non condividevamo l'esasperazione del conflitto tra potere politico e magistratura e che certamente non eravamo tra i militanti della tesi del complotto. E sulla questione sociale non potevano sopportare che trovassimo carente l'azione del Governo Amato e che sollecitassimo di mettere al primo posto dell'impegno governativo una massiccia iniziativa a sostegno dell'occupazione. Quanto a questioni più squisitamente politiche trovavano poco edificante che fossero proprio i socialisti a chiedere che, prima del 18 aprile, si creassero le condizioni per formare una maggioranza di Governo più ampia, con repubblicani e Pds impegnati in modo diretto. Anche i bambini erano in grado di capire che la funzione del governo quadripartito era esaurita e che non era pensabile di governare il Paese a partire da una base parlamentare così ristretta. Certo, avevamo a che fare con le ambiguità del Pds, ma come non aprire un dialogo a tutto campo con una forza con cui, in una visione europea, ci si vuole addirittura federare? Infine la scelta di schierarci dentro il movimento referendario. Ammetto di aver provocato un'accelerazione politica su questo punto: ma come poteva ancora persistere su posizioni così ruvidamente conservatrici il Partito che per primo in Italia aveva capito l'importanza centrale della questione istituzionale? Abbiamo votato «Sì» ai referendum sul Senato del 18 aprile ed abbiamo riaperto i rapporti con quell'elettorato che aveva mal digerito, appena un paio d'anni fa l'invito ad andare al mare invece che «perdere tempo» con i movimenti refendari.
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