~!LBIANCO ~ILROSSO t+ii•Ni•ti ' Edavveropossibile ilbipolarismionItalia? di Paolo Feltrin na delle cose più curiose del dibattito poliu tico italiano attuale è la passione quasi calcistica per le regole elettorali di traduzione dei voti in seggi. Non per nostra scelta, ma perché così ha deciso la bizzarria della storia, sulla questione delle regole elettorali si sta giocando uno snodo importante per le sorti di questo paese. E quando si è troppo esagerato da una parte, l'ago della bilancia va spostato con decisione dalla parte opposta (almeno per un certo periodo). Punto e a capo. Questa motivazione basta e avanza per dire sì al referendum e per accettare con pragmatismo una qualsiasi soluzione che contenga elementi molto radicali di maggioritario (circoscrizioni uninominali, divieto di presentazione in più di un collegio, turno secco o doppio, etc.). Quel che va chiarito è che non esiste legge elettorale. buona in assoluto, né tantomeno valida per l'eternità. Con uno strumento molto grossolano come le elezioni si fanno 24 cose assieme ed è inevitabile che le regole elettorali siano sempre un compromesso provvisorio che tiene conto delle esigenze prioritarie in quel particolare momento storico. Non a caso di norma esse non fanno parte delle carte costituzionali, ma sono leggi ordinarie dello Stato. Di conseguenza, la mia previsione, è che qualsiasi sia la legge elettorale che verrà adottata nei prossimi mesi, di sicuro essa durerà molto meno dei 45 anni di quella precedente. Tutti sappiamo che le riforme elettorali sono importanti, ma che - purtroppo - ben altre sono le cose da cambiare, prima fra tutte la nostra pubblica amministrazione. Prima di passare al nodo cruciale di questo articolo, vale forse la pena fare qualche nota sparsa sulle «progressive sorti» di Cacania e dintorni. 6 Se ci si pensa un secondo, è abbastanza agevole immaginare un parlamento composto per intero da un ceto politico rinnovato (specie se si dimezza il numero delle assemblee elettive o se ne abolisce una delle due), dal momento che la crisi dei partiti tradizionali ha mutato in modo radicale il calcolo dei costi/benefici di un aspirante eletto, sia esso un parlamentare, un assessore regionale, o un sindaco. Invece di dover fare un lungo praticantato di portaborse e di «peones», salendo gradino dopo gradino il «cursus honorum» del politico di partito per imparare la noiosissima arte del dispensatore di favori, molte persone già ferrate nelle rispettive professioni (qualunque esse siano) possono trovare vantaggioso sperimentarsi per un periodo limitato della loro vita in incarichi pubblici: non pagano i costi della carriera interna di partito e hanno tutti i benefici che derivano dal ricoprire cariche pubbliche. Il che non guasta nella successiva carriera professionale - anzi ne può perfino diventare un volano e un moltiplicatore (Prodi docet). Per questo nuovo profilo professionale del rappresentante elettivo, bastano alcune doti politiche minime indispensabili. Esse si ritrovano in una miriade di altre professioni. Il sindacalista, il manager, l'avvocato, il primario, il coordinatore di un centro per tossicodipendenti sanno già bene che ci sono interessi contrapposti, che la mediazione non è l'arte del maligno, che alla fine bisogna decidere assumendosi la propria personale responsabilità, che tra la verità e la falsità c'è un oceano di posizioni intermedie in cui attestarsi senza vergogna, e così via. Nelle assemblee elettive e nelle posizioni di responsabilità di governo spesso questa expertise di base è sufficiente ad esercitare dignitosamente il proprio compito. (Il rischio di non scegliere i mi-
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