~li~ Bl~;\NCO '-.Xll~ROSSO SCAFFALE Donneincarcere Un'indagine sulladetenzione femminilenItalia L a vasta lettura tura, gli studi e le ricerche sul carcere in Italia, non hanno fino ad oggi prestato molta attenzione al tema della detenzione femminile. È sulla spinta di alcune donne del gruppo interparlamentare, con il patrocinio della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, e tre anni di lavoro di un gruppo di studiosi e di ricercatori universitari che ora abbiamo con «Donne in carcere» uno strumento prezioso per la conoscenza dell'universo femmjnile nella realtà carceraria. Gli unici contributi in tal senso provengono dalle analisi degli andamenti delle statistiche giudiziarie e penitenziarie, e dalle «Voci dal carcere» raccolte da Gabriella Parca nei primi anni '70. «Donne in carcere» è quindi l'unica indagine empirica condotta in Italia sull'universo carcerario, dopo l'inchiesta fatta più di venti anni fa da Ricci e Salierno. La scarsa attenzione alla condizione femminile in carcere non coincide, tuttavia, con i molteplici studi che affrontano ed esaminano la criminalità e la trasgressione femminile come sottotema e in confronto alla criminalità di Annalisa Quaglia maschile. È a partire dalla critica verso tale approccio che, alla fine degli anni '60, si sviluppa un dibattito finalizzato ad inaugurare un nuovo metodo di studio, a partire dalle donne e privilegiando l'analisi dei processi di criminalizzazione attuati nei loro confronti. Dibattito che sembra evidenziare da un lato la tendenza a «mettere sotto tutela» le donne in quanto «soggetti deboli», dall'altro una maggiore propensione a punire, come conseguenza di una raggiunta eguaglianza dei sessi di fronte alla legge. L'intento di questa indagine non è soltanto quello di tracciare l'immagine della trasgressione femminile, ma va oltre osservando tutti gli aspetti relativi alle condizioni sociali economiche e culturali delle detenute, nonché itempi, i luoghi, e i problemi che caratterizzano il vissuto della pena. Dove e come si vive il carcere, le caratteristiche e i problemi della reclusione, vale a dire le telefonate, i colloqui, i permessi, i rapporti con l'esterno, con la famiglia e con i figli, la salute e la malattia, sono gli aspetti analizzati attraverso la rappresentazione fornita dalle stesse detenute intervistate. In circa un centinaio di istituti penitenziari, di cui 96 sono sezioni ricavate 59 da strutture maschili e di cui il carcere femminile Rebibbia di Roma risulta il più grande, erano presenti al momento dell'avvio dell'indagine 1983 donne, pari al 5,8% del totale della popolazione carceraria. Queste donne provengono dalle fasce sociali più marginali. Sono perlopiù giovani (18-34 anni), senza occupazione, imputate per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (61%), tossicodipendenti (65%), molte sono straniere (15%), più della metà sono già state in carcere (58%). Trova conferma l'ipotesi, sostenuta anche in altre sedi, che il carcere sia contenitore delle fasce di disagio sociale e di emarginazione nei confronti delle quali vi è un alto grado di allarme sociale. La droga e tutto ciò che ad essa si accompagna, scrive Franca Facciali, viene indicata come uno dei principali «pericoli sociali», è intorno ad essa che oggi viene ridisegnata la popolazione detenuta. Brevi periodi, ma ripetuti in carcere, non costituiscono una risposta valida, soprattutto per chi vive l'esperienza della tossicodipendenza ed entra nel circuito della giustizia per reati ad essa connessi. La ricerca evidenzia e denuncia come moltissime di queste detenute,
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