un divenire - dovrebbero raccogliere il testimone. Di «Europa a dieci» se due non ci staranno, Copenhagen e Londra, si è parlato e si parla, ma nessuno ci ha detto - e nenache si è detto - di quale Europa si tratterebbe. Se sempre di una comunità, o unione, in cui i governi nazionali presumono di essere punta avanzata, costruendo in aule chiuse e attraverso compromessi, salvo essere sconfessati prima o poi da opinioni pubbliche, tenute prima all'oscuro e fuori, poi messe a rude confronto con le pratiche abnormità dei compromessi. Se ancora di una comunità, o unione, che spensieratamente apre negoziati per allargarsi ad altri paesi senza prima avere quale base una realtà consolidata; oppure di un'entità la quale non promette a nes- ' {)!L BIANCO ~ILROSSO • I HM ;n 1211• 9~1 cu~• n11 suno qualcosa di cui non sia, per prima, certa, e la quale non tollera la messa in discussione, sotto forma di «opt out» alla danese, di questa propria consistenza essenziale. E nessuno ci dice quando questa comunità, senza neanche attendere l'unione, leverà il capo dalla sabbia per porsi il problema di un paese membro quale l'Italia. I ministri italiani, quelli che restano o che cambiano, non solo continuano a venire alle riunioni di Bruxelles ma vi prendono anche la parola. Eppure ognuno sa che il paese che uscirà dal tunnel, nel fare conti non truccati, dunque impietosi, con se stesso, se (come è la speranza per la quale chi scrive è pronto a battersi) uscirà dal tunnel e farà l'inventario, morale politico e economico di quanto resta dal saccheggio, dovrà anche, per la verità, dichiararsi per quello che sarà, al netto di risorse bruciate, di progetti industriali foraggiati, di libertà del mercato sconosciuta, a Bruxelles, ai «partner» di un vecchio grande progetto di integrazione tra europei. Senza risposta a interrogativi come questi, il nuovo eventuale in Europa è solo uno spazio non messo a fuoco all'orizzonte. Così come in Italia il nuovo, scevrando severamente la realtà dal polverone di opportunismi e di parole, è soltanto la voglia profonda, dopo esserci per tanto tempo accettati allo specchio di un sistema partitico, di avere di noi stessi un'altra immagine. Tuttociò servirà? Chi scrive ne è convinto, alla condizione che sia chiaro che il «nuovo» non è altro - almeno per adesso - che una necessità e un punto di partenza. Eper l'Italia e per l'Europa. Epossibileunastrategiaeuropea perlosviluppo? L' Europa si è progressivamente inviluppata in una situazione di deflazione concorrenziale. Le politiche economiche dei diversi stati sono dimensionate sul paese con il grado di restrizione maggiore; i tassi di interesse che vengono corrisposti nel paese con la moneta più ricercata, il marco, trascinano su livelli moltoelevati tutti gli altri stati. È palese oggi il reciproco condizionamento delle politiche economiche. E questo dato non è destinato a cambiare per il futuro: pure in uno scenario di revisione degli accordi di Maastricht, sia che si decida di rallentare di Gabriele Olini l'unione politica e monetaria, sia che si opti per una meno probabile accelerazione dello stesso processo attraverso un più elevato grado di cooperazione tra le politiche economiche, è chiaro che si tornerà verso cambi fissi. Qualcuno ha scritto che le politiche monetarie, legate da cambi quasi fissi, vanno sempre insieme come un gruppo di prigionieri incatenati tra loro. Uno di questi, la Bundesbank, più robusto e massiccio degli altri, riesce a trascinarli tutti. Gli elevati tassi di interesse hanno gelato l'economia tedesca e si sono trasmesse a paesi già in difficoltà, in primo luogo l'Italia alle prese con il tentativo di rientro nelle soglie di convergenza. 53 Per una lunga fase la recessione in Germania è stata effetto di una politica monetaria molto restrittiva e del «gioco non cooperativo» tra la Banca Centrale, Governo e sindacati. La Bundesbank, ha mantenuto tassi di interesse elevati per ridurre l'inflazione e costringere alla disciplina salariale i sindacati tedeschi. Il raggiungimento del «patto di solidarietà», che ha in verità coinvolto essenzialmente maggioranza ed opposizione, lasciando un po' in ombra le parti sociali, ha dato un modesto spiraglio; il tasso di sconto è stato ridotto di mezzo punto, molto meno di quanto ci si attendeva. Ma soprattutto la Banca Centrale ha altezzosamente confermato che le proprie deci-
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