paese, da un elenco di priorità vincolanti, di un progetto economico sociale e istituzionale, da una ricollocazione internazionale che parta dal mutamento degli scenari del mondo. Il problema che mi sembra ancora rimosso è se davvero una tale esplorazione, tutta aperta e problematica, sia possibile e giustifichi una ricerca separata dei cattolici democratici nel momento attuale o non debba procedere, essere costruita fin d'ora in sintonia dialettica con altri soggetti. All'indomani della seconda guerra mondiale il patrimonio, (che allora si definiva ideologico) di una tale cultura era fortemente caratterizzato e non intercambiabile con quello delle tradizioni, liberali, democratiche, socialiste, di varia confessione. Oggi quanto di più significativo essa ha prodotto (il valore delle autonomie e della sovranazionalità, una idea non manichea né metafisica dei conflitti di classe, l'attenzione a soggetti altri rispetto al conflitto moderno padroni-operai, sia come protagonisti economici sia come portatori di domande civili qualificate, una concenzione complessa e articolata del rapporto fra pubblico e privato ecc.) è divenuto, lungo la storia della Repubblica e nel franare di altre certezze, cultura politica comune e non può rappresentare una discriminante assoluta. Restano certo le questioni proprie dello steccato guelfo ghibellino, rivisitate dalla secolarizzazione e esasperate dalle nuove tecnologie della bioetica. Ma, per quanto rilevanti bastano a giustificare un partito in più? Come impedire, su questo piano, la deriva inevitabile verso un partito ghetto, che faccia dell'ispirazione cristiana una gabbia e non il sale della terra, e che congeli quegli stessi problemi in un irrisolvibile conflitto ideologico? Il ridisegno dello scenario politico italiano è una telenovela che si trascina da molto e che negli ultimi anni ha già perso alcune occasioni. Sono convinta che la prima grande occasione, sostanzialmente perduta, è {) .!J., BIANCO ~ILROSSO 1111 }- §•1 a ;J stata la svolta di Occhetto; l'avarizia e l'ignavia della risposta ha lasciato da parte un sistema impiccato ai suoi limiti e ha inevitabilmente ritardato dall'altra il potenziale di innovazione presente nella nascita del Pds, quanto a costruzione di una nuova forma partito, a definizione di un programma fondamentale. Poi è venuta la Rete, all'inizio proposta come movimento a termine, per contribuire alla costruzione di una grande sinistra; ma anche la Rete, fra eccessi di leaderismo e paure del nuovo non ha scalfito che in parte l'appartenenza democristiana, e ha finito col ricollocarsi entro le logiche del frammento e della autosufficienza proprie dei partiti tradizionali. Infine la proposta di Segni, certo troppo appiattita sul tema elettorale, ma, anche per questo simbolicamente efficace come spinta a nuove collocazioni, che è stata accolta come stimolo interno, ma ampiamente respinta in Jt~ ~174.~dt.~~ 4b-utt:tt'f\a,e.Mil~~: ~1 btrlt4'11. ~~t,(ii 4«1 ~'tftOf:m,,m,u:;-1,. 4"'kr ~~,,..,~ • 38 quanto alternativa al vecchio orgoglio di partito. Fra tutti questi tentativi un gran parlarsi addosso, tra Forum, Costituenti e proposte di case comuni, quasi un alibi alla incapacità di scegliere e di collocarsi, di sottrarsi alle pressioni ecclesiali e di assumere direttamente le proprie responsabilità di cittadini. Dietro questa lunga incapacità io vedo, (con l'amarezza di una sconfitta comune, di me che ho deciso e di chi deciso ancora non ha) la debolezza principale che mina oggi il ruolo dei cattolici democratici italiani, e che può anche, se si vuole, essere ricondotta a un deficit di spiritualità e di etica civile. Vi vedo infatti come l'intreccio inconsapevole fra l'orgoglio della propria appartenenza, vissuta più come una illusione di autosufficienza che come consapevolezza di sé, e una sorta di insicurezza, una sfiducia in sé stessi, una paura di misurarsi alla pari con altri, in un confronto diretto, che confermerebbe invece la grande potenzialità del cattolicesimo democratico. Ora davvero il tempo sta scadendo. Una decisione dovrà essere presa e, ha ragione Rosy Bindi, in tempi rapidi: ma di questa decisione deve far parte, deve essere segno, il dove e con chi collocarsi nello scenario bipolare che sta di fronte a noi, una decisione preliminare, non successiva, a quella su quali valori e per quali interessi impegnarsi. Un processo di questo tipo è ormai nelle cose e non saranno parole a accelerarlo o ritardarlo. L'interrogativo politico non è se ci sarà; è se sarà la maggioranza di una Dc che ha compiuto, tagliando i rami malati, accettando la logica della transizione verso l'ignoto, la sua rigenerazione radicale a compierlo, o un gruppo che ne esca rifiutando l'irresolutezza. Ma che differenza fà? In fondo alla fine sarà comunque il voto dei cittadini a decidere chi farà la seconda fase della Repubblica.
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