Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 39 - aprile 1993

{)!L BIANCO ~ILROSSO • •x•i-.1§1 •a ; Rifandareunapolitica«popolare». BenoltrequestaDc orrei mettere bene in V chiaro, prima di cercare di sviluppare un qualsiasi ragionamento, che il problema principale oggi non è tanto quello delle riforme istituzionali o elettorali, quanto piuttosto di attuare un serio processo di riforma della politica. Cambiare le forme istituzionali, modificare le leggi elettorali non serve, credo, a nulla se non si muta sostanzialmente la concezione stessa del modo di fare politica, della «forma partito» che si è sviluppala anche culturalmente negli ultimi quarant'anni, del modo di gestire la cosa pubblica. Riforma istituzionale coraggiosa e regionalizzazione profonda della forma Staio sono oggi i passaggi indispensabili per la formazione di un sistema politico nuovo che rifondi le grandi forze politiche del Paese. È chiaro che una vera riforma elettorale non potrà lasciare questi partili così come sono, né che ci si possa limitare a ritoccarne in qualche modo il profilo. Ciò che è venuto meno - dopo l'uragano «Tangentopoli» - è il loro rapporto con la società civile, il loro essere espressione di un conflitto politico piuttosto che di una gestione del potere. Questi partili non servono più né a se stessi né al Paese e sarebbe un guaio se immaginassimo che essi, così come si sono identificali negli ultimi decenni, siano indispensabili per larifondazione della democrazia. Da qui la necessità di una profonda trasformazione. Sarebbe il caso di usare il termine «riforma» se esso non fosse screditato da una lunga storia di Giovanni Bianchi trasformistica. Riformare vuol dire dare «nuova forma», cambiare la «natura politica» dei soggetti, non riaggiornarla. Per questo, per cogliere il senso vero della riforma, è meglio usare il termine «rifondazione». Se si vuole davvero salvare la democrazia, salvare il sistema dei partili, bisogna andare oltre questi partili. Sono profondamente convinto che oggi salva la democrazia ed i partili non già chi difende queste istituzioni, questi partili, ma chi opera per pensarli al futuro, chi vede istituzioni diverse, con partili che, perché diversi, sono in grado di essere all'altezza della loro memoria. Riformare la Democrazia Cristiana oggi vuol dire rifondarla. La Dc di De Gasperi e di Moro, la Dc della centralità istituzionale, la Dc asse della democrazia italiana non c'è letteralmente più. Finita la centralità democristiana è finita anche quella funzione di mediazione istituzionale che ha caratterizzato l'esperienza politica dei cattolici nel nostro Paese. Siamo in una fase in cui è possibile essere presenti nella vita politica come soggetti di un disegno politico originale. È finita l'esperienza degasperiana, siamo alle soglie di una esperienza nuova. L'accettazione del maggioritario uninominale, anche se corretto con elementi di proporzionale, implica la nascita di una forma partito diversa, assai lontana da quella del passato. Quale essa potrà essere non è possibile dire. Ma una cosa è certa: ciò che nascerà dopo questa Dc non sarà più la Dc che abbiamo fin qui conosciuto. Il richiamo che per anni è stato fatto 33 all'esperienza sturziana solo oggi comincia ad essere inteso nel suo vero significato politico: non un appello al carisma delle origini, ma una concretissima proposta per ridisegnare una forma e una identità politica nuova. Il Partilo Popolare era nato per portare i cattolici alla democrazia, ma anche e soprattutto per costruire una democrazia diversa. L'uso frequente, direi l'abuso, del termine popolarismo ne hanno fatto perdere il senso storico e il significato politico. I cattolici dopo Sturzo hanno dovuto affrontare un'immane opera di supplenza verso la reale capacità democratica del Paese. In questo senso hanno compiuto un servizio inestimabile e fondamentale; ma in questo hanno dovuto anche sacrificare quella originalità, quella autonomia di proposta che era il retaggio più alto dell'esperienza «popolare». Questo vale anche per De Gasperi. Oggi per i cattolici è necessaria la riappropriazione di un'autonomia forte, libera, creativa della propria identità e del proprio impegno sociale. La crisi democristiana non va letta solo al passalo, ma anche al presente e al futuro; non si tratta di restaurare un'identità, ma di immaginare una diversa avventura. Quale? Bisogna muoversi nella crisi sapendo di essere in un processo dove movimenti reali si scompongono e si ricompongono intorno a strategie comuni. Siamo, lo si voglia o no, in una fase di rifondazione del sistema politico e quindi dei soggetti politici. I processi interni ali' area cattolico democratica vanno letti oggi al plurale: essa è un campo di forze che vanno

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