{)!LBIANCO a-L, ILROSSO I n,;.iè) I a il C'era,unavolta,laDc. Ci saràancora? e ontrariamente a quanto sostiene gran parte della vulgata politica, lariforma elettorale non è sinonimo di riforma istituzionale. É così poco sinonimo che, mentre nuove istituzioni esigono regole elettorali diverse da quelle in atto, non vale anche il contrario. Una nuova legge elettorale, di per sè, non richiede infatti paralleli cambiamenti istituzionali. C'é perciò chi pensa che le modifiche al sistema elettorale siano un possibile surrogato, se non addirittura l'antidoto a più difficoltosi cambiamenti costituzionali. Questa confusione non giova certo alla chiarezza dei propositi e, soprattutto, delle possibili soluzioni. Si deve dire tuttavia che, per quanto insufficiente in rapporto alle indiscutibili necessità di rinnovamento del sistema politico, il cambiamento della legge elettorale avrà comunque degli effetti significativi, tanto sul ricambio del ceto politico, che sui processi di aggregazione tra partili e movimenti. L'entità di tali effetti dipenderanno, naturalmente, dalle concrete soluzioni che alla fine verranno adottate. Dipenderanno infatti dalla combinazione Ira maggioritario e proporzionale e dalla scelta Ira doppio volo, o doppio turno. Si deve in ogni caso pensare che sarà comunque corretta la tendenza alla crescente frantumazione delle forze che si era manifestata negli ultimi anni. Il passaggio da un sistema proporzionale ad uno prevalentemente maggioritario incoraggerà, infatti, una di Pierre Carniti semplificazione delle forze politiche. Con conseguenze per tutti i partili ed in particolare per la Democrazia Cristiana alla quale il sistema proporzionale ha consentilo di essere, per quasi mezzo secolo, il perno di tutti gli equilibri politici per la formazione del governo nazionale. Proprio per scongiurare cambiamenti indesiderabili la Democrazia Cristiana si è battuta (con successo almeno nella Bicamerale) per una legge elettorale a doppio volo, anzichè a doppio turno. Soluzione che le permetterebbe di declinare crescendo. Le permetterebbe cioè di perdere voti e di aumentare contemporaneamente la sua rappresentanza parlamentare. -1----- ------ •f-'St. • .. .....-.- ttrchquc 1· .1: ·'+· ••,~ ·,,, ■ ·:) .\.\ èt p~c 11.1lt1 e ·::::::;'i:'·~~ ftdt.111tco -1n1d,1 30 Se le Camere approvassero una simile legge non è difficile immaginare che nella Democrazia Cristiana si affievolirebbero parecchio gli impulsi a rimettersi in discussione. Cosa che invece oggi è imperiosamente chiamata a fare, tanto dalla crisi del sistema politico, che dalle sollecitazioni provenienti dal mondo cattolico dove sono in aumento coloro i quali pensano che la presenza politica dei cattolici si debba realizzare in forme e con stru - menti diversi da quelli del passato. Sappiamo bene che la presenza politica dei cattolici non è mai stata unitaria in nessuna stagione. Nemmeno negli anni di De Gasperi. Ci sono sempre stati dei settori (più o meno consistenti) che non si sono mai riconosciuti nella Dc. Ad esempio, a sinistra, i cattolici-comunisti ed a destra i clerico-monarchici. Oltretutto basta verificare, da un lato, il numero dei praticanti e, dall'altro i voli alla Dc per accorgersi che i due dati non hanno mai coinciso. Dall'inizio degli anni 50 all'inizio degli anni 80 la Democrazia Cristiana ha sempre ottenuto una percentuale di voli intorno al 40 per cento. Ebbene, mentre all'inizio degli anni 50 si trattava di una percentuale inferiore a quella dei praticanti, all'inizio degli anni 80 essa era superiore. Se ne deduce che il voto alla Dc è sempre stato la somma (variabile nelle diverse congiunture politiche) del voto cattolico e del volo laico moderato. La formula «unità politica dei cattolici», della quale si è fatto uso ed abuso, esprime perciò semplicemente il fatto che la «maggioranza» degli elettori cattolici
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