Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 39 - aprile 1993

{)!LBIANCO ~ILROSSO 1a11 N&u;Jt+Jl8 Dopo il referendum del 18 aprile rischiamo infatti di arrivare alle elezioni anticipate. Non per scelta, ma per disperazione. Nel caso probabile (ed auspicabile) di vittoria del «Si» al referendum per il Senato, andare a votare senza prima aver cambiato anche la legge elettorale per la Camera, significherebbe semplicemente rendere ancora più difficile, se non addirittura impossibile, governare questo paese. Di problemi ne abbiamo già tanti e di difficilissima soluzione. Non si capisce quindi la ragione per cacciarci in una nuova trappola. Le soluzioni possibili, realistiche, non sono però molte. Nei giorni scorsi è stata prospettata l'ipotesi del così detto governo istituzionale. Cosa esattamente sia un governo istituzionale non è però risultato molto chiaro. Da quel che si è capito si dovrebbe trattare di un governo diretto dal presidente della Camera, o del Senato, o (forse) anche dalla Corte Costituzionale e con ministri scelti al di fuori del personale politico tradizionale. Insomma, una sorta di governo dei tecnici. Si deve supporre, non perché i tecnici governano meglio (chi l'ha detto che per essere un bravo impiegato delle poste si debba essere anche un filatelico?) ma perché, presumibilmente, sarebbero più a prova di avviso di garanzia. Lo scopo principale, se non addirittura esclusivo, del governo istituzionale dovrebbe essere quello di consentire al Parlamento di varare al più presto la nuova legge elettorale per andare, subito dopo, alle urne. Sostenitori di questo governo, oltre ai partiti della attuale coalizione, avrebbero dovuto essere anche il Pds e il Pri. Naturalmente tutto potrebbe ancora succedere, ma la proposta del governo istituzionale sembra nata morta. Martinazzoli non ha infatti nascosto la sua radicale contrarietà. Bisogna dire tuttavia che, anche senza il siluro del segretario Dc, essa è subito apparsa più volenterosa che concreta. I partiti che avrebbero dovuto sostenere il governo istituzionale non sembrano infatti avere la stessa opinione su molte cose, ma, quel che conta sapere, su come deve essere fatta la nuova legge elettorale. Anche se al loro interno prevalgono i favorevoli all'uninominale maggioritario, sono infatti divisi tra di loro sul «tipo» di maggioritario da adottare. Se perciò la soluzione di questo nodo fosse rinviata a dopo la formazione del governo, non è difficile immaginare che le schermaglie e le trattative per trovare un com3 promesso saranno piuttosto lunghe. Ammesso che si possa trovare un compromesso tra l'uninominale ad un turno e quello a due. In ogni caso, nell'attesa di riuscire a far varare la nuova legge anche un governo istituzionale dovrebbe occuparsi di altre questioni. Prima fra tutte quella di tentare di governare l'economia che è ormai al collasso, con conseguenze sociali ogni giorno più intollerabili. Cosa impossibile da farsi senza un programma politico o, quantomeno, alcune essenziali idee comuni. Ma sui temi economici le posizioni del Pds e del Pr, ad esempio, non sembrano proprio coincidenti. Il che, naturalmente, costituisce un problema. Allora, come se ne può uscire? La cosa più ragionevole (se l'obiettivo è quello limitato di dar vita ad un governo che abbia il solo incarico di varare una nuova legge elettorale e duri il tempo strettamente necessario per farlo) è che il nuovo governo sia formato tra quelle forze politiche che, in particolare su questo punto, hanno lo stesso progetto. Non quindi un governo del «Si», di cui pure si era parlato, ma un governo di quelli, tra i partiti del «Si» che sono d'accordo per il maggioritario ad un turno. Oppure, al contrario, tra quelli che chiedono il doppio turno, a seconda che la maggioranza si formi sull'una o sull'altra proposta. Alternativa che, dopo il referendum, il capo dello Stato è in grado di accertare assai rapidamente. Una simile soluzione, anche se inconsueta per la nostra tradizione politica (dove le maggioranze di governo si formano di solito sul niente e spesso purtroppo anche per non combinare niente) potrebbe contribuire a diradare una confusione che, diversamente, rischia soltanto di portarci all'impotenza ed alla paralisi, al disastro politico. Sarebbe inoltre utile per incominciare a rompere con le tentazioni consociative. Proposito tante volte annunciato, ma mai praticato per la sua innegabile maggiore scomodità. In questo modo, oltre tutto, anticiperemmo, di fatto, quella che diventerà la regola con l'adozione del sistema maggioritario. Per quasi mezzo secolo la consociazione è stata in parte una necessità prodotta dalla proporzionale ma è stata anche (e nello stesso tempo) l'approdo delle nostre discutibili abitudini politiche. Non è perciò arbitrario pensare che prima riusciamo a liberarcene e prima riusciremo anche a costruire un futuro politico davvero diverso.

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